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Opinioni

Non piangere per me: il 31 luglio l’Argentina rischia il secondo default in pochi anni

Mancano poco più di 24 ore al possibile secondo default dell’Argentina in soli 14 anni e la situazione è sempre più ingarbugliata. Un’amara lezione per chi ha predicato il ricorso a un default come scorciatoia per tornare a crescere.
A cura di Luca Spoldi
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Conto alla rovescia per l’Argentina, che allo scoccare del 31 luglio potrebbe cadere nuovamente in default, il secondo dopo quello del 2001 che causò uno chock da 100 miliardi di dollari schiantando l’economia di Buenos Aires e che ben si ricordano anche quasi mezzo milione di risparmiatori italiani che, allettati dagli elevati tassi offerti dai “tango bond” rimasero alla fine col cerino in mano (nel concambio “prendere o lasciare” del 2005, riaperto alle stesse condizioni nel 2010, venne mediamente abbattuto del 70% il valore nominale del debito, anche se l’entità dell’haircut per i singoli investitori è dipeso dai diversi titoli posseduti finiti in default e dai diversi titoli “di scambio” ricevuti). Il perché ho già provato a spiegarlo ma visto che i giorni passano e gli incontri tra i rappresentanti legali dell’Argentina e quella dei bondholder che non hanno accettato il concambio e da anni chiedono di essere pienamente rimborsati (principalmente fondi hedge Usa, ma tra coloro che attendono di vedere come finirà ci sarebbero anche circa 50 mila investitori italiani) è meglio fare il punto della situazione con le ultime novità emerse.

Anzitutto, come ha riferito una colorita ricostruzione del New York Times, il giudice Thomas Poole Griesa (giudice federale da ben 42 anni) sembra non aver compreso sino in fondo la portata della sua giurisdizione. Inizialmente ha dichiarato di voler obbligare l’Argentina ad adempiere “alle proprie obbligazioni” (ossia rimborsare integralmente il debito), aggiungendo però di non voler causare un nuovo default. Per questo dopo aver emesso un’ordinanza vincolante con la quale chiedeva all’Argentina di ripagare integralmente i bond finiti in default alla data del pagamento degli interessi relativi alla prima semiannualità (ossia a fine giugno scorso) sui bond “scambiati”, vietando al tempo stesso alle banche americane di agevolare in qualsiasi maniera tale pagamento in assenza del rimborso di cui sopra, sembra aver compreso di aver generato un mostro giuridico. Il perché è presto detto.

Anzitutto negli accordi del 2005 e 2010 l’Argentina aveva inserito la clausola “pari passu”, che prevedeva uno stesso identico trattamento per tutti i bondholder; in sostanza se qualche bondholder che non avesse aderito all’offerta e per qualsiasi ragione fosse stato rimborsato in seguito, le condizioni che fosse riuscito a strappare avrebbero dovuto essere applicate a tutti, anche a chi aveva accettato il concambio. Il che, ex post, si può dire sia stata una rischiosa forzatura di Buenos Aires (ossia un “bluff”, riuscito o meno si vedrà in base a come finirà la vicenda in corso) per far credere agli investitori di tutto il mondo che non ci sarebbe stata alcuna convenienza a rinviare ulteriormente l’accettazione dell’accordo stesso. Così ora rimborsare integralmente i fondi americani (e/o i risparmiatori italiani, o inglesi, o finanche giapponesi, che all’epoca non accettarono il concambio) significherebbe vanificare quel “haircut” e dover rimborsare integralmente, 13 anni dopo il default, l’intero debito.

Cosa evidentemente impossibile visto che, anche se potrebbe saldare integralmente gli ultimi bond in default non scambiati, dato che valgono appena 4 miliardi di dollari (di cui 1,3 miliardi nei portafogli dei fondi hedge statunitensi che hanno promosso la causa), all'Argentina non basterebbero le riserve della sua banca centrale per rimborsare integralmente tutto il suo vecchio debito. Ma i guai non finiscono qui: Griesa sembra non aver tenuto in conto che non tutti i titoli di stato argentini erano in dollari ed emessi in base alla legge americana (che è poi la tipologia di bond su cui ha sicuramente giurisdizione il giudice). Tanto che quando la filiale argentina di Citigroup (che fa da trustee per i bond emessi in base alla legge argentina, sia che siano denominati in peso sia in dollari) gli ha chiesto cosa doveva fare, il giudice ha inizialmente concesso l’esenzione dal suo ordine e dunque il pagamento degli interessi sui bond “scambiati”, cosa che invece era stata vietata espressamente a Bank of New York Mellon (trustee per i bond emessi in base alla legge americana) e ad altre banche Usa operanti negli States.

Poi, inaspettatamente, il giudice ha dato ragione ai legali dei fondi hedge americani, che facevano notare come non fosse un’eccezione da poco quella concessa, dato che riguardava circa un quarto di tutti i nuovi bond “scambiati” emessi da Buenos Aires e che quindi, se confermata, avrebbe fortemente diminuito il potere negoziale dei fondi stessi di fronte ai rappresentanti argentini. Le banche, confuse da questi continui cambi di opinione per ora si sono tenute il denaro che Buenos Aires aveva regolarmente inviato per procedere al pagamento degli interessi, i bondholder che hanno accettato i titoli “scambiati” sono incavolati neri perché non hanno visto alcun centesimo di interesse pur essendo quasi del tutto scaduto il mese concesso come “periodo di grazia” per procedere al pagamento delle cedole ed evitare il default, i fondi (e i 50 mila investitori italiani, oltre ad alcune altre migliaia del resto del mondo) che hanno portato in causa l’Argentina sperano di portare a casa qualcosa, ma temono anche, a questo punto, che Buenos Aires preferisca fallire nuovamente, negli Usa, e ordinare alle banche di continuare a pagare gli interessi sui bond “scambiati” nel resto del mondo.

Le banche stesse non sanno più se devono sfidare il giudice Grisa o il governo di Buenos Aires (che potrebbe obbligare loro di pagare, almeno in Argentina oltre che in paesi come la Francia che hanno detto di appoggiare la posizione di Buenos Aires). Conclusione: le cose non sono mai semplici come sembrano, ma nel caso dell’Argentina (tanto più dopo la controprova offerta solo due anni or sono dalla Grecia) una cosa dovrebbe essere chiara, che i default, pilotati o meno che siano, non sono mai processi semplici da gestire. Producono contraccolpi giganteschi sull’economia del paese che cade in default non meno che nelle tasche degli investitori che, incauti o avidi, avevano sottoscritto i bond in questione. Aprono contenziosi legali che si trascinano per anni. Rischiano di far deragliare anche ogni successiva ripresa economica che il default stesso avrebbe dovuto, in linea del tutto teorica, stimolare dopo “appropriato” periodo di lacrime e sangue per i contribuenti dello stato fallito.

Sperando che la vicenda abbia un lieto fine, che per ora non si intravede (anzi i Cds, ossia i credit default swap, che indicano il rischio di fallimento di un emittente, sono ai massimi degli ultimi 6 mesi) ma che potrebbe giungere all’ultimo minuto con la rinuncia da parte dei fondi hedge a portare sino all’estrema conseguenza la disfida, il mondo probabilmente non si accorgerà neppure dell’ennesima tragedia argentina. Gli argentini al contrario rischiano di accorgersene sulla propria pelle nei prossimi mesi/trimestri. E in Italia qualcuno (che so: il premier Matteo Renzi e il suo ministro dell’Economia e Finanze, Pier Carlo Padoan?) dovrebbe iniziare a smetterla di perder tempo a inseguire riforme “istituzionali” incomprensibili ai più (e di incerto impatto sull'economia del paese) e trovare il modo di far ripartire la crescita e disinnescare quella bomba a orologeria rappresentata da un debito pubblico che ha superato quota 2.166 miliardi e cresce a velocità più che tripla di quella di un Pil che si affida unicamente alle esportazioni per cercare di non perdere altro terreno.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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