Perché in Europa è sempre una battaglia tra Italia e Germania
La verità è che il compito dell'Eurogruppo riunito ieri, trovare una risposta comune allo shock economico generato dall'emergenza coronavirus, era una missione pressoché impossibile. Perché i 19 Paesi dell'Eurozona sono stati sorpresi da questa crisi senza precedenti in posizioni fortemente asimmetriche. Una soluzione ugualmente efficace, per una realtà così frammentata, non ha mai nascosto le sua natura ai limiti dell'utopico: la domanda, ancora una volta, è se saremo capaci di fornire una risposta abbastanza equa da permetterci di uscire dal tunnel ancora uniti.
La certezza non ce l'ha nessuno. La portata della crisi che stiamo affrontando è tale da aver messo a rischio il progetto economico europeo. Non è una sorta di minaccia sovranista questa volta: l'idea stessa di Unione vacilla di fronte all'incapacità, sotto gli occhi di tutti, di trovare un'intesa anche in un momento così delicato. E così troviamo (di nuovo) l'opposizione tra i rigorosi Paesi del Nord, da un lato, e l'affanno di quelli mediterranei, dall'altro. Che nel nostro Paese è vissuta come l'ennesimo match Berlino – Roma: uno scontro profondo tra politiche, approcci e realtà sostanzialmente diverse che (sicuramente in modo riduttivo, ma efficace) spiega quelle che sono le divisioni intrinseche su cui traballa l'unione monetaria da oltre vent'anni.
Per capire che cosa sia successo ieri sera bisogna fare uno sforzo quasi filosofico. Infatti non si può spiegare il rifiuto tedesco agli eurobond, la proposta dell'Italia per sopravvivere alla crisi, chiamando semplicemente in causa la paura di una mutualizzazione del debito. Perché dietro questo timore si nasconde una visione quasi dogmatica della politica economica, figlia tanto della crisi finanziaria di dieci anni fa, quanto dello spettro dell'inflazione vecchio oltre un secolo. La rigidità tedesca smette di essere uno stereotipo quando si parla di politica economica e diventa elemento intrinseco alla cultura economica della Germania. Per anni il Bundestag ha basato le proprie scelte economiche e finanziarie sulla regola della rigorosità dei conti pubblici.
Un bilancio equilibrato e il rispetto dei vincoli imposti dai trattati hanno guidato l'azione di Berlino, procurandosi gli attacchi dei Paesi del Sud Europa, più spendaccioni: così la Germania è stata spesso accusata di gestire la propria politica economica senza considerare il resto dell'Eurozona, nutrendo allo stesso tempo l'export tedesco della domanda degli altri Stati membri. Una manovra grazie al quale ha saputo contenere il suo bilancio.
Un'austerità che però, negli anni, ha cominciato a farsi sentire. E così nel corso del 2019 l'economia tedesca ha iniziato a rallentare e all'interno della stessa Germania hanno iniziato a sollevarsi voci critiche su quella che da sempre è stata la regola numero uno di Berlino: tenere i conti in ordine e il debito basso. La solidità del bilancio è stata quasi un mantra per i tedeschi, terrorizzati da un debito come quello italiano al 134,8% (mentre quello della Germania, al 61,9% è meno della metà), ma negli ultimi mesi diversi politici ed economisti hanno cominciato a suggerire di aumentare lievemente il deficit per stimolare l'economia.
E se già prima della pandemia si cominciava a mettere in discussione l'idea di una disciplina siberiana sui conti pubblici, ora questa appare semplicemente inadatta a rispondere alla crisi. Der Spiegel, il settimanale più letto in Germania, lo ha sottolineato nei giorni scorsi: "Questa volta è diverso, perché abbiamo a che fare con una catastrofe che sfugge al controllo degli Stati. È pertanto errato ritardare l’uso degli strumenti o escluderli del tutto: il compito ora deve essere quello di aiutare i Paesi che sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia. Whatever it takes". Una citazione che ha chiamato alla solidarietà verso gli Stati che stanno soffrendo maggiormente, in primis l'Italia.
Ma la prudenza tedesca ha finito per prevalere. Non sapendo quanto ancora durerà la crisi, né quale sarà il suo effettivo peso sulle casse europee, si è tenuta la linea dei trattati e degli strumenti convenzionali. In altri termini, combattere la crisi con il Mes e dimenticarsi degli eurobond. Ma questo non deve per forza essere tradotto in un 1 a 0 di Berlino – Roma. Che la Germania abbia, fin dalla sua creazione, esercitato un enorme peso sull'Eurozona non è un segreto: ma lo ha anche fatto in nome di un'affidabilità senza pari. Tuttavia, non è di questo che si è discusso all'Eurogruppo: anche se l'opposizione in Italia, ancora prima il vertice raggiungesse una conclusione, aveva trasformato la questione in un argomento contro la presunta dittatura tedesca in Europa, ciò su cui dovremmo davvero concentrarci sono i miliardi stanziati grazie ai quali potremo rimettere in piedi il sistema sanitario, il piano di ricostruzione comune, la sospensione dei vincoli che ci permetterà di spendere più di quanto normalmente potremmo fare, e i fondi grazie ai quali le imprese potranno pagare la cassa integrazione ai propri operai. Tutte risorse che, Mes o non Mes, non avremmo senza l'Unione europa.