Il debito alle stelle. La dipendenza energetica. Gli stipendi bassi. La crescita zero. Tutti i nodi del sistema Italia, in una strana e nefasta coincidenza astrale, stanno venendo al pettine in un colpo solo. Ironia della sorte, più o meno un anno dopo dall’estate del nostro “rinascimento” – virgolette d’obbligo, a questo punto – dove complici la vittoria dei Maneskin all’Eurovision, quella della nazionale agli europei e dei nostri atleti alle olimpiadi di Tokyo, unitamente alla crescita del Pil (quasi) più alta d’Europa e il prestigio internazionale di Mario Draghi in un’Europa ormai orfana di Merkel ci avevano illuso di essere guariti da tutti i nostri mali.
E invece, eccoci qua. È bastata – si fa per dire – una guerra tra Russia e Ucraina per ricordarci che la nostra economia è dipendente dalle materie prime e dalle fonti energetiche altrui. È bastata una frenata della domanda globale per ricordarci che tante nostre imprese stanno letteralmente sopravvivendo e basta un refolo di vento per mandarle all’aria. È bastato un mese di inflazione alta per ricordarci che gli stipendi italiani, soprattutto per chi è entrato negli ultimi anni nel mondo del lavoro, sono troppo bassi e che sono vent’anni che diminuiscono. È bastato l’annuncio di un aumento dei tassi d’interesse e di un rallentamento degli acquisti di titoli di debito pubblico da parte della Banca Centrale Europea per ricordarci che il nostro, di debito, vale più di una volta e mezzo il nostro prodotto interno lordo, cosa che in un mondo normale avremmo portato i libri in tribunale già da un pezzo.
Il problema è che ciascuno di questi problemi sarebbe già molto difficile da affrontare da solo. Figurarsi se, come sta accadendo, ti piombano addosso tutti assieme. Ancora di più se, come l’Italia, sei debole praticamente ovunque. Ci sono stati con un debito alto, ma che crescono tanto. L’Italia ha un debito alto e non cresce. Ci sono Paesi in cui i salari sono bassi, ma l’occupazione è alta. In Italia i salari sono bassi e la disoccupazione giovanile è tra le più alte in Europa. Ci sono Paesi in cui i prezzi aumentano, ma l’economia cresce. In Italia i prezzi aumentano ma l’economia non cresce.
Aggiungiamo pure un altro carico di guai: che la coperta è talmente corta che ogni tentativo di risolvere un problema, peggiora l’altro. Un’alta inflazione è toccasana per le casse dello Stato, ma è un problema per le famiglie che vedono aumentare a dismisura il costo della vita. Un aumento dei tassi d’interesse è utile per far diminuire l’inflazione, ma deprime gli investimenti e aumenta le preoccupazioni sulla tenuta del nostro debito pubblico. Un aumento dei salari fa bene alle famiglie, ma rischia di mandare a gambe all’aria molte imprese e di far impennare i prezzi al consumo.
Abbiamo finito? No. Perché tutto questo avviene in un anno elettorale, con un governo tecnico alla guida del Paese chiamato a dare risposte non necessariamente popolari, per tirarci fuori dai guai. Cosa che, giustamente, agita i sonni dei partiti che sostengono quel governo, e che rischiano di essere additati come macellai sociali qualunque cosa Mario Draghi decida di fare. Col rischio, molto concreto, che Mario Draghi finisca per non fare nulla e lasciare la patata bollente al prossimo governo, ammesso che riusciremo a formarne uno, che a sua volta dovrà provare a risolvere problemi che si saranno ulteriormente aggravati.
Poi, ovviamente, esistono i miracoli. Che la guerra finisca presto. Che i prezzi delle materie prime crollino improvvisamente, così come si sono improvvisamente impennati. Che Lagarde e la Bce cambino idea e si rimetta a comprare il nostro debito. Che la domanda regga. Che i turisti invadano in massa l’Italia quest’estate. Che tutte le nuvole si diradino improvvisamente dal cielo, come accade per i temporali estivi. Peccato non dipenda da noi. Ma del resto, non è la prima volta che ci affidiamo al cielo, o alle stelle.