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Perchè l’Europa torna a guardare a numeri e grafici

Dato che l’attuale crisi europea è il risultato di una crescita debole o assente, di un sistema creditizio ancora convalescente e di tensioni sul debito pubblico, analizzare grafici e numeri resta un esercizio indispensabile.
A cura di Luca Spoldi
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La “ripresa che resta sui grafici” sembra rafforzarsi in Eurolandia, con la Bce che rivede al rialzo le sue previsioni e parla ora di un Pil in calo dello 0,4% nel 2013 ma in crescita dell’1% l’anno successivo, ma anche no: stamane infatti Eurostat ha fatto sapere che in luglio la produzione industriale è calata dell’1,5% su base mensile per la Ue-17 (contro attese di consensus pari a -0,3%) e dell’1% per la Ue-28, aggiungendo che su base annua il calo è stato rispettivamente del 2,1% (attese: -0,4%) e dell’1,7%. Per l’Italia, poi, più che di ripresa occorre parlare di minore crisi: se la Bce sottolinea come stia crescendo il rischio di sforare il 3% di deficit/Pil dopo le mancate entrate su Imu ed Iva (che ancora non si sa come verranno compensate), per quanto riguarda il dato sulla produzione industriale si è registrato un calo mensile dell’1,1%a luglio (consensus: +0,3%), ovvero del 4,3% su base annua (attese: -2,7%).

Dare continuamente “i numeri” può sembrare un esercizio retorico per non affrontare le difficoltà di tutti i giorni, ma vi è un motivo se da qualche tempo si è tornati a guardare alle cifre con maggiore attenzione (e apprensione): se per caso la ripresa non dovesse giungere nei tempi e nei modi previsti, il fragile equilibrio raggiunto sui mercati sia per quanto riguarda il debito pubblico (e dunque il costo del suo rifinanziamento, costo che sta già lentamente aumentando perché i mercati scontano un calo degli stimoli monetari forniti dalla Federal Reserve americana ogni mese acquistando 85 miliardi di dollari di bond sul mercato), sia per quanto riguarda quello privato e in particolare il “funding” delle banche europee. Per cercare di ovviare ai rischi di futuri rialzi dei tassi e di maggiore difficoltà di rifinanziamento delle banche (che come ho già ricordato presentano ovunque, anche in Italia, casi di sofferenze e problematiche che lasciano prevedere la necessità di ulteriori ricapitalizzazioni o, in alternativa, cessioni del controllo o liquidazione degli istituti) e, a cascata, di accesso al credito delle aziende, la Bce e l’Europarlamento hanno messo un primo tassello di quello che sarà la futura unione bancaria europea.

E’ di oggi, infatti, l’approvazione dell’accordo sul meccanismo unico di vigilanza (Single supervisory mechanism, o Ssm), che affida alla Bce la supervisione delle 150 maggiori banche europee (primo passo verso l’unione bancaria europea) e la cui piena operatività è prevista per la fine di settembre del prossimo anno. In pratica alla Bce spetterà di controllare direttamente quelle banche della Ue, circa 150 in tutto, che hanno attivi superiori a 30 miliardi di euro o che rappresentino oltre il 20% del Pil del rispettivo paese ed il cui valore sia superiore ai 5 miliardi di euro (per tutte le altre banche la supervisione sarà esercitata dalla Bce attraverso le autorità nazionali). Si tratta peraltro solo di un primo passo, dato che resta da approvare l’accordo sul meccanismo unico di risoluzione (Single resolution mechanism o Srm), cui spetterà definire organismi e strumenti di gestione delle crisi bancarie, ossia in casi estremi decidere se “commissariare” o anche mettere in liquidazione un istituto.

In più sarebbe necessario arrivare ad un’assicurazione unica europea a tutela dei depositi di importo inferiore ai 100mila euro (o quanto meno ad una piena armonizzazione dei singoli schemi nazionali), prima che si possa riuscire a veder calare i costi di eventuali futuri “bailout” (salvataggi i cui costi ricadono all’esterno, ossia non solo sugli azionisti delle banche in questione ma anche sugli obbligazionisti e sui maggiori depositanti)  rispetto a quanto accaduto in passato, come quando il crack di Lehman Brothers fece letteralmente precipitare i mercati di tutto il mondo dando il “là” ad una crisi economico-finanziaria i cui effetti deleteri stiamo scontando ancora oggi. Nel frattempo, purtroppo, non è detto che tutto fili liscio: sul fronte del debito sovrano si è ormai quasi certi che la Grecia non riuscirà a restituire gli aiuti ottenuti a fine 2014 e dunque avrà bisogno di un terzo “bailout”, mentre anche per Irlanda e Portogallo non si può escludere di dover procedere a nuovi aiuti, eventualmente sotto forma di riscadenziamento degli impegni assunti.

Quanto alle banche, dopo le pesanti crisi che hanno investito gli istituti greci, ciprioti, spagnoli e portoghesi, vi è il concreto rischio che anche le banche della Slovenia possano dover ricorrere se non agli aiuti della Ue almeno a quelli della Bce, la quale potrebbe dunque attivare per la prima volta ad oltre un anno dal suo varo il programma Mto (Monetary Outright Transaction), in base al quale Eurotower può acquistare quantità illimitate di titoli di stato direttamente sul mercato secondario, a patto che lo stato richiedente sottoscriva preliminarmente una serie di condizioni. Questo peraltro richiederebbe, di fatto, una cessione di sovranità che finora nessun governo (ad eccezione di quello greco) si è sognato di concedere, a partire dalla Spagna (che già a fine anno scorso sembrava dovervi far ricorso ma che ha poi ottenuto fondi dalla Ue senza dover attivare il programma e dunque sottoscrivere ulteriori condizioni). Anche nel caso di Vilnius non sembra ancora esservi la volontà politica, ma se le cose non si aggiusteranno potrebbe essere un dettaglio.

La Slovenia ha infatti visto salire i crediti “problematici” (incagli e sofferenze) a 7,54 miliardi di euro a fine giugno. La cifra può sembrare relativamente piccola per un paese come l’Italia che emette abitualmente sui 7-8 miliardi di euro di titoli di stato ad ogni asta (oggi sono stati collocati, ad esempio, 5,5 miliardi di euro di Btp e 2 miliardi di Cct), per un totale di oltre 122 miliardi di euro di debito da rinnovare solo quest’anno, ma non è così irrilevante per la Slovenia, il cui Pil è pari a circa 38 miliardi di euro e non cresce da quasi tre anni, con un debito/Pil che rischia di toccare a fine anno il 55% e con una procedura che dovrebbe, come nel caso spagnolo, garantire la cessione di una parte consistente (circa la metà) dei crediti dubbia ad una “bad bank” pubblica, la Dubt (Società per la gestione dei crediti bancari) ma che di fatto è bloccata da mesi perché la Commissione Ue non si fida della valorizzazione degli asset problematici e sospetta che la crisi sia molto più grave del previsto. Nel frattempo la banca centrale slovena ha messo in liquidazione due istituti minori (Factor Banka e Probanka) a causa dell’inadeguatezza del capitale, del prolungarsi delle loro ricapitalizzazioni e della scarsa liquidità (in ulteriore calo).

La cessazione dell’attività, secondo le autorità slovene, non dovrebbe generare perdite per i risparmiatori, ai quali dovrebbero essere ripagati tutti i depositi, non solo quelli inferiori ai 100 mila euro, grazie all’utilizzo delle le garanzie statali (pari a 490 milioni di euro per Probanka, a 540 milioni per Factor). Tentando di smorzare sul nascere ogni allarmismo il governatore della banca centrale slovena, Bostjan Jazbec ha sottolineato: “non siamo Cipro, possiamo farcela da soli senza chiedere aiuto all’Europa”, ma il mercato sembra avere dubbi, tanto che il rendimento del decennale guida sloveno è già risalito al 6,75%, sempre più vicino alla soglia “del non ritorno” del 7% che ha già fatto capitolare i governi di Atene, Dublino, Lisbona e Nicosia. Per evitare ulteriori problemi e favorire le riforme servirebbe la crescita, almeno nei principali mercati di sbocco di Vilnius (Germania, Italia e Austria). Ma la crescita resta al momento più una speranza che una certezza: per questo analisti, banchieri e politici tornano a monitorare attentamente ogni dato macroeconomico.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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