Le ultime mosse dichiarazioni di Sergio Marchionne, numero uno di Fiat Chrysler Automobiles, questa volta non scaldano più di tanto il titolo che a Piazza Affari resta a 10,4 euro nonostante dopo l’acquisizione di Opel da parte di Peugeot il settore potrebbe vivere una nuova fase di consolidamento e, se non altro, vedere una minore pressione sui prezzi che male non farebbe ai conti del gruppo italo-americano.
Il vero tema resta tuttavia per molti investitori quello del futuro del gruppo Fca, ritenuto come potenziale preda più che un polo aggregante in un mercato maturo dove i margini si assottigliano per i produttori che non riescono a fare un salto di livello e di volumi. Marchionne finora ha inutilmente provato a corteggiare General Motors, ma Mary Barra, numero uno dell’ex socio di Fiat, ha sempre risposto “no grazie”.
Così parlando da Ginevra il manager dal pullover blu puntualizza: “non chiudo nessuna porta, ma è impossibile aprire la porta di GM perché non si è mai aperta. Ho bussato ma non si è aperta, non ho ricevuto nessuna risposta. Potrei bussare un'altra volta, potrei bussare a qualsiasi alta porta se penso che vada bene per il business”. Il riferimento, neppure troppo velato, è al gruppo Volkswagen, ipotesi che però non riscuote molti consensi per ora tra analisti e investitori, anche se per alcuni avrebbe senso industrialmente.
In realtà il problema principale di una simile aggregazione è da una parte che vi sarebbe una forte sovrapposizione di modelli, specie nei comparti delle auto di piccola e media cilindrata, dall’altra si genererebbe un gruppo da 800 mila dipendenti (600 mila di Volkswagen, 200 mila di Fca), difficilmente comprimibili vista la sensibilità dei politici italiani e tedeschi, ma con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca anche americani, sul versante dell’occupazione e del mantenimento dei siti produttivi in territorio nazionale.
Semmai sarebbe possibile che si tornasse a parlare di una cessione di marchi (l’Alfa Romeo piace da tempo) o tecnologie, o si sviluppasse un’alleanza industriale incentrata sullo sviluppo di piattaforme comuni, così da ridurre i costi di sviluppo di nuovi modelli. Quella della riduzione dei costi e del punto di pareggio è del resto la strada seguita dal numero uno di Peugeot, Carlos Tavares.
Tavares, già numero due di Carlos Ghosn in Renault, in soli tre anni è riuscito ad abbassare di un milione di vetture il punto di pareggio di Peugeot, all’epoca ritenuto il più debole tra i grandi produttori europei ed oggi in grado di pagare 1,3 miliardi per Opel-Vauxhall (più 900 milioni per le attività finanziarie europee di GM). Anche Marchionne deve pensare a come fare, avendo già sfruttato per quanto possibile la leva offerta da Chrysler.
La soluzione potrebbe essere ricalibrare le produzioni dei vari stabilimenti e in particolare della Panda, spostata pochi anni fa a Pomigliano e che in coincidenza con l'arrivo della nuova versione potrebbe essere rimandata in Polonia per fare spazio alla produzione dei nuovi modelli dell’Alfa Romeo o della Maserati. “Lo stabilimento di Pomigliano é capace di fare le vetture più complesse della Panda” ha sottolineato Marchionne, aggiungendo: “La prossima versione della Panda finirà altrove”.
Del resto su Pomigliano Fca ha investito 800 milioni di euro a partire dal 2010 in cambio dell’adozione di un nuovo contratto di lavoro che ha lo ha reso lo stabilimento più produttivo d’Italia, quindi appare logico che si voglia alzare la redditività della produzione ivi allocata. Non si tratterà però di una riconversione immediata, visto che la decisione finale sarà annunciata nella primavera del 2019, poco prima dell’addio di Marchionne (che con l’approvazione del bilancio 2018 passerà il testimone in Fca, andando a occuparsi di Ferrari).
Solo allora si saprà cosa sarà prodotto a Tichy e cosa a Pomigliano; nel frattempo il risiko del settore potrebbe aver eliminato dallo scacchiere qualche altro produttore e forse Marchionne avrà saputo trovare quell’alleanza globale necessaria a mantenere Fca autonoma. O, al contrario, un acquirente pronto ad assorbire il gruppo per poi eventualmente farne uno spezzatino, visto l’abbondanza di marchi e modelli di cui il gruppo continua a disporre.