Come previsto la Bce non ha toccato i tassi neppure oggi ed ha anzi ribadito che il quadro macro sta evolvendo come previsto, salvo una ripresa che seppure in corso resta per ora più debole di quanto si prevedeva potesse essere a questo punto, cosa su cui sembra concordare l’Ocse, che anzi ha tagliato a +3,1% la previsione di crescita del Pil mondiale per quest’anno rispetto al +3,7% preventivato a ottobre (contro il 3,9% di crescita media registrato nel decennio 2001-2011 e una crescita del 3,3% segnata lo scorso anno). Una ripresa leggermente più debole significa nessun significativo rischio di inflazione ancora per diversi mesi e infatti Mario Draghi, presidente della Bce, nella odierna conferenza stampa ha aggiornato le stime al riguardo indicando di attendersi una inflazione dello 0,3% quest’anno, dell’1,5% nel 2016 e dell’1,8% nel 2017.
Restando sotto il 2% l’inflazione anche il programma di “quantitative easing” (acquisto di bond sul mercato) della Bce non subirà variazioni e andrà come previsto avanti fino almeno al settembre del prossimo anno, salvo aggiustamenti che si dovessero rendere necessari (ma “non è al momento il caso” ha ribadito Draghi) nei mesi a venire. Cosa significa per le aziende e le famiglie questo quadro macroeconomico e dei tassi? Che verosimilmente i tassi stessi resteranno ancora molti mesi sui livelli attuali, per poi alzarsi gradualmente nel corso del prossimo anno e di quello successivo, senza tuttavia “sparare” eccessivamente. Le banche, in particolare, potranno continuare a vendere alla Bce titoli di stato che rendono poco o nulla al momento e ottenere liquidità praticamente a costo zero da investire in impieghi leggermente più redditizi, ad esempio i mutui. Ma è conveniente per aziende o famiglie indebitarsi a lungo termine ora e se sì con quale struttura di tassi?
Posto che le imprese continuano a chiedere poco credito addizionale e che lo stesso viene in larga misura utilizzato per finanziare il capitale circolante (per sua natura a breve termine), dato che non stanno ancora aumentando in modo consistente gli investimenti, perdurando ancora, specie in Italia, gli effetti della lunga recessione da domanda che la “cura tedesca” ha finito con l’esacerbare in questi anni, è chiaro che la convenienza a indebitarsi sia per un’azienda sia per una famiglia dipende dal tipo di impiego che si vuole dare al capitale. Se per un’impresa si tratta sostanzialmente di stimare quali margini di profitto saranno ottenibili dalla vendita di prodotti e servizi sui vari mercati (domestico o internazionali), per una famiglia, specie se alle prese con l’acquisto di un immobile, potrebbe trattarsi anche di scegliere se sia più conveniente acquistare l’immobile stesso o rimanere affittuari, un calcolo che andrà effettuato in base al proprio specifico profilo fiscale oltre che alle specifiche offerte a cui si sarà in grado di accedere.
Ciò premesso, visto che al momento l’Euribor (su cui di solito si calcolano i tassi dei mutui a tasso variabile) è tuttora negativo sia a un mese (-0,06%) sia a tre mesi (-0,01%), mentre l’Irs (su cui si parametrano i mutui a tasso fisso) varia dallo 0,09% a un anno all’1,00% a 10 anni, per poi salire all’1,43% a 30 anni, all’1,45% a 40 anni e all’1,40% a 50 anni, per molte famiglie (ma anche molte aziende, che infatti già lo stanno facendo) potrebbe valere certamente la pena rinegoziare e/o allungare il proprio debito, valutando un tasso variabile nel caso di scadenza non superiori ai 5-10 anni e preferendo un tasso fisso, o un tasso variabile con un “cap” per proteggersi da eventuali future risalite dell’inflazione e dei tassi, nel caso di scadenze più lunghe.
Ma quali sono le offerte migliori al momento? Poniamo vogliate sottoscrivere un nuovo mutuo per surrogare un precedente contratto per un importo di 100 mila euro, su una scadenza tra i 10 e i 30 anni. Se optaste per un tasso fisso nel primo caso l’offerta migliore sarebbe quella di WeBank, pari al 2,91% (Taeg 3%), ovvero l’Irs a 10 anni più uno spread del 2% (che scenderebbe all’1,9% per importi superiori ai 125 mila euro), con una rata di 961,48 euro mensile; nel caso di una scadenza trentennale sempre WeBank vi farebbe pagare il 3,32%, applicando gli stessi spread, con una rata che “spalmata” su una durata tripla della precedente scenderebbe a 439,26 euro al mese.
Volete correre qualche rischio in più, magari sperando che almeno fino al 2017-2018 i tassi non si muovano troppo? Con un mutuo a tasso variabile, sempre a 10 o 30 anni di scadenza e sempre per 100 mila euro, il risparmio sarebbe consistente, dato che paghereste al momento nella migliore delle ipotesi con WeBank l’1,79% (Taeg 1,85%) ovvero l’Eurobor a 3 mesi più uno spread dell’1,8% (che scende all’1,7% sopra i 125 mila euro di importo) ovvero sempre l’1,79% (ma il Taeg è leggermente maggiore, 1,87%) con ING Direct (stessi spread di WeBank). Nel primo caso la rata sarebbe di 910,66 euro, nel secondo caso le prime due rate vi costerebbero 924,17 euro per poi calare a 899,55 euro. Sui 30 anni un mutuo a tasso variabile viene offerto all’1,74% (Taeg 1,78%), ovvero Euribor a 3 mesi più 1,75% da ING Direct, o all’1,79% (Taeg 1,82%), ossia Euribor a 3 mesi più l’1,80% da Webank: in questa seconda ipotesi con ING Direct paghereste una rata mensile di 346,72 euro, con WeBank di 359,07 euro.
Notate che mentre le strutture di costo sono sostanzialmente allineate, piccoli risparmi (o costi aggiuntivi) sono legati alla diversa incidenza di spese accessorie come quelle legate all’istruttoria della pratica. Da sottolineare anche che molte banche “preferiscono” che voi assicuriate il contratto di mutuo. Tra le varie proposte in questo campo, a titolo d’esempio, quella di MetLife vi costerebbe mediamente attorno agli 8-9 euro al mese aggiuntivi per 7 anni nel caso vogliate assicurare i vostri 100 mila euro per un contratto di mutuo decennale, mentre per assicurare un importo analogo di un mutuo di 30 anni verreste a pagare circa 17 euro al mese per 27 anni. Anche senza considerare questi ulteriori costi, che sono indipendenti dalla tipologia di mutuo che abbiate sottoscritto, la differenza tra un mutuo a tasso variabile ed uno a tasso fisso è attorno all’1,5% annuo sulla durata dei 30 anni, come dire che optando per un tasso variabile “risparmiereste” oltre un anno di rate nell’arco dei prossimi 30 anni, se i tassi non varieranno.
Decisamente una proposta allettante, ma c’è il piccolo particolare che se Mario Draghi e gli esperti della Bce hanno ragione l’inflazione dovrebbe aumentare proprio di un 1,5% annuo tra quest’anno e il 2018. Aumentando l’inflazione aumenteranno ovviamente anche i tassi e quelli di mercato potrebbero anche muoversi leggermente prima e in modo leggermente più marcato di quelli ufficiali e dell’inflazione: se così fosse nell’arco dei prossimi 18-24 mesi un mutuo a tasso variabile sottoscritto oggi cesserebbe di essere più conveniente di un mutuo a tasso fisso, sempre sottoscritto oggi (mentre potrebbe rimanere più conveniente di un mutuo a tasso fisso futuro se le prospettive di inflazione dovessero tornare a crescere in modo strutturale) e rischierebbe anzi di farvi pagare di più. Al momento i mutui a tasso variabile rappresentano dunque ancora la soluzione migliore, ma le cose potrebbero cambiare rapidamente.
Come potreste tutelarvi da una simile ipotesi? Ad esempio sottoscrivendo un mutuo a tasso variabile con “cap” (ossia un limite massimo al tasso variabile). In questo caso a 10 anni, l’offerta migliore, di WeBank, prevede un “cap” del 4,45% e vi costerebbe ora il 2,34% (Taeg 2,41%) ossia Euribor a 3 mesi più il 2,35%, lo 0,55% in più del semplice mutuo a tasso variabile di pari durata. E’ questo il costo del “cap” e non è poco visto che la rata sale a 935,36 euro al mese (vale a dire 24,7 euro in più al mese, che moltiplicati per 120 rate significano 2.964 euro in più nell’arco dei 10 anni). Notare che in questo caso anche a 30 anni il tasso non varierebbe (se non il Taeg, che scenderebbe al 2,38% potendosi “spalmare” i costi fissi accessori su un periodo di tempo più lungo) né come tassi, né come spread e neppure come “cap”, rendendo più utile, se volete optare per questa soluzione, adottarla per un periodo di tempo più esteso, sul quale i rischi di un rialzo dell’inflazione e dei tassi sono ovviamente maggiori che non nel breve-medio termine.