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Opinioni

Pagamenti in contante: farina del diavolo o olio per far girare l’economia?

Il premier Matteo Renzi cambia idea: il contante non va abolito, anzi la soglia va aumentata da 1.000 a 3.000 euro. Le reazioni sono contrastanti…
A cura di Luca Spoldi
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Contante sì, contante no: da almeno un decennio gli italiani sentono parlare dell’importanza della moneta elettronica, del costo per la società derivante dall’utilizzo del contante, di come il contante favorisca l’evasione spicciola, il “nero” che per decenni ha fatto da “lubrificante” quotidiano di un’economia che sembra incapace per larghi strati di adattarsi al nuovo che avanza (almeno sui mercati esteri). Se dal 1991 al 2001 esisteva un limite al trasferimento di contanti, libretti di depositi bancari o postali al portatore o titoli al portatore pari a 20 milioni di lire, poi “tradotto” in 10.329,14 euro con l’avvento della moneta unica, dal primo gennaio 2002, già alla fine di quell’anno la soglia all’utilizzo del contante come strumento di pagamento era stata fissata a 12.500 euro.

La soglie viene brevemente abbassata, dal 20 aprile al 24 giugno 2008, a 5.000 euro, ma dopo quella data la soglia ritorna a 12.500 euro, con l’ulteriore precisazione, dopo qualche indecisione, che pagamenti frazionati “purché non artificiosamente” in importi inferiori a detto limite sono considerati regolari anche se l’importo complessivo supera la soglia. Tutto chiaro? Mica tanto, perché il 31 maggio 2010 la soglia ridiscende a 5 mila euro, con l’ulteriore precisazione che il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importi pari o superiori ai 15.000 euro costituisce “elemento di sospetto” (e può quindi far scattare indagini). Passa un anno o poco più e la “manovra d’agosto” del governo Berlusconi IV, nel 2011, dimezza il limite a 2.500 euro; qualche mese ancora e a dicembre con la “manovra Monti” varata dall’omonimo governo “tecnico” la soglia si riduce a soli mille euro, con pagamenti in contanti vietati anche quando effettuati “con più pagamenti inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati”.

La misura viene esaltata non solo come un modo per alleggerire il sistema bancario dei costi legati all’utilizzo del denaro contante (fornendo al tempo stesso, senza troppo andar per il sottile, una fonte di reddito visto che l’utilizzo di assegni e moneta elettronica non avviene, di norma, gratuitamente ma a seguito del pagamento di una commissione), ma anche come modo per combattere l’evasione: il “nero”, insomma, non serve più anzi è iniquo e va combattuto. L’idea sembra piacere a distanza di qualche anno a Matteo Renzi e al suo “consigliori” economico Davide Serra, che in un’intervista al Sole 24 Ore del dicembre 2013 “suggerisce” al premier “in pectore” (sarebbe subentrato a Enrico Letta nel febbraio successivo): per combattere l’evasione occorrerebbe “abolire il contante”, fare dichiarazioni incrociate delle dichiarazioni del reddito e dei flussi di cassa e aumentare “di una cinquantina di miliardi” il prelievo fiscale sui lavoratori autonomi.

Tutto sembra procedere per il meglio, la “fondamentale riforma per eliminare l’evasione dal basso, anziché perder tempo con chi porta all’estero dividendi per centinaia di milioni di euro l’anno, sfruttando gli spazi che la legislazione esistente consente per pagare meno tasse possibili, sembra imminente, sembra fatta, dopo la fattura elettronica e lo scontrino elettronico (che per il momento, dal 18 ottobre, scatterà solo per le polizze Rc Auto, si spera portando qualche sconto agli italiani e una riduzione del forte dislivello ancora esistente tra i premi pagati al Nord e al Sud Italia) il contante non ha più ragione d’esistere e poi gli italiani non sembrano molto presi dal problema, forse perché di contente se ne ritrovano in tasca sempre meno a fine mese aggiunge malizioso qualche analista finanziario (vil razza dannata). Poi colpo di scena.

Renzi parlando della Legge Finanziaria che sta per essere presentata in Parlamento anticipa: verrà proposto l’innalzamento da mille a 3 mila euro del limite all’utilizzo del contante, perché “basta al terrore, chi fa il furbo lo stronco per bene ma i cittadini per bene non devono essere assediati da un esercito” e su questo non dovrebbero poterci essere dubbi, ma così non è. Esulta Confesercenti, parlando (a sproposito) di un “allineamento con i competitor e una semplificazione dei rapporti con i visitatori stranieri abituati all’estero ad un ampio utilizzo dei contanti”, mentre le associazioni dei consumatori appaiono divise e se Codacons plaude alla misura “chiesta da tempo”, Adusbef e Federconsumatori ritengono la scelta “immotivata e fuori luogo” temendo che possa rappresentare “un clamoroso ed insensato passo indietro sul fronte della tracciabilità, della legalità e della trasparenza”.

Sullo sfondo l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, fa sapere che ritiene che così si favoriscano “i consumi in nero, il riciclaggio, l’evasione e la corruzione”, mentre i sindacati fanno eco e parlano di proposta che va “esattamente nella direzione opposta ad una seria lotta all’evasione fiscale, di cui l’Italia detiene la maglia nera in Europa”. Personalmente trovo curioso come nessuno abbia mai pensato di associare l’evasione fiscale più che alla soglia dell’utilizzo dei contanti al modello culturale del “fare impresa” in Italia, così legato a concetti ben poco innovativi come “impresa povera, imprenditore ricco” che in altri paesi non si sono mai sviluppati o sono scomparsi da decenni.

Quanto alla soglia stessa, ben venga la “soglia zero”, ma solo nel momento in cui il risparmio di costi che questo comporterà per il sistema creditizio italiano andrà non a rimpolpare i magri bilanci delle banche (tuttora troppo pieni di sofferenze causate da “allegre” politiche del credito che distingueva e forse ancora distingue tra “amici” e non, più che tra meriti di credito), ma ad alleviare i costi per i risparmiatori e le aziende italiane, che proprio nel costo del credito continuano a vedere uno dei tanti fattori di minore competitività rispetto ai competitor esteri.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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