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Pensioni: Boeri chiede un contributo di solidarietà e più flessibilità

Tito Boeri, presidente dell’Inps, propone di cambiare le regole per l’uscita dal mercato del lavoro e l’accesso alla pensione, finanziando la riforma con un contributo sulle pensioni più alte. Ma subito si levano voci contrarie alla modifica dello status quo…
A cura di Luca Spoldi
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Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, getta un sasso nello stagno: sono quasi 475mila le pensioni liquidate prima del 1980 e che quindi vengono erogate da più di 36 anni, un esempio di come essendo state fatte “concessioni eccessive in passato, queste concessioni pesano oggi sulle spalle dei contribuenti” per cui occorre trovare un modo di correggere il sistema. Come? Boeri propone di “chiedere un contributo di solidarietà dalle pensioni più alte, per i giovani, e anche rendere più facile a livello europeo questa uscita flessibile”.

Non solo: Boeri non ha voluto solo fare una “provocazione per avviare una riflessione, che con gli usuali tempi della politica italiana impiegherebbe mesi se non anni a giungere a un qualsivoglia risultato: invoca anzi di intervenire “in tempi ragionevolmente stretti”, perché “non è qualcosa che si può rimandare a lungo” anche perché, nota, l’attuale blocco “ostruisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni”. Apriti o cielo, le reazioni non si sono fatte attendere e non solo a livello politico.

Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, esclude subito nuovi prelievi ricordando come un contributo di solidarietà sulle pensioni di importo elevato “c’è già, è a scadenza, dovrà essere valutato se confermarlo in quella maniera o diversamente, ma non credo che ci sia nulla allo studio” aprendo solo timidamente la porta alla flessibilità proposta da Boeri (“vedremo cosa fare”). Ma quella di Boeri non è una “novità”, anzi: il presidente dell’Inps già il mese scorso aveva osservato come il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, di fatto in vigore ormai da 15 anni,  sommandosi agli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile abbia finito col determinare una gravissima disoccupazione intellettuale, oltre che un ulteriore abbassamento dell’efficienza generale delle pubbliche amministrazioni.

Prima della crisi, ha già avuto modo di ricordare l’economista, il personale under 24 anni bilanciava nel settore pubblico quello over 55 anni di età, mentre oggi i giovani sono solamente il 12% di lavoratori pubblici; per poter poi attuare politiche di riequilibrio dell’equità in ambito previdenziale ed evitare le polemiche sulle pensioni di reversibilità di questi ultimi mesi, per Boeri sarebbe urgente guardare a quel 30% di popolazione più ricca cui vanno 5 miliardi all’anno di prestazioni assistenziali. Ma gli interessati non ci stanno ed argomentano il proprio dissenso. C’è chi nota che le pensioni pagate in questi 36 anni sono state versate anche grazie ai contributi dei lavoratori a reddito più elevato e non sarebbe giusto ora che questi lavoratori sono andati in pensione e incassano un assegno in base ai contributi versati farli pagare un’altra volta.

Altri obiettano come prima di far pagare contributi a chi ha regolarmente versato contributi sarebbe opportuno chiedere un sacrificio a chi percepisce più pensioni. Altri ancora, ed è quasi un coro da stadio, chiedono di procedere anzitutto alla eliminazione di tutte le elargizioni pubbliche e private (vitalizi ed altri trattamenti continuativi con qualsiasi nome), eliminando la maggiorazione tra quanto percepito e i contributi effettivamente versati, per poi mettere a carico della fiscalità generale il provvedimento, ad esempio rimodulando le aliquote Irpef così che anziché avere un sola aliquota al 43% per tutti i redditi oltre i 70 mila euro si arrivi ad avere un paio di ulteriori aliquote ad esempio del 50% tra i 70 e i 500 mila euro di reddito imponibile annuo e una del 55% oltre tale soglia (o anche più alta, magari per i redditi imponibili oltre il milione di euro annui).

C’è poi chi lamenta la quasi inevitabile presenza di un numero indeterminato ma presumibilmente ampio di “furbi” che potrebbe aver maturato il diritto a una pensione modesta solo perché negli anni ha evaso di versare contributi in proporzione al reddito, avendo evidentemente non dichiarato una parte del reddito stesso (e visto che le stime sull’evasione oscillano dai 120 ai 180 miliardi di euro l’anno a seconda della fonte, l’osservazione non appare del tutto peregrina). Comunque la pensiate, due cose vanno dette: anzitutto Tito Boeri porta avanti da tempo questa proposta e ha saputo argomentarla, senza cambiare idea ad ogni stornir di fronde e questo in Italia è cosa purtroppo non comune, anche tra economisti.

La proposta di Boeri inoltre mira a ridurre il tasso di povertà tra gli over 55 enni e contemporaneamente ridare flessibilità all’uscita (e di converso all’entrata) dal mercato del lavoro, e non sono obiettivi da poco. Resta tuttavia lo scoglio delle risorse, in calo anzichè in crescita a fronte di una ripresa finanziata a debito. Il governo Renzi sta dilapidando una decina di miliardi l’anno col bonus Irpef (i famosi “80 euro al mese”), più altri 5 miliardi scarsi con l’abbattimento dell’Imu sulla prima casa. Sono 15 miliardi all’anno che ingessano ulteriormente il bilancio pubblico e non possono dunque essere meglio utilizzati ad esempio per finanziare la riforma proposta da Boeri.

Per carità, qualche soldo in più in tasca e qualche tassa in meno da pagare fanno piacere a tutti, ma se i provvedimenti non sono strutturali (e tali non appaiono i due provvedimenti citati, nonostante le ripetute assicurazioni giunte in tal senso dal governo) probabilmente non avranno alcun effetto duraturo. Come già ora mostra di non aver avuto effetti duraturi un provvedimento come il Jobs Act, che di fatto ha solo sussidiato assunzioni che in larga misura sarebbero comunque avvenute, con l’unico effetto di farle concentrare nel periodo in cui il sussidio era erogato.

Certo, il taglio del cuneo fiscale deve essere l’obiettivo da conseguire da parte di qualsiasi governo, ma più tempo si perde meno risorse a disposizione rimangono e più incerto è l’equilibro di lungo termine (anche) del sistema previdenziale italiano. Su questo dunque Tito Boeri non può essere in alcun modo criticato: occorre fare presto e prendere decisioni efficienti e non propagandistiche. Purtroppo il tema previdenziale, in un paese economicamente analfabeta come l'Italia, resta difficile da affrontare correttamente perchè gli effetti che produrranno decisioni prese oggi si percepiranno solo tra 30 o 40 anni. Per questo tuttavia occorre trovare un equilibro di sistema senza il quale a rischiare di rimanere senza pensione saranno quegli stessi giovani che oggi faticano a trovare lavoro e non sempre hanno genitori o nonni in grado di “sovvenzionarli”.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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