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Perché il prezzo del gas sta salendo e cosa c’entra il conflitto in Israele: lo spiega un economista

Il prezzo del gas è aumentato improvvisamente all’inizio di questa settimana. Il professor Dario Guarascio, docente di Economia e politiche dell’innovazione all’università La Sapienza di Roma, ha spiegato a Fanpage.it che ruolo ha lo scontro tra Israele e Palestina in questo rialzo, quali sono le altre cause, e perché probabilmente ne vedremo gli effetti ancora per molto tempo.
Intervista a Dario Guarascio
Professore di Economia e politiche dell'innovazione all'università La Sapienza di Roma
A cura di Luca Pons
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Il conflitto tra Israele e Palestina scoppiato lo scorso sabato sta avendo effetti anche sul prezzo del gas. La guerra non è l'unico motivo alla base dei nuovi aumenti, resta il fatto che sul mercato di riferimento Ttf si è arrivati martedì a sfiorare i 50 euro al Megawattora (49,42 euro), il prezzo più alto da agosto. Fanpage.it ha chiesto al professor Dario Guarascio – docente di Economia e politiche dell'innovazione all'università La Sapienza di Roma – di spiegare cosa sta succedendo al mercato del gas, che effetti avrà in Italia e cosa ci si può aspettare per i prossimi mesi.

Professore, perché i prezzi del gas sono aumentati quasi del 30% in pochi giorni?

In generale, il conflitto tra Russia e Ucraina continua a creare instabilità, e quindi l'interesse dei fornitori a tenere alti i prezzi. Questo è un elemento che può covare sotto la cenere e non manifestarsi anche per periodi molti lunghi, per poi tornare. E poi ci sono gli avvenimenti più recenti, ad esempio l'interruzione – o presunto attentato – del gasdotto Baltic Connector in Finlandia, ma anche lo sciopero nel settore del gas avvenuto in Australia poche settimane fa. Infine, ovviamente, l'esplosione del conflitto tra Israele e Palestina. Basta pensare che l'azienda energetica Chevron ha annunciato la chiusura dell'impianto di produzione in un giacimento al largo delle coste di Israele.

Perché un conflitto in Israele, o un gasdotto in Finlandia, hanno un effetto sul prezzo del gas che paghiamo in Italia?

Perché quello del gas è un mercato altamente concentrato dal lato dell'offerta, e molto diffuso dal lato della domanda.

Cioè?

Sono pochi i Paesi dove si trovano i giacimenti e le infrastrutture, poche le imprese che gestiscono l'estrazione, il trasporto, lo stoccaggio e anche la vendita, e sono tutti collegati tra loro in modo molto stretto. Il lato dell'offerta quindi ha una grossa concentrazione di potere, cosa che porta anche a problemi di carattere geopolitico. Dal lato della domanda invece ci sono milioni di persone, i clienti, che hanno un potere contrattuale molto basso, se non nullo.

E questo cosa comporta?

Se ci sono dei problemi dal lato dell'offerta – un rincaro in un settore specifico, o l'instabilità politica che sembra potersi allargare e coinvolgere anche dei Paesi fornitori di gas – allora ci si aspetta che quei Paesi faranno di tutto per portare a un rialzo dei prezzi, in modo da garantirsi maggiori entrate. E questo ricade anche su chi usa quel gas, per esempio come riscaldamento per la propria casa.

Siamo all'inizio di una nuova crisi energetica?

Sicuramente si prefigurano tempi incerti e pericolosi. Sembrerebbe rinnovata la crisi energetica, che forse un po' superficialmente era stata considerata ‘sopita' rispetto alle prime fasi della guerra russo-ucraina.

Nel caso di Israele, perché il conflitto porta a un aumento dei prezzi del gas?

Bisogna ricordare due cose. La prima è che i prezzi del gas vengono determinati in un mercato finanziario centralizzato. Questo fa sì che quando c'è uno shock di qualche tipo, a prescindere da come funziona fisicamente l'approvvigionamento di gas ai singoli Paesi, questo si trasmette sui prezzi in modo generalizzato.

E la seconda?

Attualmente i principali fornitori dell'Italia sono Algeria e Azerbaigian, oltre ad altri Paesi della zona mediorientale. Tutti questi ora si trovano in situazioni di conflittualità sempre più intense. E peraltro sono coinvolti, a vario titolo, proprio nel conflitto israelo-palestinese. Le grida di giubilo del nostro governo e dell'Eni, quando dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino sembrava che l'Italia stesse ottenendo un grande successo a diversificare le sue forniture energetiche, oggi sono invecchiate molto male. Quei partner che ci sembravano un porto così sicuro (con l'Algeria abbiamo anche pianificato importanti investimenti, per approfondire ulteriormente le relazioni con l'Italia) risultano molto più instabili e pericolosi di quanto pensassimo.

Avremmo dovuto prepararci a una situazione simile?

L'Unione europea e i Paesi al suo interno tendono a essere vulnerabili, dal punto di vista della dipendenza esterna per gas e petrolio. Peraltro, grandi economie come quella italiana e tedesca puntano sul settore manifatturiero, e altri settori che consumano molta energia. Quello che manca all'Ue e ai suoi Stati membri è la capacità di trovare fonti di energia alternative a gas e petrolio. Questa capacità oggi è troppo bassa per affrontare un vero e proprio processo di transizione energetica.

Quindi siamo troppo dipendenti dalle fonti fossili e non siamo pronti a spostarci su altri tipi di energia. Cosa significa questo?

Che rischiamo di trovarci di nuovo in mezzo a una crisi, con l'aumento dei prezzi dell'energia e con un impatto che può essere forte anche sull'occupazione. Per di più, l'Italia ha strumenti molto contenuti sia per far fronte agli effetti sociali immediati – sostegno al reddito, aiuto ai lavoratori – sia per favorire la transizione ecologica, che dovrebbe diventare molto più veloce per tenere il passo con le crisi energetiche.

Il prezzo del gas continuerà a salire e ci troveremo in un altro periodo di bollette alte?

È un rischio molto concreto. E la questione potrebbe essere più ampia del solo prezzo del gas.

In che senso?

Guardiamo all'inflazione: al momento le sue cause sono fondamentalmente tre. La prima è il prezzo dell'energia, di cui abbiamo detto. La seconda sono i colli di bottiglia e i problemi nelle filiere di approvvigionamento soprattutto di alcuni beni strategici (penso al conflitto tecnologico tra Stati Uniti e Cina) e di materie prime: questi problemi non sono assolutamente finiti. La terza è che, in questa situazione, le imprese che possono farlo tendono ad aumentare i loro profitti, in parte anche a speculare. Penso alle imprese energetiche, o quelle finanziarie del settore. E i governi hanno una capacità decisamente limitata di controllare questo fenomeno.

Quindi non ci aspetta solo un aumento delle bollette del gas, ma un rialzo dei prezzi in generale?

Sicuramente c'è la possibilità che questi tre elementi alla base dell'inflazione si alimentino a vicenda. Quindi, realisticamente, l'inflazione sarà un problema perdurante. L'Italia poi, come tutta l'Europa, in questa fase stava cercando di ridimensionare gli aiuti alle fasce più deboli [i vari bonus bollette, che il governo avrebbe dovuto limitare nei prossimi mesi, ndr] dopo i grossi investimenti fatti con lo scoppio della guerra russo-ucraina. Invece questi aiuti potrebbero tornare assolutamente necessari.

Non si può intervenire a livello nazionale, o europeo, per migliorare la situazione?

Degli strumenti ci sono, la cosa che personalmente mi preoccupa molto è che il dibattito europeo sulle riforme fiscali sembra essere un po' contraddittorio e autolesionistico. Si parla di reintrodurre meccanismi di austerità, quando per economie ad alto debito come l'Italia in questa crisi ci sarebbe un estremo bisogno di risorse. E anche la Germania sostiene queste regole, quando oggi si trova anch'essa in una profonda crisi economica. Quindi l'Europa da questo punto di vista va in una direzione assolutamente suicida. La Banca centrale europea sembra intenzionata a continuare con un rialzo dei tassi molto deciso, con il rischio di penalizzare l'economia reale e di arrivare alla stagflazione, cioè una situazione in cui crescono i prezzi e l'economia ristagna.

Cosa bisognerebbe cambiare?

Si può sperare che ci sia una nuova discontinuità, anche culturale, a livello europeo, come era avvenuto durante la pandemia con il Next generation Eu e con la sospensione delle regole fiscali. In Italia, il governo italiano dovrebbe rendersi conto che servono decisioni di politica economica indirizzate in modo deciso alla transizione ecologica. Altrimenti, lo scenario che abbiamo di fonte è preoccupante.

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