Perché Cingolani ha ragione nel dire che il caro-benzina è “una truffa colossale”
Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani lo ha detto in modo molto chiaro: l'aumento esorbitante che stiamo vedendo sul prezzo della benzina, fino a 2,4 euro al litro, è "una truffa colossale" che non si vede in altri Paesi europei. La guerra in Ucraina, con le minori forniture di petrolio dalla Russia e l'embargo di Stati Uniti e Regno Unito, non sarebbe insomma il motivo principale dietro a rincari. Ha ragione? La risposta, in pratica, è sì, ma andiamo con ordine.
Quando e perché è aumentato il prezzo della benzina
L'Italia sicuramente non è un caso del tutto isolato e gli aumenti sul prezzo del carburante nei distributori vanno avanti da mesi, ben prima del conflitto tra Mosca e Kiev. Tutto nasce con la pandemia e i relativi problemi per il petrolio. Nei mesi più bui del Covid, tra 2020 e inizio 2021 c'è stato un rapido consumo delle scorte di greggio, dovuto anche alla riduzione dell'estrazione per cause di forza maggiore. La carenza che si è determinata ha fatto salire sui mercati il prezzo del Brent, il principale indice finanziario del petrolio.
I produttori, così, sono stati spinti a estrarre più greggio e aumentare le vendite. L'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, però, ha deciso di farlo solo come previsto ad agosto, cioè producendo ogni mese 400mila barili al giorno in più, per recuperare i tagli decisi all’inizio della pandemia. Questa scelta ha mantenuto il prezzo del petrolio sui mercati molto alto, con una prima impennata che è iniziata proprio quando, a inizio gennaio, l'Opec ha confermato l'indirizzo intrapreso e garantendo ai produttori ricavi elevati, a discapito di cittadini e imprese occidentali.
Dal 4 gennaio al 24 febbraio, giorno in cui Putin ha annunciato l'operazione militare in Ucraina, il prezzo del Brent è salito infatti da 79 a 99 dollari al barile. Questo si è riflesso sui prezzi del carburante, con il costo sul servito che in Italia aveva già sfiorato i 2 euro al litro a inizio febbraio.
Le commissioni sulla benzina e la "truffa" di cui parla Cingolani
Una seconda impennata sul Brent la si è vista dal 1 marzo, con l'acuirsi del conflitto in Ucraina. Il valore è passato in soli 8 giorni da 100 a 130 dollari al barile, per poi riscendere ai 107 dollari di oggi. Qui sta il "nervosismo dei mercati" di cui ha parlato Cingolani. Gli investitori sono stati spaventati dall'embargo sul petrolio russo di Stati Uniti e Regno Unito, dalla minore capacità di acquisto dell'Europa e contemporaneamente dalle difficoltà dell'Opec. Quest'ultima, infatti, ha ridotto del 4% la capacità di produzione, non riuscendo, sostengono loro, a stare nemmeno nel piano previsto ad agosto. E ancora una volta l'impennata ha colpito a cascata società di raffinazione, distributori, imprese e cittadini europei.
Ma gli aumenti non hanno riguardato allo stesso modo tutti i Paesi del Vecchio Continente. L'Italia, assieme a Danimarca, Finlandia, Olanda, Svezia e Germania, ha avuto i rincari maggiori. A cosa è dovuto nel nostro caso? È vero, da noi le tasse pesano tantissimo sul costo della benzina (tra accise ed Iva circa il 57%), ma rispetto agli aumenti internazionali in Italia il greggio è aumentato maggiormente: di circa il 7% in più dall'inizio dell'anno e dell'1% in più dallo scoppio della guerra in Ucraina.
Numeri alla mano si potrebbe pagare un 5-6% in meno se agli scossoni sui mercati internazionali non si fossero aggiunti comportamenti che sembrano quanto meno opportunistici da parte di diversi operatori italiani. Le società di raffinazione o importazione del petrolio applicano infatti una commissione di intermediazione di 8 centesimi al litro per la rivendita al distributore. Ma alcune società hanno raddoppiato o addirittura triplicato il costo. Se la commissione tornasse ai livelli standard, insomma, il prezzo della benzina, ma anche quello del diesel, scenderebbe appunto almeno di qualche punto percentuale. Per tutti questi motivi la speculazione di cui parla Cingolani non sembra proprio irrealistica.