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Luxottica cala in borsa, pesano voci sul destino dell’amministratore delegato

Giornata negativa per il titolo Luxottica in borsa a causa di voci di un addio dell’amministratore delegato Andrea Guerra. Causa del possibile dissidio col patron del gruppo bellunese, Leonardo Del Vecchio, sarebbero le incertezze su costi e profitti legati allo sviluppo dei Google Glass. Sarà vero o è un modo di saggiare la reazione dei mercati ad eventuali numeri di bilancio inferiori alle attese a causa della perdurante crisi europea e di un possibile rallentamento della crescita mondiale?
A cura di Luca Spoldi
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Giornata negativa per il titolo Luxottica che a Piazza Affari cala a poco più di 39 euro per azione a fine giornata, segnando una perdita del 3,6% a fronte di un sostanziale immobilità degli indici della borsa italiana (il Ftse Mib ha chiuso a -0,20%). Motivo di tanto trambusto la notizia rimbalzata sin dall’apertura di una possibile “rottura” tra Leonardo del Vecchio, proprietario di Luxottica (col 61% del capitale), e l’amministratore delegato, Andrea Guerra, arrivato ad Agordo 10 anni fa provenendo dal gruppo Merloni (in cui pure aveva operato per un decennio prima come direttore marketing e poi come amministratore delegato) ed al quale si deve il graduale riorientamento strategico del gruppo, da semplice produttore di occhiali (in grado peraltro di mantenere un costante tasso di crescita anche grazie a ripetute acquisizioni di marchi in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti) a gruppo “high-tech” della visione, come il recente accordo con Google per lo sviluppo dei famosi “Glasses” ha confermato.

Una svolta in verità molto graduale e che è sempre andata a braccetto con una crescita di margini e dividendi che ha portato il titolo a triplicare la quotazione borsistica (da 13 a 39 euro) da quando Guerra prese il posto di Luigi Francavilla (manager così “vicino” a Del Vecchio da rimanere nel gruppo come vice presidente) rivoluzionando la mission del gruppo bellunese in base a una filosofia che predicava come fossero le idee, la creatività e l’innovazione tecnologica (e di design) a determinare il successo o il fallimento di un prodotto (nel caso specifico gli occhiali). Una filosofia che Del Vecchio ha sostenuto in tutti questi anni ma per riuscire a vendere Google Glasses a marchio Ray-Ban (o altri marchi di Luxottica) negli Usa il prossimo anno saranno necessari investimenti molto importanti in un momento in cui i ritorni sono incerti per tanti motivi: anzitutto i Google Glasses si vendono sinora solo negli Usa e, da giugno, in Gran Bretagna, ad un prezzo (1.500 dollari) che non è esattamente alla portata di tutti.

Lanciati nell’estate del 2012, ancora oggi non si sa bene quanti Google Glasses siano stati venduti: alcune stime parlano di 10 mila esemplari a fine 2012 e tra i 200 e i 300 mila a fine 2013. Alla fine di quest’anno le vendite potrebbero salire secondo Business Intelligence attorno agli 800 mila esemplari (il che pare una stima molto aggressiva), per poi balzare a 2,4 milioni a fine 2014, a 3,8 milioni l’anno seguente  e infine decollare oltre i 10 milioni di esemplari dal 2017, quando si suppone che i Google Glasses potrebbero essere disponibili più o meno in tutto il mondo, sperando che in tutto il mondo ci siano abbastanza acquirenti interessati a comprarne un paio (presumibilmente a prezzi in calo, specie se qualche altro sviluppatore di devices per la realtà aumentata dovesse provare a lanciare qualche prodotto concorrente). Ma quanto costerebbe produrre i Google Glass? Anche in questo caso non ci sono numeri ma stime: si parla dagli 85 ai 150 dollari, ma queste cifre sono riferite solo ai costi di manifattura e non tengono conto dei milioni di dollari necessari allo sviluppo sia del software sia dell’hardware (ossia degli occhiali veri e propri), costi che andranno divisi tra Google e Luxottica.

C’è poi un’ulteriore incertezza, ossia come reagiranno i produttori di altri “devices” all’avvento di questi occhiali che altro non sono se non una forma di “wearable computer” di cui si profetizza da anni il successo che però sinora non è arrivato nella misura sperata visto la tenace resistenza dei "tradizionali" (si fa per dire) tablet e smartphone. Alcuni pensano così che il “boom” (le vendite dei wearable sono stimate in tutto pari a 19 milioni di dispositivi entro fine anno e attese ad oltre 112 milioni tra quattro anni, con un mercato che tra il 2014 e il 2024 potrebbe passare da 14 a 70 miliardi di dollari complessivi) sia destinato a durare al massimo un paio d’anni prima che smartphone o altri dispositivi riprendano il sopravvento, riducendo lo spazio per i Glasses e i profitti per i loro produttori. Molti, forse troppi interrogativi che potrebbero giustificare l’esigenza di un confronto “sulle migliori strategie future del gruppo” tra Guerra e Del Vecchio, come ha confermato in una nota stampa la stessa Luxottica, smentendo al contempo che sia stato “convocato alcun consiglio di amministrazione” (per la nomina di un nuovo amministratore delegato, ndr). La soluzione più probabile è dunque che Guerra e Del Vecchio si confrontino da qui a fine anno (quando il manager sarà in scadenza di mandato) per trovare una soluzione soft: o le previsioni su costi e ricavi saranno sufficientemente rassicuranti da convincere Del Vecchio a rinnovare ancora una volta la fiducia a Guerra o per quest’ultimo si troverà una via d’uscita “soft” .

Una rottura clamorosa non conviene del resto a nessuno vista la reazione di borsa e visto che alcuni broker come Kepler-Cheuvreux hanno subito tagliato  il giudizio sul titolo (da “buy”, comprare, a “hold”, mantenere), limando al contempo il prezzo obiettivo (da 45,5 a 40 euro per azione) facendo notare che alle quotazioni attuali Luxottica già tratta 26 volte gli utili per azione previsti a fine 2015, contro una media del settore del lusso pari a 20 volte. Una sopravvalutazione  che (forse) può essere giustificata nel caso di permanenza in sella di Guerra (e di una prospettiva di ripresa mondiale, ed anche europea, solida) ma che rischia di non esserlo più in caso di un avvicendamento improvviso a causa delle incertezze che tale ipotesi getterebbe sulla visibilità sulle future strategie e utili dell’azienda bellunese.

A me viene un sospettuccio: non sarà che si usa la “voce” di un addio di Guerra per iniziare a vedere come potrebbero reagire i mercati a numeri di bilancio meno brillanti del previsto a causa di una crisi che in Europa (e in Italia) continua a perdurare a causa di una “cura letale” che gli eurocrati capeggiati dalla Germania continuano pervicacemente a voler somministrare pur essendo evidente a tutti, come ha scritto persino il New York Times, che i risultati non potranno essere quelli sperati e che bisognerebbe affrontare le attuali incertezze con una politica monetaria molto più “aggressiva” da parte della Bce in modo da interrompere il credit crunch ancora in atto ed anche per dare tempo e modo ai governi del Sud Europa (Roma compresa) di fare riforme il cui effetto a breve termine non può che essere recessivo e va dunque adeguatamente controbilanciato per non riportare ulteriormente indietro le lancette dell’economia del vecchio continente? Considerando che in borsa il titolo Luxottica era sino a ieri sostanzialmente stabile sui valori di un anno fa e che eventuali delusioni sui conti si rifletterebbero in ulteriori possibili cali delle quotazioni, viene da dire che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si becca.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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