Nessuna novità dalla riunione odierna della Bce, come del resto si attendeva il mercato dopo il deciso intervento attuato poco più di un mese fa quando Mario Draghi e i suoi colleghi del board della banca centrale europea avevano tagliato l’intero corridoio dei tassi, espanso il quantitative easing (acquisti di bond sul mercato, ndr) portando da 60 a 80 miliardi di euro gli acquisti su base mensile ed annunciato altre quattro Tltro (operazioni di rifinanziamento condizionate) a quattro anni per le banche del vecchio continente prevedendo tassi anche negativi, ossia un sussidio all’erogazione di nuovi prestiti da parte delle banche medesime.
Alla vigilia “erano le parole del governatore e la sua interpretazione degli accadimenti ad essere sotto la luce dei riflettori, più che eventuali ed improbabili annunci” commenta Davide Marone, senior analyst di Fxcm, e da questo punto di vista i fuochi d’artificio non sono mancati. Mario Draghi, utilizzando un tono particolarmente vibrante che ha indotto per un attimo i giornalisti a smettere di scrivere per guardare in volto il banchiere centrale, ha sottolineato 3 concetti chiave. Il primo, rivendicando come di fatto la Bce resti l’unico attivo ed efficace “policy maker” dell’Eurozona, in contrapposizione a governi che poco o nulla hanno finora saputo fare.
Il secondo concetto chiave, del medesimo spessore, in risposta ai recenti rilievi tornati a sollevarsi in Germania (in particolare da parte del ministro dell’Economia Wolfgang Schaeuble) con la riaffermazione che la Bce rispetta pienamente i trattati e che agisce nell’interesse di tutta l’area economica e non solo della Germania, che si lamenta con toni molto italiani di non essere “capita” nel suo essere fortemente dipendente dal settore bancario, vero motore della crescita tedesca grazie all’erogazione di capitali a basso costo alle imprese. Banche che vedono come il fumo negli occhi l’ulteriore calo dei tassi, perché più i tassi stessi diventano negativi più di fatto si realizza una sorta di imposta patrimoniale sui capitali che detengono le banche stesse.
Terzo e ultimo concetto chiave, Draghi ha smentito categoricamente l’ipotesi ventilata da qualche settimana sul cosiddetto “helicopter money”. “Abbiamo un mandato da perseguire, la stabilità dei prezzi, per tutta l’Eurozona e non solo per la Germania”. Le politiche della Bce “sono efficaci, funzionano, date solo tempo per mostrare appieno i loro effetti”. Poi, certo, “se ci fossero anche riforme strutturali (che spettano ai governi, ndr), gli effetti sarebbero più veloci. Ma sono politiche corrette per riportare l’inflazione sotto ma vicino a 2% e per riportare interessi a livello più alto dell’attuale” a medio termine, ossia non prima di fine 2017-inizio 2018 o forse persino più in là. Modeste per ora le reazioni dei mercati e comunque molto più contenute di quelle seguite alle misure varate lo scorso 10 marzo, quando in poche ore il cambio euro/dollaro si era deprezzato dell’1,5% per poi riapprezzarsi di oltre il 4%.
Con un euro che probabilmente potrebbe a questo punto tornare a calare gradualmente, visto che è ormai chiaro che la forbice dei tassi sul dollaro (in crescita) e sull’euro (fermi o in calo al ivello nominale) è destinata ad aumentare, Draghi, che ha anche bacchettato i giornalisti colpevoli di continuare a parlare di tassi nominali ai minimi storici senza notare che con un’inflazione in ulteriore calo quelli reali restano a livelli più alti ed anzi tenderebbero a crescere senza gli interventi della Bce, sembra l’unico timoniere in grado di evitare alla barca dell’euro di naufragare sugli scogli dei contrastanti interessi nazionali. Un bene non solo per chi si professa europeista convinto, ma anche per tutti coloro che anziché dal lato degli investitori (come i fondi pensione e i fondi in generale) si trovano dal lato dei debitori.
A beneficiare dei tassi bassi è infatti lo stato italiano prima di tutti, tanto più se come pare le banche italiane dovranno gradualmente disinvestire dai titoli di stato per evitare una ponderazione per il rischio che le porterebbe a dover accantonare ancora maggiori capitali. Ma anche chiunque abbia un contratto di finanziamento a lungo termine a tassi variabili non può che ringraziare “San Draghi”, perché se l’Euribor, cui di solito sono agganciati i mutui variabili, scendesse sensibilmente le banche potrebbero dover rinunciare a intascare un interesse sulle rate di rimborso dei mutui, anzi in Danimarca è già capitato ad una coppia di mutuatari di ricevere un rimborso. C’è da sperare che la stessa cosa accada in Italia? E’ improbabile ma non impossibile.
Improbabile perché l’Euribor al momento oscilla tra -0,34% a un mese e -0,01% a 12 mesi, passando per -0,25% a 3 mesi e -0,14% a sei mesi, mentre lo spread applicato sui mutui a tasso variabile in Italia oscilla tra l’1% e l’1,4%. Non impossibile perché per evitare che le banche italiane seguissero l’esempio di Deutsche Bank che in Germania ha introdotto una specifica clausola per precisare che in nessun caso l’interesse potrà calare sotto un “floor” minimo dello 0,01%, ha espressamente ribadito che non devono essere previsti “floor” di alcun tipo e che occorre sempre sottrarre l’Euribor negativo allo spread nel calcolo del tasso finale mensile su cui calcolare la rata.
Tenete comunque d’occhio le vostre rate, ormai dovrebbero vedere (se a tasso variabile) un tasso tra lo 0,8% e l’1,2%, se di durata decennale, ovvero tra l’1,05% e l’1,90% se di durata trentennale. Se pagate di più fareste bene a cambiare finché avete ancora tempo di sfruttare i tassi negativi per alleggerire il peso del vostro debito per almeno un altro anno e mezzo o forse più.