Sarà un caso, o sarà che il mio primo mestiere non è mai stato quello di scrivere di economia quanto di capire cosa stia succedendo per poter prendere decisioni di investimento (come facevo quanto gestivo fondi e linee di Gpm per alcuni investitori istituzionali operanti sul mercato italiano alla fine degli anni Novanta) o per elaborare analisi finanziarie su strumenti e mercati (come faccio tuttora per la mia clientela istituzionale).
Certo è che non sono passate 24 ore da quando vi avevo segnalato come molti concorrenti internazionali stiano gongolando neppure troppo segretamente mentre la tempesta mediatica alimentata dal clima di campagna elettorale sta infuriando nei confronti delle maggiori banche e multinazionali italiane, con un susseguirsi di indiscrezioni, inchieste e arresti (solo ieri all’elenco già nutrito si sono aggiunti i nomi di Angelo Rizzoli, ultimo rappresentante dell’omonima famiglia di editori milanesi che dopo aver dovuto cedere l’azienda di famiglia si era “reinventato” come produttore cinematografico e viene ora indagato per una bancarotta fraudolenta da 30 milioni di euro a cui avrebbe concorso anche la seconda moglie, Melania De Nichilo, parlamentare del Pdl, e Alessandro Proto, finanziere milanese 38enne salito all’onore delle cronache per aver affermato di aver rilevato importati partecipazioni in Rcs Mediagroup e Tod’s, dichiarazioni che si sarebbero rivelate truffaldine come molte altre), che ecco arrivare lo “scoop”.
Secondo il noto sito di gossip Dagospia dopo un patto “stretto durante un incontro segreto a Dubai” dai russi del fondo Pamplona, che fa capo all’oligarca Mikhail Friedman (considerato amico del presidente russo Vladimir Putin), terzo maggiore azionista di UniCredit col 5,011% del capitale, “con gli arabi del fondo Aabar di Abu Dhabi che con il 6,5% sono i primi azionisti della banca italiana”, il patto stesso “si sarebbe allargato anche a un terzo soggetto: il fondo americano BlackRock” (secondo azionista di Unicredit con il 5,036%). Una presenza al tempo stesso importante e ingombrante, visto che BlackRock, assieme ai fondi Fidelity, a Invesco e a Harris Associates costituisce la “crema della crema” dei nuovi padroni di Piazza Affari, avendo partecipazioni rilevanti nelle maggiori società e banche quotate italiane.
La qual cosa ogni tanto comporta qualche inconveniente: a vendere quasi il 2% di Saipem la sera prima del “warning” sui risultati 2012 e 2013 (che ha poi fatto crollare le quotazioni di un terzo) tramite un collocamento privato curato da Bank of America Merrill Lynch sembrerebbe poter essere stata proprio BlackRock, maggiore società d’investimento al mondo, nata nel 1992 da una scapola del Blackstone Group, che gestisce fondi per quasi 3.400 miliardi di dollari, presente tuttora in Atlantia (con poco più del 5% del capitale) e Ubi Banca (2,177%), dopo aver azzerato o ridotto sotto la soglia del 2% (che fa scattare l’obbligo di segnalazione alla Consob di ogni ulteriore acquisto o vendita di titoli) le proprie partecipazioni in Mediobanca, Banco Popolare, Bpm, Bulgari, Eni, Enel, Fiat, Generali, Intesa Sanpaolo, Mediaset, Parmalat, Prysmian, Telecom Italia, Terna, Finmeccanica (sarebbe interessante sapere se i gestori americani intendono mantenerla, ridurla o incrementarla dopo i fatti di questi giorni) oltre che nella stessa Saipem.
Come già dicevo ieri la colpa di questo stato di cose (se di colpa vogliamo parlare) non è tanto dei concorrenti internazionali, che sempre approfittano delle disgrazie altrui (non sarà un caso se il presidente francese Francoise Hollande ha deciso di recarsi in India per una visita di stato di due giorni accompagnato da una sessantina tra imprenditori e banchieri d’affari pronti ad approfittare di ogni spazio utile per concludere lucrosi affari proprio dopo la disavventura in cui è incappata Finmeccanica), quanto di una classe di manager, imprenditori e banchieri che in Italia non appare migliore di quella politica. Una classe di manager, imprenditori e banchieri che usa sovente concionare sull’importanza di tagliare il costo del lavoro, ma poi si concede bonus multimilionari non necessariamente legati alla crescita sostenibile del valore per gli azionisti (piuttosto all’andamento a breve termine delle quotazioni dei titoli azionari in borsa), che pubblicamente condanna la corruzione e la burocrazia imperante in Italia ma poi ricorre volentieri a pratiche al limite del lecito (quando non illecite) per “facilitare” l’ottenimento di appalti e ordini, che tiene lezioni sulle virtù della concorrenza ma poi cerca con azioni di lobbying di evitare di subirne troppa di concorrenza nei settori e sui mercati in cui opera.
Forse una classe di manager, imprenditori e banchieri (e politici) di cui gli italiani potrebbero fare a meno, sempre che siano in grado di dotarsi di qualcosa di meglio, altrimenti sarebbe forse preferibile accettare di perdere il controllo di aziende, banche e settori più o meno strategici, prima che vederli morire per l’eccessiva ingordigia o eccessiva miopia di pochi. Non trovate?