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Covid 19

Perché non serve assicurarsi contro i danni da Coronavirus

Mentre i grandi investitori istituzionali investono in bond anti-catastrofe, le compagnie assicurative si stanno attrezzando con prodotti assicurativi per proteggere famiglie e imprese dal rischio Covid. Il problema? I danni economici rischiano di essere talmente elevati che nessuna polizza potrà mai coprirli.
A cura di Barbara D'Amico
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Ci si può proteggere dalle perdite economiche causate dal Coronavirus, sia come nazione sia come individui singoli? È una domanda a cui solo un assicuratore può rispondere visto che anche i pandemic bond o catastrophe bond di cui si sente parlare molto in questi giorni altro non sono che uno strumento finanziario sofisticato per assicurarsi contro un disastro quale appunto può essere una pandemia.
Le obbligazioni di quest'ultimo genere però non riguardano l’attività dei piccoli e la vita quotidiana di un commerciante costretto a chiudere per decreto. Si tratta invece delle obbligazioni emesse ad esempio dalla Banca Mondiale nel 2017 per finanziare l’eventuale spesa da sostenere proprio in caso di un evento uguale a quello che stiamo vivendo: la diffusione di un virus e della sua malattia connessa.
Il loro meccanismo è stato riassunto bene dagli organi di stampa internazionali, e anche italiani, e in breve possiamo spiegarlo così: la World Bank ha emesso due titoli obbligazionari nel 2017, uno particolarmente rischioso, l’altro meno, che alla scadenza fissata al 15 luglio 2020 prevedono il rimborso totale del capitale di chi ci ha investito (più gli interessi previsti dal prospetto) ma solo nel caso in cui non si verifichi l’evento catastrofico per cui sono stati emessi.

Da un lato quindi abbiamo investitori – istituzionali e gestori di fondi – che hanno acquistato i titoli per un totale di 320 milioni di dollari e hanno scommesso sul fatto che un evento pandemico non si sarebbe verificato entro il 2020 (errata previsione, lo sappiamo); dall’altro l’Organizzazione internazionale parte delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, che di mestiere sostiene la lotta alla povertà e le economie dei paesi in difficoltà e che chiaramente spera che il covid-19 sia considerato ciò che in gergo si definisce trigger: cioè la condizione in grado di dire che sì, la previsione non solo si è avverata ma è idonea a disattivare il rimborso del capitale alla fine del periodo di investimento.

Chi investe in cat-bond?

Quindi, questi strumenti sono maneggiati non da piccoli risparmiatori ma da grandi realtà di gestione del risparmio che in genere hanno le spalle larghe per reggere gli urti di una scommessa persa. Lo stesso può valere per la Banca Mondiale che ha già stanziato 12 miliardi di euro a favore dell’emergenza Coronavirus e per ragioni di equilibrio finanziario può reggere le coperture nel caso in cui invece sia lei a perdere la scommessa: è già successo con i cat-bond non attivati nonostante la diffusione dell’Ebola nel 2015-2016. Certo, a perderci sono i paesi beneficiari delle risorse della World Bank, ma non si tratta di fondi irrecuperabili in assoluto. Tra i fondi che ad esempio investono sui cat-bond ci sono realtà come Azimut, citata dal professore di matematica finanziaria Beppe Scienza in una analisi del 2016 in cui si mette in guarda dal considerare i cat-bond offerti come prodotti del mercato obbligazionario puro visto l’alto rischio connesso compensato dalle commissioni caricate sui singoli investitori.

Ma al di là delle valutazioni sull’opportunità o meno di investire in strumenti simili, c’è un dato: purché si conoscano i rischi, investire in titoli “catastrofali” è un trend che ciclicamente torna di moda. Anche in Italia. La vera domanda da porsi è se però gli strumenti a disposizione siano davvero in grado di proteggere investitori o emittenti in casi così gravi come quello vissuto oggi. Ad esempio Tax Capital, dal 2019 controllata da mani cinesi, nel 2017 aveva creato un fondo ad hoc per gli investimenti assicurativi in cat-bond, il Tenax Ils Fund, presentato sul mercato italiano dal fondatore di Tax Capital, Massimo Figna. E ancora Generali Assicurazioni sempre nel 2017 era tornata nel territorio dei prodotti assicurativi finanziari anti-catastrofe con un “cat bond da €200 milioni a protezione di alluvioni e tempeste in Europa e terremoti in Italia” e che scadrà nel 2021.

La polizza per far fronte ai danni da covid-19

Questo vuol dire che nel nostro territorio, visto anche l’aumento di eventi disastrosi imprevedibili, tutto il comparto finanziario e assicurativo è più esposto al rischio anche se si muove da sempre negli interstizi delle scommesse finanziarie. Sia per ragioni speculative, sia per ragioni di protezione (dei finanziamenti). Ma cosa succede se le stesse assicurazioni devono gestire una pandemia offrendo polizze che proteggano non i grandi investitori, ma i piccoli commercianti e le piccole imprese? Prendiamo l’esempio di Cattolica Assicurazioni che proprio pochi giorni fa, quando le uniche zone rosse in Italia erano individuate in specifici comuni del Nord, ha pensato bene di presentare un prodotto adatto a tutelare chi fosse stato costretto a chiudere le serrande del negozio o dell’attività. “Abbiamo un prodotto che si chiama active business no-stop”, ha spiegato il direttore generale Carlo Ferraresi (potete ascoltarlo qui). “Questo prodotto è specifico per il covid-19 ed è creato ad hoc per tutelare situazioni pandemiche”, continua. In sostanza, solo nel caso in cui si sia costretti a fermare l’attività per decreto delle autorità – proprio ciò che è accaduto con i dpcm di febbraio e inizio marzo – assicurandosi è possibile ottenere fino a 1000 euro al giorno di rimborso per 15 giorni. Il tempo stimato di serrata da parte dal Governo.

Ora, il 9 marzo Giuseppe Conte ha di fatto esteso le condizioni delle zone rosse del nord a tutta Italia rendendo di fatto idonee le aziende della penisola che volessero attivare quella polizza a ottenere il rimborso. Non conosciamo i dettagli e le condizioni per cui effettivamente il rimborso sia accordato, ma è facile intuire che senza aver previsto questa estensione nazionale e senza clausole di disattivazione, l’esposizione di Cattolica sarà molto alta. In generale, però, non è semplice realizzare prodotti assicurativi ready-to-go in condizioni così imprevedibili, sia per i cittadini e i lavoratori sia per le assicurazioni.

Secondo l’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici, solo nel 2018 nel mondo si sono verificate 181 catastrofi naturali con una perdita economica da danni pari a circa 135 miliardi di euro, dimezzata rispetto all’anno precedente quando il conto presentato da uragani, terremoti e incendi era stato di 275 miliardi di euro. Difficile stimare le perdite da danni da coronavirus sommate a quelle della devastazione del fuoco in Australia quest'anno. In Italia, poi, la pandemia si aggiunge a eventi come i terremoti e i dissesti idrogeologici che mettono a rischio sia la vita delle persone sia quella delle imprese. C’è un passaggio della relazione annuale Ania che al riguardo è molto indicativa. “Dalla rilevazione di PERILS sulle esposizioni assicurate contro i rischi catastrofali in Italia per l’anno 2019, alla quale partecipa il 74% del mercato in termini di volume dei premi assicurativi sull’incendio, si stima che: per quanto riguarda i rischi commerciali, tenuto conto delle partite fabbricato, contenuto e danni indiretti, l’esposizione complessiva sia pari a circa 829 miliardi per il terremoto (+27% rispetto al 2018) e a 689 miliardi per l’alluvione (-1% rispetto al 2018)”. Se queste sono le cifre in condizioni catastrofiche “ordinarie”, non possiamo immaginare quelle legate alla portata del coronavirus. Sempre in quel rapporto inoltre, la regione che risultava aver contribuito di più alla crescita delle esposizioni assicurate era proprio la Lombardia. La stessa che oggi è tra le zone più colpite dagli effetti del covid-19 e che dimostra come questa emergenza si possa contenere, a livello economico, solo mettendo in campo bazooka ben più potenti di qualunque cat-bond o polizza mai concepita.

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