Pensioni, le ipotesi per il superamento della quota 100: come cambierà la flessibilità in uscita
Il confronto tra governo e parti sociali sulle pensioni partirà il 27 luglio. Da quel giorno inizierà ufficialmente la discussione sulla fine della quota 100, prevista per la fine dell’anno. L’obiettivo di molte delle parti in causa è quello di evitare un ritorno alla legge Fornero, introducendo altri anticipi pensionistici che possano sostituire la misura introdotta dal primo governo Conte. Non ci sono solo i sindacati a chiedere misure a favore dei lavoratori che vogliono lasciare il lavoro in anticipo, ma anche Movimento 5 Stelle e Lega. Pure il Pd, comunque, vuole una nuova modalità di flessibilità in uscita. Le ipotesi in campo sono varie, si va dalla quota 41 all’anticipo a 63 anni solamente per la parte contributiva.
Pensioni, dopo la quota 100 certezza è solo Ape sociale
Qualsiasi soluzione deve comunque essere considerata in funzione dei suoi costi, come ricorda Il Sole 24 Ore sottolineando l’attenzione della Commissione europea sul tema. E anche Palazzo Chigi si muove con estrema cautela, partendo dalla nomina di Elsa Fornero come consulente del Comitato d’indirizzo per la politica economica istituito dal sottosegretario Bruno Tabacci. In attesa di una decisione sugli anticipi pensionistici, l’unica certezza sembra essere il rafforzamento dei canali agevolati per i lavoratori gravosi e per i lavori usuranti, a partire dall’estensione dell’Ape sociale. Finora il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha rinviato la discussione sul post-quota 100 puntando prima sulla riforma degli ammortizzatori sociali e sullo sblocco dei licenziamenti e la tutela dell’occupazione.
Il 27 luglio parte il confronto sulle pensioni anticipate
Con la convocazione del 27 luglio i sindacati chiederanno una riforma complessiva delle pensioni entro l’anno, magari partendo dalla loro proposta unitaria. Ovvero da una flessibilità in uscita dopo i 62 anni di età e magari da una pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, che sarebbe di fatto la quota 41. Su cui sono favorevoli M5s e Lega, mentre il Pd è favorevole a una maggiore flessibilità in uscita ma al momento non indica una direzione precisa. La proposta al momento più realizzabile è quella caldeggiata anche dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: possibilità a 63 anni di età, con almeno 20 di contributi, di accedere alla quota contributiva per poi avere il retributivo a partire dai 67 anni. Il vantaggio sarebbe avere un impatto minore sui conti pubblici, con un costo che arriverebbe a massimo due miliardi.
La quota 41 e il nodo costi
Per l’Inps è più difficile arrivare alla quota 41, che costerebbe fino a 9,2 miliardi l’anno. In campo anche altre ipotesi: per esempio quella dei 64 anni di età e i 36 di contributi con assegno tutto contributivo o i 64 anni di età e i 20 di contributi ma con importo minimo di almeno 2,8 volte l’assegno sociale. In questo caso la spesa arriverebbe a poco meno di 5 miliardi. Unica certezza, anche per l’istituto di previdenza, è la tutela dei lavoratori con salute precaria o che si dedicano a un’attività gravosa. Vuol dire, di fatto, rafforzare l’Ape sociale e le misure per i lavori usuranti e i lavoratori precoci.