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Opinioni

Mps, tutti gli errori e i rischi di una commedia degli equivoci

La commedia degli ecquivoci che da anni va in scena a Mps si avvicina all’atto finale. Se non sarà possibile completare l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro si procederà alla conversione forzosa delle obbligazioni subordinate, col Tesoro pronto a intervenire per i circa 2 miliardi di bond in mano ai risparmiatori privati. Salvi obbligazionisti senior e depositanti…
A cura di Luca Spoldi
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La vicenda Mps torna all’onore delle cronache con interrogativi che col passare dei giorni sembrano aumentare di numero e importanza, anziché diminuire. Anzitutto: che Mps sia in affanno a causa di un affare sbagliato, l’acquisizione a prezzi stratosferici di Antonveneta dal Banco Santander, nel novembre 2007, era noto a tutti ed in particolare era stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica in modo puntuale e documentato già da Lettera43 nel febbraio 2013 quando il sito di informazione diretto da Paolo Madron scrisse che “la prova che il rischio di questo mega acquisto fu rovesciato sin dall’inizio sui cittadini e sui governi è nelle carte di Santander, Mps e Antonveneta, dove sono raccontati passo dopo passo i dettagli del passaggio di un folle gioco di promesse di vendita futura da 71 miliardi di euro”.

Il riferimento è all’acquisizione di Abn Amro da 71,1 miliardi lanciata dallo stesso Santander in cordata con Royal Bank of Scotland e Fortis, costo per il 27,9% ricadente sugli spagnoli in cambio oltre che di Antonveneta delle banche sudamericane controllate da Abn e delle finanziarie olandesi Interbank e Dmc. Acquisizioni per le quali in realtà Banco Santander non disponeva di tutti i 19,9 miliardi necessari, per cui avrebbe dovuto ricorrere ad un oneroso aumento di capitale. La cessione dell’istituto italiano per 9 miliardi (contro i 6,6 miliardi “pagati”) a Mps tolse a Banco Santander le castagne dal fuoco e iniziò a minare la solidità dell’istituto italiano.

E’ mai possibile che ciò che tutti sapevano, ed avendo nel frattempo potuto constatare cosa stava scatenando la crisi scatenata dai mutui subprime (2008-2009) e dal debito sovrano (a partire dal 2010), nonché la “repressione fiscale” imposta dalla Germania agli altri stati membri della Ue, nessuno si sia mai domandato che fine avrebbe fatto Mps (ed altre banche come Banca Carige, BpVi, Veneto Banche e le quattro future “good bank” da tempo in affanno)? E davvero nessuno capiva a cosa avrebbero portato 27,6 miliardi di euro di sofferenze (ossia crediti “marci”, che mediamente non possiedono una probabilità di recupero superiore al 15%-25%), coperti per il 60% circa? E Matteo Renzi, premier e segretario di quello stesso Partito Democratico che a Siena comanda Mps da decenni, nulla sapeva dei rischi che si andavano addensando sulla banca, da anni?

E ancora: davvero qualcuno credeva (crede) sia possibile eseguire un aumento di capitale da 5 miliardi di euro “tarato” opportunamente per validare l’auspicata vendita delle sofferenze ad un prezzo fuori mercato, ossia al 33% del valore lordo di libro, quando pochi mesi prima analoghi cespiti ceduti dalle quattro “good bank” a seguito della risoluzione dei precedenti istituti erano stati valorizzati il 17,6% del valore lordo di libro? Tutto questo per dire che stupirsi e indignarsi ora del fatto che la Bce non conceda ulteriori 20 giorni di tempo per risolvere un problema che risale a 9 anni or sono e che è noto in modo dettagliato persino all’italiano medio da almeno tre anni è semplicemente ridicolo, o ipocrita a seconda dei gusti.

Ciò detto cosa potrà succedere ora? E’ presto detto: Mps, vale la pena ricordarlo, è una banca con una redditività operativa, ossia fondamentalmente sana (a differenza di altri istituti al capezzale dei quali governo e “privati” da mesi si accaniscono terapeuticamente, col rischio di affossare istituti sani per cercare di salvare banche zombie); a Mps servono come detto 5 miliardi di euro per evitare l’intervento di diritto della Bce e guarda caso la conversione integrale dei bond subordinati in azioni consentirebbe di trovare quasi per intero la cifra richiesta. Se l’aumento da 5 miliardi si rivelasse impossibile (come pare ormai evidente, visto che i fantomatici “anchor” investor sembrano essersi sfilati dopo la caduta del governo) l’istituto non rispettando i parametri patrimoniali si vedrebbe applicare, come già preventivato nel documento dell’offerta di conversione “volontaria” dei propri bond subordinati, quegli “strumenti di risoluzione di cui ai Decreti BRRD, che prevedono tra le altre cose la possibile conversione forzata dei titoli subordinati”.

Se nella conversione fosse ricompreso anche il titolo Fresh 2008 (emesso per 1 miliardo e che dovrebbe in gran parte essere nei portafogli della cordata di investitori riunita dalla londinese Attestor) il problema si ridurrebbe al cercare di tutelare gli investitori retail cui impropriamente i bond subordinati sono stati venduti. Per essere chiari da una verifica (ex post) dell’adeguatezza o meno del profilo di rischio dei clienti che avevano sottoscritto tali bond condotta da Mps in queste settimane è emerso come il 90% dei clienti retail che hanno i bond in portafogli non possono convertire i bond stessi in azioni perché incompatibili col loro profilo di rischio. Servirà dunque a questo il decreto d’urgenza che si dice il Tesoro sia pronto a emettere entro lunedì mattina: a offrire una compensazione ai possessori di circa 2 miliardi di euro di bond subordinati che saranno obbligati a convertirli in azioni (con l’applicazione di un “haircut”, ossia di un rapporto di conversione non alla pari) nonostante un profilo “non adeguato”.

A questo punto l’aumento vero e proprio sarebbe residuale e non darebbe problemi, anche perché alcuni investitori (Generali, che accettando di convertire volontariamente i suoi bond sottoscriverebbe circa l'8% del capitale, Axa socia al 3,17% e che di recente ha rinnovato l'accordo di bancassurance con Siena e lo stesso Tesoro, già socio al 4%) aderiranno comunque all’operazione, andando poi a costituire un “nocciolo duro” tra il 15% e il 55% a seconda delle dimensioni dell’aumento e della possibilità o meno che il Tesoro in qualche modo riesca a “ricomprare” tutte o parte delle azioni Mps che saranno in mano agli obbligazionisti retail “forzatamente convertiti”.

Questo comporterà ovviamente il quasi azzeramento del valore della partecipazione di quei soci (come Fondazione Mps) che non volessero aderire all’operazione, ma tranquilli, nessuno “straniero” si comprerà per un boccone di pane Mps, non siamo mica un paese liberale! Il Tesoro si impegnerà a rivendere le sue quote e con questo a girare il controllo, ma a chi e come sarà il prossimo governo a deciderlo. Gli italiani avranno ancora modo di sorprendersi e indignarsi e sicuramente non solo per la vicenda Mps. Dormiranno sonni tranquilli (si fa per dire) sia gli obbligazionisti senior sia i correntisti. Poi potrà essere la volta di decidere che fare degli altri istituti pericolanti: replicare la commedia degli ecquivoci per mesi e mesi o decidersi a prendere una decisione che non ricada sempre e solo sui contribuenti?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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