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Occhi puntati su Bruxelles, ma i conti stentano a tornare

Borse euforiche in attesa del meeting di Bruxelles del 23 maggio in cui potrebbero vedere la luce gli attesi Project bond comunitari con cui rilanciare la crescita attraverso nuove infrastrutture. Ma i conti…
A cura di Luca Spoldi
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Emporiki Bank

Occhi puntati su Bruxelles. Ci sono nel corso della continua storia in divenire dei mercati dei momenti in cui l’attenzione si concentra su pochi elementi e la direzione, il “sentiment” dei mercati stessi sembra poter cambiare. Domani è probabilmente uno di questi momenti, complice l’attesa che è cresciuta costantemente in queste settimana per un compromesso tra la voglia di “rigore” tedesco ad ogni costo, anche a costo di far male (agli altri), anche a costo di perdere per strada la Grecia, la cui uscita dall’euro, avvertono tutti (dal Fmi, che pure è tra gli artefici della distruzione dell’economia di Atene a causa di un furore “rigorista” quasi superiore a quello di Berlino, agli altri “maiali” del Sud Europa, a cominciare da Spagna e Italia, desiderosi di allontanare ogni sospetto di “complicità” con la vittima sacrificale di turno) sarebbe “oltremodo costosa” ma che intanto ognuno sembra in fin dei conti auspicare, all’insegna di un “meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine” che appare di buon senso ma come ogni luogo comune rischia di non tener conto della realtà.

Arrivano gli Eurobond, anzi i Project Bond. Come che sia, ci siamo: domani i capi di governo dell’Unione europea si incontrano per un meeting “anticipato” a Bruxelles e secondo le ultime voci nonostante la resistenza di Angela Merkel si preparano a varare quei “project bond”, eventualmente da far emettere dalla Bei (che verrebbe ricapitalizzata per 10 miliardi di euro dagli stessi paesi membri della Ue), al momento ancora uno dei pochi emittenti “AAA” in giro in Europa (anche se Fitch ha già messo il rating sotto osservazione e potrebbe ridurlo nei prossimi mesi). Project bond che di fatto come gli Eurobond (che Berlino non vuol neppure sentire nominare) rappresentano una forma di mutualizzazione del debito e del rischio legato alla crisi del debito sovrano greco, ma che rilancerebbero progetti infrastrutturali europei e dunque sosterrebbero la ripresa con una spesa pubblica “virtuosa” di fronte alla quale anche la Germania finirebbe col cedere, semmai in cambio di formali e solenne promesse (destinate a fare la fine di tutte quelle fatte negli anni passati persino da Germania e Francia, ossia a finire nel cestino della carta straccia al momento opportuno) circa la volontà di tutti, Grecia compresa, di ripulire i propri bilanci e ristrutturare la propria economia a partire dal settore del credito.

Mercati euforici. Così i mercati proseguono nel rimbalzo partito ieri, con Piazza Affari che segna attorno al 3,4% di recupero e il Btp decennale che vede  il rendimento scivolare sotto il 5,58% (con un recupero di poco superiore ai 21 punti base) a fronte di uno spread sul Bund di pari durata del 4,11% (25 punti base di guadagno rispetto a ieri). Eppure i conti continuano a non tornare: c’è infatti da chiedersi quanta fiducia possano accordare i mercati a una “soluzione” con cui, a fronte di una piccola iniezione di capitali (10 miliardi sono meno dei 18 miliardi che il fondo “salva stati” Efsf sta versando alle quattro maggiori banche greche perché ricapitalizzino a spese dei contribuenti europei e tornino solvibili, potendo così accedere nuovamente alle operazioni di rifinanziamento ordinario presso la Banca centrale europea, che nel frattempo ha fatto credito per 106 miliardi di euro alla banca centrale greca perché fornisse, lei “direttamente”, la liquidità d’emergenza a queste e ad altri istituti a rischio di insolvenza), si chiederà tramite successive emissioni a tassi inferiori di quelli che dovrebbe pagare la Grecia stessa piuttosto che altri “periferici” come Italia o Grecia (anche se difficilmente così bassi come quelli che paga la Germania, che sui propri Bund ormai registra un rendimento reale negativo, ossia inferiore all’inflazione corrente, particolarmente accentuato nel caso degli Schatz a due anni, che vengono ormai emessi a tassi nominali prossimi a zero), di assumersi l’onore e l’onere (e il rischio) di finanziare la ripresa.

Conti non scontati. C’è da augurarsi che il tutto abbia successo, ma guardiamo alle cifre in gioco: in Grecia le banche hanno circa 200 miliardi di euro di depositi percepiti come “a rischio” in quanto potrebbe verificarsi una corsa allo sportello se le cose peggiorassero; inoltre le sofferenze su crediti, visto come sta crollando il Pil, sono destinate a salire ulteriormente generando nuove perdite (solo i primi 4 istituti greci, quelli che saranno ricapitalizzati a spese dell’Efsf, hanno perso nel 2011 28 miliardi di euro in totale). Contemporaneamente le banche spagnole, fortemente esposte al settore immobiliare, potrebbero veder salire le sofferenze (già pari all’8,7% dei depositi) fino a 218-260 miliardi (e anche ammettendo che una parte di tali sofferenza possa essere recuperata si tratterebbe di perdite da iscrivere in bilancio per non meno di 200 miliardi). In più anche nel caso del “solido” sistema bancario italiano l’aggregato sta rapidamente crescendo (si sfioravano i 108 miliardi a fine febbraio, con una crescita del 16,5% su base annua). Anche senza considerare Portogallo e Irlanda (che pure sono lontani dall’essere fuori dalla crisi) occorrerebbero tra ricapitalizzazioni, accantonamenti e coperture di perdite pregresse almeno altri 400 miliardi solo per mettere “in sicurezza” tutte le banche dei PIIGS, un altro centinaio ne occorrerebbero per non doversi preoccupare del Belgio, poi resterebbero da mettere “in sicurezza” le aziende che dal credito dipendono, poi ancora occorrerebbe trovare soldi per la ripresa: nella peggiore delle ipotesi (come hanno scritto gli analisti di Deutsche Bank), si tratterebbe di più di altri mille miliardi contro i meno di 800 che restano a disposizione dei “firewall” europei. La differenza andrebbe dunque chiesta, tramite “project bond” agli investitori privati, col rischio che qualcosa vada storto. A questo punto sorge spontanea la domanda: se anziché prendere tempo e dividersi “ideologicamente” tra presunti rigoristi e presunti “keynesiani”, ci si fosse mossi subito due anni fa, quante perdite si sarebbero evitate, sia ai bilanci delle banche e delle aziende, sia in termini di vite umane e tranquillità sociale? E quante altre perdite si subiranno se dovesse ancora una volta prevalere la scelta “comoda” di rinviare i problemi?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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