
Da quando Donald Trump ha imposto i dazi sulle importazioni negli Stati Uniti le borse hanno iniziato a crollare. Anche oggi, lunedì 7 aprile, le borse asiatiche hanno fatto registrare cali che non si vedevano dai tempi del crac di Lehman Brothers nel 2008. E già dalla scorsa settimana abbiamo capito che quella di Milano è una delle borse che più soffriranno il nuovo corso americano. E infatti anche oggi, in apertura, sta perdendo oltre il 6 per cento. Ma perché Milano soffre così tanto i dazi di Donald Trump? I motivi sono almeno tre.
Partiamo anzitutto dall’andamento della Borsa. Chi investe vuole guadagnare e questo è il motivo per cui l’indice azionario non mente mai. È un buono specchio per comprendere quale giudizio l’economia e la finanza diano a ciò che accade. Milano da inizio anno guadagnava in Borsa – prendiamo la chiusura di venerdì 4 aprile come ultimo riferimento – oltre 10 punti percentuali. Meglio di Wall Street: era tra le migliori a livello globale, con le cinesi e con Francoforte. A oggi il guadagno è risicato. Post dazi da inizio anno porta a casa l’1,35%. La prima risposta al nostro perché è che se guadagni tanto, quando la musica cambia sei quello che perde più degli altri.
C’è anche un secondo perché, forse più importante. Tenete presente che Piazza Affari è una borsa cosiddetta “bancarizzata”, ovvero affollata di titoli finanziari. Torno su Francoforte per farvi capire quanto sia importante questo secondo motivo. Il Dax tedesco non ha il numero dei titoli finanziari di Milano ma ha tanti titoli del settore della difesa. Comparto che, come sapete, ha guadagnato moltissimo da inizio anno sulle prospettive di riarmo. Seguendo il ragionamento scritto sopra, chi guadagna di più poi è destinato a perdere di più e sono proprio questi titoli oggi ad affossare Francoforte. Tornando ai titoli finanziari a Piazza Affari essi scontano, oltre all’andamento e a un posizionamento estremi (significa che gli investitori sovrappesavano, ovvero avevano nel loro portafoglio, tantissimi titoli bancari), anche la discesa dei tassi di interesse da parte della BCE. Ricordate che le banche hanno guadagnato molto dai tassi alti della banca centrale. Percepivano un elevato rendimento sui loro soldi parcheggiati a Francoforte, senza però poi trasferirlo sui rendimenti dei conti corrente dei cittadini. Quando la BCE ha iniziato a tagliare la musica è cambiato. A questo oggi – ed è il motivo del loro crollo – si aggiunge un previsto peggioramento della loro qualità del credito a fronte di una potenziale recessione causata dai dazi trumpiani con la conseguente possibilità di ulteriori tagli dei tassi della BCE.
Terza risposta, altrettanto importante, è che l’Italia è un Paese esportatore. Ha un surplus commerciale – riesce a vendere agli USA più di quanto compri – che è secondo in Europa dopo quello della Germania. Con la rappresaglia cinese e il timore di un vero e proprio blocco del commercio l’Italia si trova in una posizione difficilissima e se forse è presto per chiamarla recessione di certo lo scenario è critico per un Paese come il nostro, i cui imprenditori sono sempre stati bravi a vendere all’estero i loro prodotti di qualità.
Come vedete dunque, la risposta alla domanda è costituita da una concomitanza di fattori tutti potenzialmente letali per l’economia italiana. Un ultimo, importante, monito suggerito dai gestori. In queste fasi occorre evitare il panico. Vendere a causa della paura non fa altro che peggiorare la situazione. Le borse storicamente sono sempre risalite e la perdita di un investimento non è reale finché non si vende. Fino a quel momento resta potenziale.
