Perché non possiamo rilanciare il Paese se non riduciamo i tempi di pagamento della PA
– a cura dell'Osservatorio Conti Pubblici
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia nel gennaio scorso per il ritardo nei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni. I provvedimenti presi negli ultimi anni per affrontare questo problema hanno portato a un dimezzamento dei tempi di pagamento tra il 2016 e il 2019, ma non sono stati sufficienti. L’Italia al 2019 eccedeva ancora sia la media europea dei tempi di pagamento, sia i limiti consentiti dalla Direttiva 7/2011 dell’UE. Il recente stanziamento nel Decreto Rilancio di 12 miliardi per il pagamento degli arretrati è quindi del tutto giustificato.
La condanna dell'Ue
A inizio 2020 si è concluso il procedimento iniziato nel 2017 contro l’Italia per ritardi delle Pubbliche Amministrazioni in violazione della Direttiva 7/2011 dell’UE, la quale stabilisce che il pagamento debba avvenire entro 30 (in alcuni casi 60) giorni dalla ricezione della fattura o dalla consegna delle merci. Prima del ricorso alla Corte di Giustizia, la Commissione UE nel 2014 aveva inviato una lettera di messa in mora a seguito di denunce presentate da operatori economici e richiesto l’invio di relazioni sui tempi di pagamento tra dicembre 2014 e agosto 2016. L’Italia ha risposto con vari documenti da cui risultava che i tempi di pagamento per il primo semestre del 2016 erano in media di 50 giorni. Rilevando tempi superiori a quanto consentito dalla Direttiva UE, la Commissione ha richiesto all’Italia di porre rimedio entro due mesi, richiesta rimasta insoddisfatta. La Commissione ha quindi presentato ricorso alla Corte di Giustizia UE nel 2017, sottolineando fra l’altro che i dati presentati dal governo italiano erano migliori di quelli di analisi condotte da Confartigianato, Assobiomedica e ANCE, dalle quali emergevano tempi medi di pagamento rispettivamente di 99, 145 e 156 giorni. Il ricorso si è concluso il 28 gennaio 2020 con la condanna dell’Italia al pagamento delle spese per inadempimento degli obblighi derivanti dalla Direttiva UE 7/2011.
Principali misure per ridurre i tempi di pagamento
Prima della richiesta di adeguamento alla normativa arrivata nel 2014 da parte della Commissione, in Italia erano già stati introdotti provvedimenti per velocizzare i tempi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni. Nel 2012 una convenzione tra Cassa Depositi e Prestiti e ABI aveva messo a disposizione 10 miliardi, di cui 2 appositamente per agevolare le banche in operazioni di smobilizzo dei crediti verso le PA. Un successivo accordo tra ABI e le associazioni delle imprese aveva reso disponibili per le banche 10 miliardi per operazioni di cessione o anticipo di tali crediti. Successivamente tra il 2013 e il 2014 erano state stanziate risorse per circa 57 miliardi di euro in parte per fornire liquidità agli enti delle PA per il pagamento dei debiti pregressi e in parte per favorire lo smobilizzo dei crediti verso le stesse.
Successivamente alla richiesta di adeguamento, nuove misure erano state prese. Nel 2015 era stata operata una redistribuzione delle risorse del Fondo per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili in favore di regioni e province autonome ed era stata prolungata la sua operatività ai debiti maturati al 31 dicembre 2014. Nel 2016 il decreto 97, basato sulla legge delega n.124 del 2015 sulla riforma delle Pubbliche Amministrazioni, aveva imposto agli enti delle PA la pubblicazione periodica di dati sul tempo medio dei pagamenti dei debiti commerciali, il loro valore complessivo e il numero delle imprese creditrici, cosa particolarmente importante perché il 95 per cento del debito scaduto è detenuto da amministrazioni locali. L’introduzione della fatturazione elettronica (obbligatoria per tutte le PA dal 2015) aveva poi reso possibile l’invio automatico attraverso il Sistema di Interscambio (SdI) di tutte le fatture emesse e ricevute dalle Pubbliche Amministrazioni. Tali informazioni (disponibili sulla Piattaforma dei Crediti Commerciali) risultavano, però, incomplete in quanto non tracciavano le eventuali successive fasi di pagamento. Ciò è stato reso possibile con l’evoluzione in Siope+ di Siope, il sistema che raccoglie tutte le informazioni riguardanti incassi e uscite delle PA. Siope+ è stato creato con la legge 11 dicembre 2016, introdotto gradualmente a partire dal 2017 ed entrato in vigore per tutte le PA nel 2019.
Miglioramento ma non sufficiente: quali i motivi?
Per effetto di queste misure, prima relative ad incrementi di liquidità e smobilizzo dei crediti e più di recente focalizzate sul miglioramento della qualità e quantità di informazioni disponibili, i ritardi si sono ridotti. I dati di Assobiomedica e ANCE indicano una tendenza di decrescita dei tempi medi di pagamento tra il 2012 e il 2019 (Fig. 1; ci si riferisce a questi dati, anche se relativi solo a dei comparti specifici, perché il monitoraggio dei ritardi è iniziato meno di recente per altre fonti). I dati del Mef, più recenti, riportano una riduzione costante dei tempi di pagamento, passati da 71 giorni nel 2015 a 54 giorni nel 2018. Anche i dati Intrum, disponibili dal 2015, indicano un forte miglioramento tra il 2016 e il 2019 con una riduzione dei tempi di pagamento di circa il 50 per cento, da 131 a 67 giorni. Nonostante gli evidenti passi in avanti, l’Italia resta ancora molto al di sopra dei tempi di pagamento medi europei pari a 42 giorni (qui maggiori dettagli e qui per consultare i dati).
Le principali difficoltà nel ridurre i tempi di pagamento sono soprattutto di natura strutturale. In primo luogo, le procedure interne alle Pubbliche Amministrazioni mal si conciliano con i limiti temporali previsti per i pagamenti. Le procedure necessarie per giungere al pagamento dei debiti, cioè, non sono (già in origine) tali da consentire il rispetto dei termini imposti dalla normativa.
In secondo luogo, a parità di normativa nazionale, il rispetto dei tempi di pagamento dipende anche dai comportamenti, dagli obiettivi e più in generale dalla cultura amministrativa delle singole amministrazioni. Non tutte le Pubbliche Amministrazioni sono cattivi pagatori. Ad esempio, nel 2018 il Ministero dell’Interno presentava 37 giorni di ritardo medio mentre quello dell’Economia 25 giorni di anticipo.
Altro aspetto critico è quello della certificazione dei crediti, passaggio propedeutico per la loro cessione e per la compensazione con i debiti fiscali. Il processo di certificazione avviene attraverso la Piattaforma dei Crediti Commerciali (PCC) dal 2012, su istanza del creditore e ha lo scopo di verificare che il credito vantato sia certo, liquido ed esigibile prima della cessione o compensazione. La procedura prevede che la PA debba rispondere alla richiesta entro 30 giorni, oltre i quali, sempre su istanza del creditore, potrà essere nominato un commissario che rilasci la certificazione in luogo dell’ente debitore. La difficoltà di portare a termine la procedura risiede, ancora una volta, nei tempi di risposta degli enti, poiché mancano sia un effettivo controllo delle procedure sia un adeguato sistema sanzionatorio per il mancato rispetto dei tempi.
Infine, esistono casi particolari che incidono sulle medie nazionali. In Calabria, Campania e Sicilia, ritardi molto forti sono registrati per consorzi tra enti territoriali, organismi di natura pubblica creati per la gestione di servizi (es. fornitura d’acqua) affidati ad imprese private. La struttura di questi organismi consortili risulta spesso già in partenza inadeguata a ripagare le imprese private per i servizi forniti contribuendo così all’accumulo di debito non ripagato.
Il decreto Rilancio sui debiti della PA
Considerata la situazione ancora non risolta dei debiti scaduti e non pagati e le difficoltà affrontate dalle imprese a causa dell’emergenza Covid-19, il Decreto Rilancio è giustamente intervenuto con l’istituzione di un Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili. Il Fondo è composto da due sezioni: una dedicata ai debiti di enti locali, regioni e province autonome diversi dai quelli finanziari e sanitari e l’altra per i debiti del Servizio Sanitario Nazionale. Sono stati stanziati 12 miliardi, di cui 8 per la prima sezione e 4 per la seconda. Le risorse messe a disposizione del Fondo saranno finalizzate a concedere anticipazioni di liquidità per enti locali, regioni e province autonome e per gli enti sanitari che, anche a causa dell’emergenza, non riescano a far fronte al pagamento dei debiti commerciali per carenza di risorse. La liquidità anticipata sarà utilizzata per l’estinzione dei debiti maturati al 31 dicembre 2019. Inoltre, il Decreto ha anche previsto una spesa pari a 300 mila euro per il miglioramento della gestione e assistenza tecnica della Piattaforma per i Crediti Commerciali. Queste risorse dovrebbero contribuire ad arginare il problema dei ritardi nei pagamenti nel breve termine, ma data la natura delle cause sottostanti saranno poi necessari interventi di riforma strutturale.
A cura dell'Osservatorio conti pubblici