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Opinioni

Def, l’abbuffata è finita: e al Conte Bis sono rimasti solo i conti da pagare

29 miliardi di nuove spese, 15 miliardi di nuovo debito, 23 miliardi solo per evitare l’aumento dell’Iva. La manovra del governo Conte Bis è tutta qua: un grande conto da pagare per gli 80 Euro e le Quote 100 altrui, con qualche spicciolo per ridurre il cuneo fiscale e per il dissesto idrogeologico. E l’anno prossimo sarà ancora peggio.
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Vi piace il caffè? Bene: è questo quel che ci toccherà sorseggiare con la legge di bilancio del 2019. Un bel caffè, e dopo il conto da pagare, perché a mangiare ci hanno pensato i governi precedenti.

Oddio, leggendo la Nota d’Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef, per gli amici) e ascoltando le parole del presidente del consiglio Giuseppe Conte e del suo ministro dell’economia Roberto Gualtieri si direbbe il contrario. Ci sono due regole, infatti, che l’Italia deve rispettare in quanto membro dell’Unione Europea con un debito che supera il 130% del prodotto interno lordo, nel fare la sua manovra di bilancio: deve ridurre il rapporto tra deficit e Pil e quello tra debito e Pil. Bene, nella Nadef il governo Conte Bis le infrange entrambe. Il deficit/Pil cresce di un decimale rispetto allo scorso anno e il debito vola al 135,7%.

Aspettate a scomodare Keynes e new deal vari, perché a dispetto dei 29 miliardi di spese aggiuntive, questa è la manovra più povera degli ultimi sette anni almeno. Già, perché 23 di quei 29 miliardi andranno a scongiurare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole che i governi Letta, Renzi, Gentiloni e Conte Uno hanno messo a salvaguardia delle loro manovre, rivelatesi sempre troppo ottimistiche rispetto alle previsioni.

Al governo giallo-rosso tocca pagare salato, quindi. E tocca indebitarsi per farlo, visto che di risorse proprie il governo ne mette poco meno della metà: 14 miliardi su 29, generati dal recupero dall’evasione fiscale e dal taglio dei cosiddetti sussidi all’inquinamento – 2 miliardi di tasse in più sul gasolio, con Salvini già sul piede di guerra. Tutto il resto, 15 miliardi buoni, sono nuovo debito pubblico, gentilmente concesso dalla Commissione Europea e favorito da tassi d’interesse molto bassi, ora che la Lega No-Euro è all’opposizione e l’Italexit sembra temporaneamente scongiurata.

In estrema sintesi: tanto debito (15 miliardi) per andare a coprire i costi in eccesso dei governi precedenti, dagli 80 euro di Renzi al reddito di cittadinanza di Di Maio, sino a Quota 100 di Salvini. E il bello è che nemmeno ringraziano, Renzi, Di Maio e Salvini. Al contrario, seppure su barricate opposte intimano Conte e Gualtieri di non azzardarsi ad aumentare l’Iva, come se non fossero stati loro, con le loro manovre costose e inutili ad appesantire l’Italia di questo ingombrante fardello.

Il resto? Briciole. Due miliardi e mezzo per il taglio del cuneo fiscale, 1,25 euro ogni 100 di stipendio che escono dalle casse dello Stato e finiscono in tasca al lavoratore, tre miliardi circa per il dissesto idrogeologico (ne servirebbero 30), il rifinanziamento di industria 4.0 e la promessa di cashback a chi paga con le carte di credito, misura che il governo spera si paghi da sola con il recupero di parte dell'enorme economia sommersa italiana. E infine – cannoni di coriandoli per tutti – i 50 miliardi di investimenti, che altro non sono che soldi già stanziati e fermi da chissà quanto che il governo sposta da una parte all’altra, facendo finta che siano nuovi.

La cosa buffa e drammatica assieme è che tutto questo affannarsi ad addolcire la situazione, a dire che andrà tutto bene, a ergersi a salvatori di un Paese che finalmente riparte, non servirà a nulla, e già oggi si vede il trucco, spulciando le carte della Nadef. Se va bene – se va tutto bene – l’economia crescerà del 1% fra tre anni, spingendo sempre più in là la stagnazione ormai ventennale che si è impossessata della nostra economia, l’unica economia europea che non è mai cresciuta più del 2% su base annua nel corso del Terzo Millennio. Nel frattempo gli interessi sul debito, che già sono pari a 73,3 miliardi, più di quanto spendiamo ogni anno per l’istruzione, continueranno a crescere e dovremo emettere sempre più debito pubblico per ripagarli.

E il resto del programma di Pd e Cinque Stelle? La riduzione delle tasse ai ceti medio bassi, l’aumento di stipendio agli insegnanti, le assunzioni di nuovi medici, l’azzeramento dei costi degli asili nido? Tutto rimandato al prossimo anno. Quando ci saranno 29 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare -forse qualcosa in meno, se il governo riuscirà a ridurle come promette,  forse pure di più, se qualcosa andrà storto. Dopo il caffè, del resto rimane solo il conto da pagare.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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