Perché migliaia di giovani durante la pandemia hanno lasciato volontariamente il posto di lavoro
Il fenomeno Great Resignation o Grandi dimissioni esiste anche in Italia, con numeri piccoli, ma significativi. A spiegarlo dati alla mano è il report "Nuove Generazioni: Nuove Organizzazioni"della società di consulenza Bip assieme ai tecnici di OpenKnowledge, che prova ad analizzare le ragioni di questo addio di massa al lavoro. Il termine Great Resignation descrive un fenomeno osservato a valle della prima ondata di Covid negli Stati Uniti, per cui le persone, dopo aver vissuto i lockdown, sono più propense ad abbandonare il posto di lavoro.
Negli Stati Uniti, infatti, a partire dalla primavera del 2021 fino alla fine dell’estate, sono stati registrati picchi record di dimissioni volontarie dei lavoratori e tuttora oltre il 3,4% dei lavoratori ogni mese abbandona il proprio posto di lavoro. Ryan Roslansky, CEO di Linkedin, ha parlato di questo fenomeno come un segnale cruciale di come si sta evolvendo la forza lavoro globale. Secondo gli insight di LinkedIn, i cambi di lavoro sono aumentati del del 54% tra il 2020 e il 2021. Il dato diventa ancora più significativo quando osservato dal punto di vista delle generazioni: per la Generazione Z, in particolare, il numero è aumentato dell’80%.
Negli ultimi due anni dimissioni cresciute del 20%
E in Italia? Secondo i dati della Banca d’Italia, nella primavera del 2021 il numero delle dimissioni si è attestato su valori superiori a quelli del pre-pandemia. Nei primi dieci mesi del 2021 sono state rilevate 777mila cessazioni volontarie di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, 40mila in più rispetto a due anni prima (circa il 5%). Nel terzo trimestre 2021, rispetto allo stesso periodo del 2019 le dimissioni sono cresciute del 20%. Secondo le Comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, nel quarto trimestre del 2021 le cessazioni di rapporti di lavoro sono risultate pari a 3 milioni 497 mila e hanno riguardato 2 milioni 663 mila lavoratori (per almeno una cessazione), con un aumento tendenziale del 14,4%.
L'incremento risulta decisamente più consistente nei giovani, appartenenti alla fascia dei 15-24enni (+22,2%) e alla fascia dei 25-34enni (+16,1%). La prima, in particolare, è la fascia d'età della Generazione Z. Ben 559.901 dismissioni è poi riconducibile a dimissioni volontarie da parte del lavoratore, con una prevalenza, in proporzione, sempre negli under 25.
"La gran parte delle persone che abbandonano volontariamente la professione – si dice nel Report-non lo fanno per uscire dal mercato, ma per trovare un’altra occupazione che possa essere più vicina alle proprie aspirazioni e alle priorità nate nel periodo pandemico".
Il 40% dei giovanissimi che trova lavoro è stressato
Il ritratto che emerge dalla Generazione Z sui luoghi di lavoro "è quello di ragazzi pragmatici, che hanno immaginato il proprio percorso di studi valutando anche gli sbocchi lavorativi. La maggioranza delle persone che hanno partecipato all’indagine, infatti, dichiara di svolgere un lavoro coerente con la formazione ricevuta e solo il 24% degli intervistati fa un lavoro poco o per niente (3%) in linea con quanto studiato".
In relazione ai comportamenti e alle percezioni riguardanti le fasi di selezione e ingresso in azienda, dall'indagine emergono tre profili: gli easy-going (44%), coloro che hanno vissuto con semplicità l’ingresso nel mondo del lavoro, gli stressati (40%), soprattutto a causa delle difficoltà legate alla pandemia, e i soddisfatti (16%), le persone che sono riuscite rapidamente a trovare una occupazione in modo facile e immediato.