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Mps segna nuovi minimi in borsa: nazionalizzazione in vista?

Mps al minimo storico in borsa, mentre prosegue il muro contro muro tra il Cda della banca, che propone un aumento di capitale da 3 miliardi entro gennaio e Fondazione Mps (socia al 33,5%) favorevole a un rinvio a maggio. A fine mese l’assemblea decisiva…
A cura di Luca Spoldi
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Banca Mps sempre più nell’occhio del ciclone in borsa e si capisce il perché: l’istituto senese deve aumentare il capitale di 3 miliardi di euro e deve farlo rapidamente, entro il prossimo mese di gennaio, se vuole che le banche che fanno parte del consorzio di collocamento dei titoli garantiscano la sottoscrizione dell’eventuale inoptato. C’è un problema: se si agirà così in fretta Fondazione Mps, tuttora azionista di riferimento col 33,5% del capitale della banca ma indebitata per 339,15 milioni di euro dopo aver collocato sul mercato 490 milioni di obbligazioni “Fresh 2008” emessi dallo stesso Mps a prezzi compresi tra gli 0,18 euro e gli 0,1975 euro per complessivi 95,2 milioni (dei quali appunto 10,85 milioni sono serviti per ridurre il debito bancario, i restanti sono rimasti “nella piena disponibilità” dell’ente), voterà contro la proposta di aumento all’assemblea dell’istituto senese convocata per il 27, 28 e 30 dicembre 2013.

Palazzo Sansedoni propone infatti di spostare l’esecuzione dell’aumento alla seconda “finestra temporale” (per la precisione al 12 maggio) a suo tempo individuata dal management del Montaschi guidato dal presidente Alessandro Profumo e dall’amministratore delegato Fabrizio Viola. Il perché lo ha spiegato in una nota lo stesso ente: “la data del 12 maggio 2014 (ovvero una data successiva alla stessa) consente di ampliare sensibilmente, rispetto alla proposta del 26 novembre 2013 formulata dal Consiglio della Banca Mps, il lasso di tempo precedente all’inizio del periodo di negoziazione dei diritti d’opzione e appare, pertanto, a giudizio della Fondazione, maggiormente idonea a favorire un equilibrato e graduale processo di dismissione della propria quota posseduta in Banca Mps”. In soldoni: la Fondazione ha bisogno di tempo per vendere un’ulteriore tranche di titoli Mps (in tutto 3.913.315.802 azioni ordinarie, equivalenti al 33,5% del capitale sociale complessivo; “su tutte le azioni è costituito pegno regolare diviso a favore dei creditori finanziari, nell’ambito degli accordi correlati all’Exposure Rebalancing Agreement” ha precisato l’ente).

Peccato che il mercato non sembri essere d’accordo e, complici stime di un aumento a forte sconto, attorno ai 5-6 centesimi di euro per ogni nuova azione “ex diritto” (ossia dal momento in cui i diritti di partecipazione all’operazione inizieranno ad essere trattati separatamente dai titoli esistenti), le quotazioni di Mps siano in borsa crollate sotto i 15,5 centesimi per azione, segnando nuovi minimi storici a ripetizione. Una situazione potenzialmente esplosiva perché i titoli Mps sono in carico nel bilancio della Fondazione a 24 centesimi l’uno e dunque venderli a questi prezzi comporterebbe l’emergere di nuove minusvalenze. Non solo: il pegno sui titoli, concesso a fronte dei prestiti ricevuti da un pool di dodici banche (sui quali la Fondazione paga circa 20 milioni di interessi l’anno dopo la ristrutturazione del debito del giugno 2012), prevede una “clausola di escussione” che può scattare a 12,8 centesimi per azione. A quel punto a vendere in tutto o in parte il 33,5% di Mps sarebbero di diritto le stesse banche creditrici della Fondazione.

Come se ne esce? Il muro contro muro per ora prosegue: Alessandro Profumo intervistato nel corso della trasmissione Rai “2Next-Economia e Futuro” di ieri sera ha ribadito l’importanza di condurre in porto l’aumento arrivando a ipotizzare che “può darsi che se non si riesca a fare l’aumento, la banca venga nazionalizzata”. Oggi, ha aggiunto l’ex numero uno di UniCredit, che certo non nasconde di provare pochissima simpatia per la commistione politica-credito rappresentata dalle stesse Fondazioni, “abbiamo la certezza di fare l’aumento di capitale, di restare una banca senese forte, di rimborsare lo stato” Ma se non dovesse andare in porto l’aumento entro gennaio si entrerebbe “in un campo di grande incertezza con il rischio che la banca sia nazionalizzata”. Da parte sua la Fondazione ha replicato a voci di mercato diffusesi nel corso della giornata di ieri precisando che “che allo stato attuale non sono in corso trattative con le Fondazioni bancarie volte alla cessione, ovvero, allo scambio di azioni di Banca Mps”.

Da parte sua l’attuale numero uno di UniCredit (e successore di Alessandro Profumo), Federico Ghizzoni, ha dichiarato di non avere alcuna informazione circa l’eventuale coinvolgimento delle Fondazioni azioniste di Piazza Cordusio, pur auspicando una soluzione che consenta di realizzare rapidamente l’aumento di capitale e al contempo trovare una soluzione per Fondazione Mps. Il nodo ancora una volta è quello che tante volte ho ricordato su queste pagine: come salvare capra e cavoli (ossia fornire risorse ad un istituto, o un’azienda, senza perdere il controllo sulla medesima) quando il tuo azionista di riferimento non può (o in alcuni casi non vuole pur potendo) mettere ulteriormente mano al portafoglio e deve rivolgersi al mercato. Per qualche altro istituto, come Banca Marche, Popolare di Spoleto o Banca Etruria e Lazio, su pressione di Banca d’Italia si sta provando a coinvolgere altri istituti nelle vesti di “cavalieri bianchi” (elegante espressione per dire che si cercherà un acquirente “amico”).

Per Mps, ma forse pure per Banca Carige (che dovrebbe aumentare il capitale di 800 milioni), il boccone potrebbe essere troppo grosso da mandar giù in modo “amichevole” e si profila il rischio vuoi di una nazionalizzazione vuoi dell’ingresso nel capitale di soci “indesiderati” che però hanno il pregio (o difetto, a seconda dei punti di vista) di essere dotati di sufficienti mezzi per procedere con l’operazione. E’ in fondo l’ennesima conferma che a fronte di una stretta del credito che appare destinata a durare almeno un altro anno o due sempre più pezzi dell’economia italiana finiranno in vendita o col chiudere bottega, al di là del blasone e degli interessi politici ed economici che hanno rappresentato e ancora rappresentano. Molte altre soluzioni, sic stantibus, non se ne vedono.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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