Strano destino davvero quello di Giulio Tremonti. Già, perchè quello che resta pur sempre il Ministro più popolare ed apprezzato dagli italiani, si trova in una situazione del tutto particolare e rischia di essere l'ennesima vittima del "fuoco amico". Oggetto della discordia la maxi manovra da oltre 45 miliardi di euro, chiesta, anzi pretesa dall'Europa, che rappresenta per tanti aspetti il punto di non ritorno dell'esperienza di Governo di Tremonti. Non a caso, nelle ultime ore erano stati proprio gli ambienti vicini al centrodestra a far filtrare la notizia di possibili dimissioni del Ministro dal Dicastero di via XX settembre, anche in considerazione dei rumors che raccontavano di un Silvio Berlusconi "furioso" per i contorni di una manovra "lacrime e sangue".
E del resto, che negli ultimi mesi i rapporti fra Gulio e Silvio non siano stati proprio idilliaci è cosa risaputa e fin troppo chiacchierata. Le ragioni però non sono solo di natura strettamente politica (quanto Tremonti sia stato realmente tentato dalla prospettiva di "sostituirsi" al Cavaliere a Palazzo Chigi non è dato sapere), ma affondano anche le radici nel vero "nodo irrisolto" della parabola berlusconiana: l'incapacità – impossibilità di mantenere fede alle "storiche promesse", ovvero il taglio delle tasse e la rivoluzione liberale. E la "colpa" di Tremonti è in effetti grave: aver resistito alle pressioni finanche in un momento di estrema crisi di consenso del centrodestra, non allentando i cordoni della borsa in modo da dar fiato alle trombe demagogiche e populiste che, almeno nelle intenzioni del premier, avrebbero dovuto frenare l'emorragia di consensi del centrodestra.
Una coerenza di cui senz'altro va dato atto ad un Ministro che pure negli anni si è reso protagonista di una serie di provvedimenti estremamente discutibili, guidati da una logica, quella dei "tagli lineari ed indiscriminati", che, se da un lato ha contribuito ad una certa stabilità delle finanze pubbliche, dall'altro ha mortificato la crescita, messo in ginocchio settori considerati "non – strategici" e privato i cittadini di strumenti e servizi essenziali. Se restano i dubbi dell'opposizione e va segnalata anche la disponibilità delle sigle sindacali a discutere nel merito alcuni punti, in un momento molto delicato per la "salute" del nostro paese ed in un clima complessivo che vede la Spagna in fermento con la protesta degli indignados, la Grecia in rivolta dopo le drastiche (e probabilmente inutili) misure del Governo di Papandreou, bisognerebbe anche essere in grado di fare una riflessione seria e scevra da pregiudizi.
Una riflessione che parta magari da alcune domande di non poco conto e che in queste ore catalizzano le preoccupazioni di analisti anche tradizionalmente "avversi" al Superministro. Innanzitutto bisognerebbe chiedersi: siamo in grado di scindere la valutazione sull'operato del Governo Berlusconi dalla discussione di merito sui punti essenziali della manovra? Una lettura interessante è in tal senso quella di Bersani, anche perchè sostenuta da una serie di proposte concrete ed in certa misura alternative a quelle che il Consiglio dei Ministri di domani si appresta a varare. Insomma, un tentativo di andare oltre quella bocciatura generica e semplicistica operata da tanta parte del fronte dell'opposizione.
Ma ancora, nell'attuale congiuntura, Tremonti aveva ulteriori "margini di manovra"? Poteva cioè un Ministro stretto fra pressioni e rivalità interne da una parte, richiami ed ultimatum europei da un'altra, presentare un disegno organico che recepisse istanze di diverso tipo e di ben più radicale portata? La questione è "aperta e irrisolta", come nota un autorevole opinionista come Massimo Giannini su Repubblica (peraltro dopo una generica ammissione circa la manovra "che soddisfa effettivamente i target quantitativi concordati con la Ue"), il quale sottolinea: La domanda cruciale era: chi vincerà il duello, tra il rigorista Tremonti e il lassista Berlusconi? Alla luce di ciò che vediamo, non ha vinto nessuno dei due contendenti. Ha perso l'Italia. Lo scontro in atto non era tra due irriducibili forze, ma tra due resistibili debolezze.
Considerazioni che spingono all'ultima ma centrale domanda: Qual è, rebus sic stantibus, l'alternativa a Tremonti? Oppure, in altre parole, cosa potremmo aspettarci in caso di un cambio al vertice del Dicastero di via XX settembre? Certo, la manovra e ancor più la riforma del fisco sembrano comunque provvedimenti parziali che in qualche modo "rimandano la patata bollente al triennio successivo", tuttavia la resistenza tremontiana alle pressioni del Cavaliere non può essere sminuita nè svalutata, specie se posta in relazione a quella strana accozzaglia di idee, pretese, aspirazioni e rendite di posizione che è al momento il Governo Berlusconi – Bossi- Scilipoti. Come sottolineato da un interessante editoriale de Linkiesta, infatti:
fa un po’ specie questo tiro al piccione: con i suoi alleati nei panni dei cacciatori e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, appunto, nei panni del piccione. Fa impressione che un’intera classe dirigente – il centrodestra che governa, con pochissime eccezioni e inclusi i “vecchi amici” leghisti – punti il dito contro Tremonti. […] La strana coalizione che resta, quella che va da Scilipoti a Borghezio, questa forza politica non ce l’ha: ma non è certo colpa di Tremonti. Che tra tanti difetti ha un merito: sa – ha imparato – che i conti pubblici sono una cosa seria e col fuoco non si scherza. Tanto più se il tuo vicino di casa sta per esser spazzato via da un incendio.
E' chiaro che quanto detto finora non vuol dire rassegnarsi al male minore, nè tantomeno considerare normali tagli drastici (seppur "non lineari", segno forse di qualche ripensamento…) o accettabile quella che resta pur sempre una manovra che in parte pagheranno i ceti medio – bassi, bensì una sottolineatura di una situazione che resta insostenibile, con un Governo in affanno e un'opposizione che deve necessariamente andare oltre Berlusconi. E deve farlo il prima possibile proprio perchè è il Paese che necessita di responsabilità e chiarezza, di ritrovare compattezza ed unità, di tornare a dividersi su questioni "vere" e non sulla nomina di un sottosegretario, sullo stipendio di un Ministro o sui gusti sessuali dei propri rappresentanti. Insomma, parafrasando un "antesignano" come Guzzanti: "Non abbiamo fatto la fine della Grecia e dell'Irlanda, speriamo di non fare la fine (di una certa, aggiungeremo noi) Italia".