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Mps cambierà pelle, in arrivo nuovi soci

Mps, il piano industriale 211-2015 non risparmia nessuno: 3,4 miliardi di aiuti di stato, 400 sportelli in meno, cessione di attività, prepensionamenti, nuove svalutazioni, minori dividendi, aumento di capitale destinato a nuovi soci.
A cura di Luca Spoldi
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Mps Piano Industriale

Neppure il tempo di scrivere il pezzo su Mps in cui sottolineavo tutti i problemi di un istituto finora apparso “relativamente” tranquillo (ma su cui da un pezzo il mercato esprime seri dubbi, tanto che in borsa le quotazioni hanno perso oltre il 63% del proprio valore nell’ultimo anno, ovvero il 95% di quanto valeva cinque anni or sono) e che ieri “a sorpresa” il governo ha deciso di aiutare fino a un massimo di 3,9 miliardi di euro mediante la sottoscrizione di nuove obbligazioni speciali assimilabili ai “Tremonti bond” (ma che di fatto sostituiranno gli 1,9 miliardi di euro già emessi nel 2009 di tali titoli, che costano al momento l’8,5% al Monte dei Paschi, ossia circa 161 miliardi di euro, ben oltre i tassi di mercato), che il via libera al nuovo piano industriale 2011-2015 ha spazzato via ogni dubbio residuo.

L’istituto senese  è in affanno, in forte affanno. Al punto da dover tagliare 400 delle sue circa 3 mila filiali ed espellere (tra pensionamenti obbligatori e cessioni di attività e relativa forza lavoro) 3.600 persone su 30 mila dipendenti attuali. Il tutto sapendo, come hanno spiegato oggi il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, di non poter contare su uno scenario esterno che possa aiutare, anzi, di doversi muovere “certamente con il vento a prua, con un relativo pessimismo nelle variabili di scenario”. Variabili che infatti prevedono scenario macro “molto, molto prudente” con un Pil italiano previsto in calo anche nel 2013 (ed in crescita nell’ordine dell’1% annuo solo dal 2014), un “tasso Bce stimato stabile all’1% nell’orizzonte del piano” a fronte di un’inflazione stabile al 2% e uno spread tra titoli di stato italiani e tedeschi “in miglioramento, ma solo nell’ultima parte del periodo del piano”.

Tradotto vuol dire che lo spread non dovrebbe calare di molto rispetto ai livelli attuali (attorno ai 460 punti base) fino a fine anno, per poi ridursi a 380 punti base a fine 2013 a circa 200 punti base a fine 2015). Mps è insomma pronta a ristrutturarsi nonostante una crisi dell’Euro destinata a durare, “pur senza arrivare a una disarticolazione dell’Unione monetaria europea”. In questa situazione cessa ogni speranza di tornare a veder crescere rapidamente l’utile ed anzi il miglioramento atteso a livello di risultato operativo per il 70% circa a riduzioni di costi, in particolare con la ristrutturazione della rete, destinata dopo la cessione della partecipazione (60,24%)in  Biverbanca a Cr Asti per 203 milioni di euro e l’integrazione di Banca Antonveneta in Banca Mps, a rimanere un sola con circa 2.600 sportelli.

Se le chiusure e non cessioni come ipotizzato finora (troppo modeste essendo le valutazioni sulla cui base i potenziali acquirenti erano pronti ad aprire il portafoglio, come ha scoperto pure Barclays, che infatti pare aver accantonato per ora la dismissione delle sue quasi 200 filiali italiane per lo stesso motivo), equiparabili dal punto di vista dei costi alle prime ma che “da quello dei ricavi preservano un margine di interesse e commissioni, quindi in questa fase” risultano essere “più efficaci e preferibili” come ha sottolineato Viola, dovrebbero essere concentrate in particolare nell’area in cui più intensa è la presenza di Antonveneta, ossia il Nord Est, sul fronte degli esuberi (termine che non piace a Profumo) si dovrebbe cercare di limitare ogni impatto sociale.

Il nuovo piano infatti “è socialmente sostenibile” per Profumo, nonostante preveda la riduzione del 15% circa della forza lavoro attuale e l’abbattimento del costo del personale, in un triennio, da 2,19 a 1,89 miliardi di euro (-13,7%). Del resto su circa su 4.600 esuberi, circa 1.riguarderanno l’uscita dal perimetro del gruppo dei lavoratori collegati ad attività in via di dismissione e per altri 2.300 dipendenti alla esternalizzazione delle attività di back-office da attuare “tutelando il lavoro”. Gli ultimi 1.100 esuberi riguarderanno solo i lavoratori con il diritto alla pensione, per i quali Viola nel corso della presentazione agli analisti ha ipotizzato un piano di pensionamenti obbligatori.

Dunque, ricapitolando: aiuti di stato per massimi 3,9 miliardi (ma il Montepaschi parla di circa 3,4 miliardi di nuovi “Tremonti bond” di cui 3 miliardi dovrebbero essere rimborsati entro il 2015), 1.100 prepensionamenti, cessioni di attività troppo costose da finanziare o non più strategiche che coinvolgeranno altri 3.500 lavoratori, taglio di un centinaio di manager (assieme a una sforbiciata “una tantum” di un 5% della retribuzione per 12 mesi), politica dei dividendi “prudente” cui si somma la possibilità di un aumento di capitale da massimo 1 miliardo di euro entro il prossimo quinquennio “con esclusione del diritto di opzione” (e dunque destinato a far ulteriormente scendere il peso della Fondazione Montepaschi, attualmente al 37,56% ma impegnata nella ristrutturazione del proprio indebitamento bancario).

Si aggiunga che sul fronte della riorganizzazione delle attività e degli obiettivi “industriali” Mps prevede una sostanziale tenuta dei ricavi (si prevede un calo medio annuo dell’1% nel triennio), la possibilità che un nuovo impairment test che verrà lanciato sui risultati a fine giugno possa determinare un ulteriore abbattimento del valore dell’avviamento (già pesantemente tagliato lo scorso dicembre), la riduzione del costo del credito dai 91 punti base di fine 2011a 77 punti base a fine 2015 (87 punti base considerando anche Consum.it), il taglio di 565 milioni di euro gli oneri operativi attraverso sia la riduzione delle spese amministrative sia il costo del personale, un cost/income del 58,5% a fine piano e un risultato operativo netto oltre la soglia degli 1,3 miliardi. L’utile netto consolidato dovrebbe così risalire a 630 milioni nel 2015, a fronte di un Common Equity Tier 1 ratio attorno all’8,07%, in presenza di una “ottimizzazione” degli asset a rischio (“rwa”) a parità di attivo.

Se non è una “cura da cavallo” ci assomiglia, il che per un istituto che sembrava navigare in acque relativamente tranquille ma che “de facto”, come ammette Profumo, è ormai destinata a tornare una banca nelle mani dello Stato (ossia ad essere nazionalizzata, almeno temporaneamente, come del resto già capitato ad istituti americani, inglesi ed europei in questi ultimi quattro anni) non è una novità da poco. Come non da poco è la novità dell’apertura del capitale a nuovi investitori: “è ovvio – ha concluso Profumo – che il soggetto o più soggetti che dovessero comprare una quota significativa della banca richiederanno anche di essere partecipanti alla governance e quindi anche la Fondazione dovrà essere coinvolta in questo processo”. Ancora da definire il nome dei futuri soci ma il banchiere ha già escluso che l’aumento da 1 miliardo possa essere destinato alla Cdp: “Pensiamo a investitori privati”, ha concluso Profumo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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