Di tonfo in tonfo il titolo Mps ci sta lasciando se non le penne quanto meno buona parte dei suoi capitali, in borsa. Anche oggi le azioni della banca senese hanno perso terreno (ma attenzione: da un minimo visto in tarda mattinata di soli 60 euro il titolo ha poi chiuso a 67,9 centesimi, in calo di un altro 7% ma in recupero del 13% dai minimi e nella sessione after hours oscilla a 68,8 centesimi con un ulteriore rialzo dell’1,33%, facendo prevedere almeno per domani una giornata all’insegna del recupero), mentre gli advisor Ubs e Citigroup sono al lavoro assieme ai vertici dell’istituto per trovare le soluzioni necessarie a colmare il “gap” patrimoniale di 2,11 miliardi di euro emerso a seguito dell’Asset quality review e degli stress test della Bce.
Le ipotesi attorno a cui si lavora non mutano: uno slittamento del rimborso dei 750 miliardi di euro di residui “Monti bond” al 2017 (ultima data consentita dagli accordi di Basilea III per conteggiare tali strumenti nei requisiti minimi di capitale), cosa che però imporrebbe di pagare oltre 150 milioni extra di oneri finanziari (visto che su tali titoli la banca paga al Tesoro un interesse del 0,5% quest’anno e il prossimo, destinato a salire di mezzo punto l’anno per ogni ulteriore anno di ritardo nel rimborso); il collocamento di un portafoglio di 1,2 miliardi di crediti “problematici” (Npl, non performing loan) che piacciono, tra gli altri, ad Algebrisi Investments del finanziere Davide Serra, vicino al premier Matteo Renzi, che guarda caso oggi ha annunciato il lancio del primo fondo dedicato all’investimento in questa tipologia di asset finanziari e l’apertura di un ufficio a Milano; la cessione di Consum.it e del settore dei finanziamenti in leasing e factoring (o di alcune controllate estere come in Belgio e in Francia e di partecipazioni non strategiche); un aumento di capitale tout court a cui la Fondazione Montepaschi si è già detta pronta a partecipare.
Se Siena piange, Genova non ride: Banca Carige ha chiuso in calo del 10,67% a soli 6,7 centesimi per azione, appena sopra il minimo storico, segnato in mattinata, di 6,65 centesimi a titolo. In questo caso la banca ha già ceduto le attività assicurative (il 100% di Carige Assicurazioni e di Carige Vita Nuova) al fondo Apollo Management per 310 milioni, operazione che dovrebbe chiudersi entro il primo trimestre del prossimo anno e dalla quale ci si attende un beneficio di circa 94 punti base sul Core Equity Tier 1 e potrebbe procedere a ulteriori dismissioni (Banca Cesare Ponti). Tuttavia al momento restnao da trovare attorno ai 700 milioni di euro, appena sopra il limite massimo (650 milioni) che Mediobanca si è detta pronta a garantire in vista del nuovo aumento che la banca potrebbe lanciare nei prossimi mesi. Nel caso di Carige, tuttavia, la Fondazione, scesa dal 46% ancora posseduto lo scorso anno al 19% subito dopo l’aumento di capitale da 800 milioni effettuato il giugno scorso (ma di questo solo il 12% è liberamente disponibile, mentre il 7%, col relativo diritto di voto, è stato girato in pegno a Mediobanca a garanzia di debiti pregressi), non ha ancora fatto sapere che farà, pur essendo stata “invitata” dal sindaco di Genova a mantenere salda la sua presa sull’istituto.
Così in filigrana si intravede la doppia lettura di questa spiacevole vicenda. Da un lato, industrialmente, siamo di fronte alla sconfessione, da parte della Bce, di piani di ristrutturazione e rilancio validati pochi mesi or sono dai vertici dei due istituti, che dopo aver già lanciato aumenti di capitale per quasi 5 miliardi rischiano di dover trovare mezzi freschi per altri 2-2,5 miliardi da qui all’inizio del prossimo anno. Con inevitabili ricadute in termini occupazionali, visto che chiunque accetti di versare altro capitale nelle due banche dovrebbe pretendere, a ragion di logica, di vedersi ripagato per lo sforzo non meno di quanto ottiene il tesoro, cosa che richiederà un ulteriore sforzo organizzativo e nuovi tagli dei costi (tanto più essendo anche in Italia sempre più diffuso il “modello Lloyds Banking Group”). Dall’altra, politicamente, siamo al redde rationem: il legame col mondo politico locale, sinora fortissimo (e bipartisan, Mps essendo una banca “di sinistra” e Banca Carige di “centrodestra”), potrebbe indebolirsi al punto da riportare le Fondazioni alla pari con altri soci, in particolare coi grandi fondi internazionali. Oppure potrebbe esserci una reazione opposta al grido di “fermiamo chi vuol svendere la nostra banca” con rapida rimozione del management.
Comunque sia da venerdì 24 ottobre scorso (ultima seduta prima dell’annuncio dei risultati dei test europei) Mps ha perso il 32% abbondante bruciando circa 1,2 miliardi di euro di capitalizzazione (scesa da 4,9 a 3,7 miliardi), mentre Banca Carige ha lasciato sul terreno il 28% ed ha visto la capitalizzazione calare da 980 a 675 milioni. Il che complica le cose nel caso si opti per due aumenti, perché i soci che non volessero parteciparvi vedrebbero diluita in entrambi i casi fino al 50% le proprie partecipazioni. Per amore o per forza chi vorrà mantenere (o prendere) il controllo dei due istituti dovrà prepararsi a un robusto esborso di capitali. Cosa chiederà in cambio: business, relazioni o plusvalenze borsistiche?