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Mps rompe gli indugi, Morelli prova a forzare la mano alla Consob

Il Cda di Mps prova a mettere Consob davanti al fatto compiuto, annunciando i dettagli dell’aumento di capitale e l’allargemento dell’offerta volontaria di conversione di bond in azioni al titolo Fresh 2008, prima che la Consob esprima il suo parere (atteso in tarda serata)…
A cura di Luca Spoldi
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Marco Morelli, Ceo di Mps, prova a forzare la mano e mettere la Consob di fronte al fatto compiuto: il Cda della banca senese, apertosi ieri pomeriggio e poi interrotto in attesa della decisione della Commissione in merito alla riapertura anche agli investitori retail dell’offerta volontaria di conversione di bond subordinati in azioni, alle 14.15 dirama un comunicato in cui spiega di aver deliberato di confermare l’aumento di capitale da 5 miliardi, con un prezzo minimo di 1 euro per azione e un prezzo massimo di 24,9 euro per azione, rispetto ai 20,66 euro per azione del prezzo di chiusura odierna.

Il Cda ha invece modificato l’offerta volontaria di conversione di bond subordinati in azioni ricomprendendo ora anche il bon Fresh 2008, inizialmente escluso, facendo così salire il controvalore massimo dell’aumento di capitale legato alla conversione da poco meno di 4,3 miliardi a poco più di 4,5 miliardi. Come noto dopo la chiusura del primo periodo di offerta gli impegni a convertire bond subordinati in azioni erano risultati pari a poco più di un miliardo di euro, il minimo sperato da Morelli per riuscire a far decollare l’operazione.

Ma la crisi di governo seguita alla sconfitta al referendum costituzionale di Renzi aveva fatto svanire come nebbia al sole il supposto nucleo di “cornerstone investor” (fondi hedge statunitensi in teoria disposti a investire almeno 300 milioni di euro l’uno e la Qatar Investment Authority, pronta a puntare sull’istituto senese tra 500 milioni e un miliardo), rendendo improvvisamente insufficiente il risultato della conversione.

Il passo indietro degli investitori istituzionali internazionali è stato immediatamente seguito dalla dissoluzione del consorzio di collocamento dell’aumento da 5 miliardi, per l’indisponibilità delle banche ad assumersi il rischio di garantire l’inoptato della parte di aumento che sarebbe finita sul mercato. Le stesse banche sono peraltro rimaste disponibili a guidare un collocamento privato (senza alcuna assunzione di garanzia) nel caso l’operazione potesse proseguire.

La rapida chiusura della crisi con la doppia fiducia incassata dal governo Gentiloni avrebbe fatto tornare sui propri passi, secondo alcune voci, gli investitori istituzionali portando Morelli a tentare un’ultima volta di chiudere l’operazione di ricapitalizzazione affidandosi ai soli capitali privati, con qualche maggiore dettaglio.

Dei 5 miliardi, infatti, il 35% (quindi 1,5 miliardi) sarà riservato ad un’offerta in Italia “al pubblico indistinto”, ovvero il 30% alle persone fisiche o giuridiche che risultino già detenere azioni Mps, ferma restando la possibilità di incrementare la tranche ove mai, ma pare improbabile, le richieste superassero tale soglia, mentre il 65% sarà riservato a investitori qualificati in Italia (in sostanza fondi comuni e gestioni patrimoniali) e a investitori istituzionali esteri (Qia e chi altro vorrà essere della partita).

I due aumenti, quello legato alla conversione di bond subordinati in azioni e quello da 5 miliardi, saranno fungibili, nel senso che eventuali parti non sottoscritte della prima operazione potranno essere fatte confluire nella seconda e tra le diverse tranche della seconda sarà possibile ricollocare l’inoptato di una tranche per coprire l’eventuale eccesso di domanda di un’altra tranche.

A questo punto restava solo l’incognita Consob (che avrebbe dovuto essere sciolta entro la tarda serata, ma la conferma del via libera all'operazione è poi arrivata stamane prima della riapertura dei mercati), al cui placet erano vincolati tanto l’offerta volontaria di scambio di bond in azioni quanto l’aumento di capitale da 5 miliardi e che come Banca d’Italia aveva un evidente imbarazzo, avendo a suo tempo autorizzato a collocare presso circa 40 mila piccoli investitori 2 miliardi di bond subordinati, quando il 90% degli stessi risultava non idonea ad investire in azioni.

Visto che l’alternativa è tra esporre tali risparmiatori al rischio che i titoli azionari Mps possano crollare il giorno dopo il completamento dell’aumento (a fronte di una conversione favorevole, almeno rispetto alle quotazioni correnti, dei loro bond) o esporli al rischio di una conversione forzosa con un “burden sharing” che probabilmente significherebbe far convertire i bond in modo ancora meno favorevole, fermo restando il rischio legato alla successiva detenzione di titoli azionari, aoppariva possibile che la Consob acconsentisse, come poi è stato.

Se poi si vuol capire come si è giunti a questo apparente vicolo cieco, è utile notare che quando un paio di giorni or sono Unicredit ha annunciato il proprio aumento di capitale (che il consorzio bancario ha accettato di garantire, a differenza che per Mps), il Ceo Jean-Pierre Mustier ha anche annunciato la prossima cartolarizzazione di 17,7 miliardi di Npl (10 miliardi meno di quelli che dovrà cartolarizzare la banca senese), aumentando al tempo stesso la copertura media sugli stessi al 75%.

Una mossa che costerà a Unicredit 7 dei 13 miliardi di euro di aumento e che, secondo gli analisti, dimostra come il 25% sia appunto il valore corrente di mercato di questo genere di asset che Mps vorrebbe vendere al fondo Atlante al 33%. Per Mps alzare la propria copertura al 75% costerebbe secondo alcuni calcoli circa 3,8 miliardi, un buon motivo per cercare vie barocche come quella tentata sinora senza troppo successo.

L’alternativa, l’intervento pubblico, è dietro l’angolo col Tesoro che potrebbe varare a ridosso della fine dell’anno un decreto “salva-banche bis” erogando fino a 15 miliardi non solo a Mps ma anche a Carige, BpVi, Veneto Banca e alle quattro “good bank”, per invogliare l’acquisto delle quali verrebbero inoltre concessi ulteriori sgravi fiscali.

Un’alternativa che non sarebbe concessa gratuitamente: a pagare il conto oltre agli azionisti, che comunque vedrebbero il valore dei loro titoli perdere ulteriore terreno, sarebbero appunto gli obbligazionisti subordinati (mentre non verrebbero toccati né gli obbligazionisti senior né i correntisti, visto che la banca dal punto di vista operativo è tuttora in utile). Proprio quello che Renzi ha sempre voluto evitare, temendo ripercussioni sul voto referendario. Quando si dice “whishful thinking”.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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