Se uno dovesse giudicare dalla reazione alle trimestrali fresche di stampa, Mps (+2,37%) e Intesa Sanpaolo (+0,27%) potrebbero sembrare due banche che sprizzano salute da ogni poro. Poi uno va a vedere i dati e legge: il margine d’interesse di Mps è cresciuto a 548 milioni di euro (+1,3% rispetto al precedente trimestre) grazie al calo del costo del funding, ossia sostanzialmente grazie a Mario Draghi e ai tassi sottozero della Bce. Le commissioni nette sono cresciute a 457 milioni di euro (+1,2% sul trimestre precedente), sostenute in particolare dalla crescita delle commissioni derivanti dai servizi di base e credito (circa +13% su base trimestrale).
Tutto bene? Benino, al più, perché su base annua il margine d’interesse segna ancora un calo del 9,6% e le commissioni nette aumentano del 3,1% (il che significa che la crescita delle stesse sta già rallentando nuovamente). Così il risultato operativo netto cala a 191,3 milioni di euro, il 27,9% e l’utile di periodo scende a 93,2 milioni (-35,2%) pur scontando una decisa frenata delle rettifiche di valore per deterioramento crediti (349,2 milioni contro i 454,2 del primo trimestre 2015). Il problema, insomma, è che Mps resta una banca assai poco redditizia: il Roe calcolato sul patrimonio medio è pari al 3,9%, in calo dal 5,1% segnato dodici mesi prima, mentre il Return on assets ratio passa da 0,23% a solo 0,05%.
Certo, c’è il “contentino” di un calo dei crediti deteriorati netti di 500 milioni, dai 21,7 miliardi del marzo 2015 a 21,2 miliardi di euro attuali, ma questo non basta a impedire un lieve deterioramento dei coefficienti patrimoniali, col Core equity tier 1 ratio (Cet1) all’11,7% dal 12% di un anno prima e il Total capital ratio al 15,2% dal 16% anche perché i crediti deteriorati netti rapportati ai crediti verso la clientela totali salgono al 9% dall’8,7% di un anno prima.
Così l’amministratore delegato Fabrizio Viola torna a parlare di tagli e di riduzione di organico: su 8 mila tagli concordati con la Ue, spiega il manager, 5.500 sono già stati effettuati, altri 2.500 “lo saranno entro il 2018”, quando altre 350 filiali (2.132 quelle attualmente esistenti) saranno chiuse. Restano infine da trovare sia un partner con cui gestire i crediti deteriorati, diverso dal soggetto, Fondo Atlante o altri che siano, cui saranno cedute parte delle sofferenze, sia l’eventuale nuovo azionista di riferimento. E non mi pare siano due punti trascurabili, ma per il momento il mercato, che temeva numeri ancora peggiori, non ci pensa.
Intesa Sanpaolo, dal canto suo, vede il margine netto di interessi ridursi del 4,6% su base annua a 1.881 milioni di euro (da 1.971 milioni segnati nei primi tre mesi del 2015), le commissioni nette calare del 5,5% a 1.713 milioni (da 1.813), il risultato operativo ridursi a 2.023 milioni (oltre mezzo miliardo di euro in meno dei 2.517 milioni segnati un anno prima) e il risultato netto scendere a 806 milioni (da 1.064 milioni). Certo, rispetto all’istituto toscano Intesa Sanpaolo è una prima della classe e può permettersi di mantenere le svalutazioni su credito a livelli relativamente elevati, per quanto in calo (694 milioni nel trimestre contro i 767 milioni dei primi tre mesi del 2015), ma anche in questo caso i crediti deteriorati netti restano a un livello “importante”, 33,082 miliardi di euro, appena 4 milioni in meno di fine dicembre ed anzi le sofferenze nette salgono da 14,973 a 15,123 miliardi.
Differentemente da Mps, tuttavia, l’incidenza dei crediti deteriorati netti di Intesa Sanpaolo cala rispetto al totale dei crediti verso la clientela (dal 4,3% al 4,2%) perché questi ultimi sono saliti del 3,1% nel trimestre a 361 miliardi (+4,3% rispetto al 31 marzo 2015). Così se il Cet1 è fermo sui livelli di tre mesi prima (12,9% a marzo, 13% a fine dicembre), il coefficiente patrimoniale totale (total capital ratio) sale dal 16,6% di fine 2015 al 17,4% e Carlo Messina non deve minacciare tagli ad altre migliaia di dipendenti o chiusure di centinaia filiali pur avendo 5.338 sportelli di cui 4.104 in Italia e 1.234 all’estero e oltre 90.500 dipendenti. In compenso nella conference call mette le mani avanti e se si dice fiducioso che le commissioni continueranno a crescere (e con esse la redditività della banca), ammette: certo una crescita “a doppia cifra digitale è difficile” per quest’anno. E forse anche per il prossimo, se l’economia non riparte e i tassi non torneranno a salire spinti dalla domanda di nuovo credito.