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Nella confusione dei mercati qualcosa va migliorando, forse

Piccoli segnali incoraggianti anche oggi dal mercato del reddito fisso, nonostante voci e dichiarazioni finiscano con l’infastidire gli investitori che come sempre in questi casi fanno una sola cosa: vendono.
A cura di Luca Spoldi
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Le borse del mondo in negativo

Se ieri sera era stata in parte la delusione dovuta al fatto che i colloqui ad Atene tra Grecia e bondholder privati non hanno ancora portato ad accordo e in parte le parole di Frau Merkel, che non perde occasione per ribadire che la Germania si oppone a ogni ipotesi tendente ad ampliare i limiti di raccolta per il fondo di salvataggio permanente Esm (che sostituirà da metà 2012 l’Efsf), come pure al varo di Eurobond comunitari, oggi sono le voci di un “imminente” taglio del rating sovrano della Francia a rovinare la giornata dei mercati finanziari europei (e di Wall Street, ma non dei T-bond che sono sempre più il vero “bene rifugio” cui indirizzano i propri capitali i maggiori investitori occidentali).

Peccato, perché nella confusione si tende a non notare alcuni piccoli ma incoraggianti segnali che nel frattempo sono stati segnati, come il buon risultato dell’asta a breve termine di titoli spagnoli di ieri (4,94 miliardi collocati di titoli a 13 mesi, al tasso del 4,05%, e a 18 mesi, al 4,226%, in entrambi i casi minori della volta prima) e quella appena discreta del Btp a 5 anni di oggi (3 miliardi assorbiti interamente da una richiesta di 1,42 volte superiore all’offerta sebbene a tassi pari al 6,47%, in crescita dello 0,17% rispetto all’asta precedente).

Altro segnale da non sottovalutare in una giornata peraltro complicata dall’incertezza venutasi a creare dalla discordanza tra i Btp decennali presi a riferimento dalle due maggiori agenzie di informazione finanziaria al mondo (la Reuters guarda al nuovo benchmark scadenza 2022, Bloomberg ancora al vecchio benchmark 2021, per ora ancora più liquido e dunque con rendimenti e spread più contenuti) il fatto che la curva italiana dei tassi stia gradualmente proseguendo in un irrigidimento che indicherebbe come per gli investitori l’ipotesi peggiore, di un default e/o di un’uscita dall’euro del Belpaese, resti improbabile (la maggior parte degli analisti assegna non più del 10% di probabilità all’evento), mentre i problemi potrebbero riguardare il tempo necessario all’economia italiana per ripartire e i “rischi di esecuzione” (ossia l’effettiva entrata in vigore di riforme strutturali), visto che già per altri paesi come la Grecia l’Fmi (che sta iniziando a criticare la “ricetta europea” somministrata ad Atene) nota che le misure promesse sono rimaste in gran parte sulla carta minacciando di produrre ulteriore incertezza e semmai di danneggiare, più che migliorare, le già deboli prospettive economiche elleniche.

Nel concreto l’Italia non dovrebbe correre lo stesso rischio, visto che il governo, accolti alcuni emendamenti che non sembrano destinati a cambiare i saldi della manovra (che peserà a vario titolo per 33 miliardi nelle tasche di molti ma non di tutti) dovrebbe porre la fiducia, levando così d’imbarazzo quegli stessi partiti che lo sostengono ma che avrebbero dovuto proporre (sia come forza di governo sia come opposizione) misure analoghe che se attuate negli scorsi anni in una fase di crescita economica avrebbero potuto essere di minor impatto nelle tasche degli italiani e di maggior effetto in termini di riefficientamento del sistema (condizione prima per poter parlare di sostegno alla ripresa).

Agendo ora, temono in molti, si finirà col varare l’ennesimo salasso senza spostare più di tanto le prospettive che restano per il “sistema Italia” debolissime per i trimestri a venire. Sarebbe pertanto opportuno che il governo ricordasse alla Germania di non tirare troppo la corda perché la “via tedesca” che passa per una crescita legata esclusivamente alle esportazioni e che esclude “virtuosamente” ogni sostegno ai paesi più “deboli” e “colpevoli” (ma negli anni passati volentieri accompagnati nel loro sentiero poco virtuoso dai paesi del Nord Europa che così trovavano ricchi mercati per le proprie aziende) non sembra poter funzionare a livello europeo (e alla lunga neppure a livello solamente tedesco).

A tutto questo si aggiunga che il mercato si avvia alla chiusura dei conti di fine anno, che molti gestori tendono a tirare i remi in barca viste le incerte prospettive e a portare a casa ogni sia pur minimo guadagno segnato negli ultimi giorni, che alcuni trend come l’indebolimento dell’euro contro dollaro (ormai sotto quota 1,30) sono fortemente avversati in pubblico dalle autorità europee  ma servirebbero proprio a dare un minimo di sfogo (così come servivano le svalutazioni competitive della lira negli anni pre-euro), al costo di mantenere l’inflazione sui livelli attuali, mentre il calo dell’oro sembra segnalare che di inflazione (e quindi di tassi nominali in decisa crescita) non si scorga traccia ancora per molti mesi o trimestri, nonostante che tutti pensino che i livelli attuali toccati sia dai titoli di stato sia dalle obbligazioni societarie dell’area dell’euro sono destinati a salire ulteriormente, specie sulle scadenze più lunghe (perché la crisi del debito richiede più risorse di quelle disponibili al momento).

Insomma: la confusione resta molta sotto questo cielo, ma sottotraccia qualcosa sembra migliorare, anche per merito dell’azione continua delle banche centrali a sostegno delle banche e dei mercati del credito. Azione che, tra l’altro, sta mantenendo su livelli moderati i tassi a breve termine su cui spesso sono calcolati, tra l’altro, i mutui a tasso variabile. Il che è un’ulteriore buona notizia, tanto più se, come molti pensano, le incerte prospettive dell’economia indurranno la Banca centrale europea (oltre alla Banca d’Inghilterra e alla Federal Reserve americana) ad allentare ulteriormente la propria politica monetaria con gli inizi del prossimo anno (attraverso nuove limature dei tassi o ulteriori programmi di riacquisto di bond). L’importante sarà non lasciar passare inutilmente il tempo e approfittarne semmai per varare queste benedette riforme, alla faccia di tutte le lobbies, caste e cricche di cui è ricca l’Italia e l’Europa intera ma i cui costi non appaiono più a lungo sostenibili dal ceto medio del vecchio continente.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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