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Opinioni

Mps e Carige a picco in borsa: ora che succede?

L’esito degli stress test della Bce, noto da ieri, non sembrava dover preoccupare eccessivamente gli investitori. Ma i mercati non sono stati dello stesso parere, facendo crollare non solo i titoli Mps e Banca Carige, bocciate, ma anche quelli dei potenziali “cavalieri bianchi”. Cosa è successo e quali conseguenze potranno esserci?
A cura di Luca Spoldi
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Giornata pesante per la borsa di Milano, che cede il 2,40% con Mps (-20,40% a 79,6 centesimi di euro) e  Banca Carige (-16,54% a 7,77 centesimi per azione) che subiscono un autentico tracollo. Che è successo e quali conseguenze si potranno ancora verificare? Facciamo un passo indietro. Ieri mattina la Banca centrale europea e le singole banche centrali nazionali hanno reso noto gli esiti di un esercizio svoltosi nei mesi scorsi sulla robustezza e qualità dei patrimoni delle principali 130 banche europee (15 delle quali italiane).

Nel complesso le cose non sono andate troppo male se è vero che, come ricordano gli analisti del Credit Suisse, si è compiuto “un passo nella giusta direzione” con solo 13 istituti che ancora necessitano di capitali per complessivi 9,5 miliardi una volta tenuto conto delle misure prese dalle singole banche da inizio anno (la valutazione della Bce per omogeneità si è basata sui dati di bilancio al 31 dicembre 2013, pur tenendo conto delle indicazioni emerse in sede di Commissione Ue lo scorso fine marzo).

Un quadro più ricco di luci che di ombre, sembrerebbe, con la Spagna in particolare che è emersa molto  meglio di quanto si temeva e sorprese positive anche per quel che riguarda le banche francesi e tedesche, meno per quelle britanniche, decisamente meno per le “solide” (come ce le hanno ripetutamente indicate l’Abi, la Banca d’Italia e i governi italiani pro tempore in carica in questi ultimi sei anni dall’esplosione della crisi finanziaria mondiale del 2008) banche italiane. Su quindici istituti, infatti, quattro non hanno passato il test più severo (che Banca d’Italia sottolinea, con una certa punta polemica, essersi basato su ipotesi “draconiane” come un calo del Pil per cinque anni consecutivi…).

Mps, Banca Carige, Bpm e Banca popolare di Vicenza sembrano aver pagato a caro prezzo vuoi “avventure” tardive e costose che hanno tentato di rompere l’isolamento di alcuni istituti molto dopo quelli che sarebbero stati i tempi “naturali” (cosa che vale in particolare ma non solo per l’istituto di Siena, per anni consideratosi un piccolo “mondo a parte” totalmente dominato dalla politica locale di marca Pci-Pd-Pds), vuoi governance che hanno dato troppo spazio alle ragioni dei soci-dipendenti (Bpm) e dei loro rappresentanti sindacali più che del mercato.

Tenuto conto anche di ulteriori misure non rappresentate solo dagli aumenti di capitale ma dalla validazione di modelli di valutazione interni, dalla rimozione degli “add on” di capitale e dalle cessioni di asset a rischio, le “bocciature” tricolori si sono ridotte a due: Montepaschi (che ha necessità di trovare in tempi rapidi 2,111 miliardi di euro, ossia 1,35 miliardi se non venissero rimborsati i residui “Monti bond” che a quel punto si trasformerebbero in capitale sociale) e Banca Carige (che deve trovare mezzi freschi per poco meno di 814 milioni di euro ma che già ieri sera ha annunciato di aver dato mandato a Mediobanca di organizzare un aumento di capitale, che la stessa Mediobanca si è detta pronta a garantire fino a un massimo di 650 milioni di euro).

Insomma: un assegno da 3 miliardi leverebbe le castagne dal fuoco alle due banche italiane, una cifra non astronomica se si pensa che in prima dell’estate, approfittando di una fase favorevole dei mercati, il solo Mps era riuscito a varare un aumento di capitale da 5 miliardi di euro. Che problema c’è allora, tale da far crollare non solo Mps e Carige, ma anche titoli come Ubi Banca (-5%) e Bpm (-4,12%), solo perché potrebbero essere tra gli istituti che, ancora più di Unicredit o Intesa Sanpaolo, troppo grandi per potersi muovere ulteriormente sul mercato interno e al momento impegnate nella ridefinizione del proprio perimetro strategico e nella cessione delle proprie “bad bank” interne prima di potersi mettere da subito alla ricerca di eventuali partner europei, potrebbero recitare (come pure Bper, -4,2% ossi a Milano, e Banco Popolare, -1,8%) il ruolo di “poli aggreganti” italiani, in alternativa (o più probabilmente ad un differente livello) rispetto ai grandi gruppi europei?

Di problemi ve ne sono più di uno in effetti: il primo, saltato agli occhi anche agli analisti del Credit Suisse, è che le banche italiane (che continuano a contrarre il credito, cosa che non contribuisce certo a sostenere un’eventuale e sempre più spostata in avanti nel tempo ripresa italiana, con buona pace del governo Renzi) si trovano ad affrontare una crescita delle sofferenze che sta sì rallentando ma continuava a fine giugno scorso a mostrare un tasso del 7,9% anno su anno ovvero del 21,5% a livello medio (Cagr). E’ la conferma di quanto lo scrivente nella sua infinita modestia segnalava oltre un anno fa: in Italia c’è bisogno di un nuovo modello di credito.

Anche perché avere avuto finora tante “banche fotocopia (copyrwight Fabio Bolognini) che utilizzano un modello di valutazione e processo del credito e gestione della clientela pressoché identico, salvo magari fare “riferimento” a un diverso gruppo politico locale o nazionale, ha portato tutte le nostre maggiori banche a rimanere indietro rispetto sia al processo di riorganizzazione già in atto da mesi in Europa e di cui Lloyd Banking Group (di cui vi ho già parlato) rappresenta solo uno degli esempi più evidenti se si vuole guardare a quello che capiterà anche in Italia (scorporo di attività, cessioni “a stralcio” di portafogli di crediti problematici, espulsione di mano d’opera o comunque passaggio dal “posto fisso” a forme di collaborazione retribuite su base variabile), sia nel processo di “guarigione” dei propri conti.

Conti sui quali purtroppo pesa la prolungata assenza di crescita dell’economia italiana, che come ricorda anche Mario Seminerio ha purtroppo tratti sempre più strutturali, non fosse altro per l’evoluzione del quadro demografico (e per la dissennata politica fiscale portata avanti in questi anni, assieme alla totale assenza di una qualsivoglia politica industriale ed energetica), ha pesato e continuerà a pesare a lungo, salvo “miracolose” riprese europee (in qualche modo Bce-pilotate). Così resta da capire quali reali interessi possano avere sia banche italiane sia, a maggior ragione, banche estere a scommettere pesantemente sulla ripresa di istituti come quello ligure o quello toscano che dopo anni di gestione dissennata hanno bruciato quasi interamente il proprio valore (e inevitabilmente quello per la comunità locale di riferimento).

Servirebbe avere, quanto meno, una chiara visione del futuro, ma anche su questo fronte in Italia sembra che non vi siano grandi speranze: si naviga a vista, cercando al più di schivare gli scogli più acuminati, senza dare l’idea di avere in mente una meta da raggiungere né una rotta per riuscirvi. Mentre la luce in fondo al tunnel anziché avvicinarsi pare allontanarsi ogni giorno di più. Sarà per questo che rumor di mercato vogliono il numero uno della Bce, Mario Draghi, particolarmente risoluto nel chiedere ai governi dell'Eurozona e all'Italia in particolare riforme realmente “strutturali” e al tempo stesso nel promuovere matrimoni bancari a livello continentale che spezzino il circolo perverso banco-sovrano e allontanino il credito sempre più dalla politica? Con un solo problema: consegnare la politica creditizia in mano all'eurocrazia rischia di rendere l'unione ancora meno democratica di quanto non sia oggi. Molte alternative non sembrano peraltro esservene all'orizzonte.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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