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Opinioni

Lisbona a rischio default?

Banco Espirito Santo in picchiata sulla borsa di Lisbona: il sistema bancario portoghese resta fragilissimo e il rischio-contagio potrebbe far pagare un conto salato a tutte le banche europee come pure ai titoli di stato di altri paesi del Sud Europa. Per l’Italia, che non riesce a crescere, il rischio di una “manovrona” correttiva d’autunno resta alto…
A cura di Luca Spoldi
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Seduta negativa per le principali banche europee in scia al tracollo della portoghese Banco Espirito Santo (-18% circa), seconda maggiore banca per capitalizzazione del listino di Lisbona al centro di una “tempesta perfetta” dopo che ieri la controllante lussemburghese Espirito Santo International (Esi) ha fatto sapere che potrebbe chiedere la protezione dai debitori in Lussemburgo se non si raggiungerà un accordo coi suoi debitori sulla ristrutturazione del debito, annunciando inoltre uno slittamento del pagamento degli interessi sui suoi titoli a breve.

Se a Milano a pagare lo scotto maggiore sono ancora una volta nomi come Mps, Banco Popolare, Ubi Banca, Bpm e Banca popolare di Sondrio con cali tra i 5 e i 6 punti percentuali a testa, seguiti da vicino da Banca Etruria, Unicredit e Intesa Sanpaolo (tutte attorno al -4%), mentre per Bper, Banca Carige e Mediobanca il ribasso è “limitato” (si fa per dire) ad un 3% circa a metà giornata, a Lisbona Banco Comercial Portugues (principale istituto privato del paese ma già in profonda crisi tanto che nel 2012 lo stato portoghese dovette iniettare 3 miliardi di euro ottenuti tramite gli aiuti erogati dalla “troika” Ue-Bce-Fmi a Lisbona) è in rosso di oltre il 7%.

Non se la cavano meglio neppure le banche spagnole, francesi o tedesche: se a Madrid i titoli Bbva e Banco Santander limitano i danni cedendo rispettivamente il 3,8% e il 3,3%, a Francoforte Deutsche Bank e Commerzbank perdono attorno al 4%, così come a Parigi il titolo Societe Generale, mentre Bnp Paribas (e ad Amsterdam ING Groep) oscilla attorno ai 3 punti di perdita. Perché questo cataclisma e che ripercussioni potrebbe avere sui risparmiatori italiani? Anzitutto a far paura è il rischio “contagio”.

Il Portogallo aveva appena rinunciato, un mese fa, all’ultima tranche del programma di aiuti finanziari internazionali (il cosiddetto “bailout”) dopo che la Corte Costituzionale aveva rigettato una serie di misure di austerity (del valore complessivo di 700 milioni di euro) previste dallo stesso bailout, ufficialmente terminato a maggio. Col ritorno di Lisbona sul mercato attraverso l’emissione di bond a 5 anni (per 2,5 miliardi) e a 10 anni (per 3 miliardi) e la discesa dei tassi sui decennali a livelli pre-crisi si sperava, ma così non è stato, che anche il rating sovrano del paese (attualmente “BB+” per Fitch, “BB” per Standard & Poor’s e “Ba3” per Moody’s, in tutti i casi ancora inferiore al livello “investment grade” e dunque considerato dagli investitori come “speculativo”) potesse migliorare, favorendo il superamento della crisi in cui restano le banche del paese.

Ora il rischio è che Lisbona possa incorrere se non in un default quanto meno in un ulteriore periodo di incertezze che farebbe crescere nuovamente i rendimenti dei bond di banche e aziende portoghesi oltre che dei titoli di stato (oggi il decennale guida di Lisbona paga un rendimento del 3,75% lordo annuo, distante dal 6,716%pagato nel gennaio 2011 quando venne emessa l’ultima tranche di decennali prima del bailout, ma anche dal rendimento tanto dei Bund tedeschi, pari all’1,21%, quanto dei Btp italiani, attorno al 2,86%). Questo a sua volta rischia di raffreddare notevolmente gli entusiasmi degli investitori, reduci da un semestre che ha visto ulteriori guadagni per chi ha scommesso sui titoli di stato “periferici” di Italia, Portogallo, Spagna e Irlanda (e persino Grecia).

A questo si somma la sensazione che almeno per questo trimestre difficilmente dai bilanci delle banche europee potranno emergere sorprese positive, tanto più visto le ricapitalizzazioni lanciate e la necessità di superare gli esami della Bce. Così da un lato chi ha in portafoglio titoli azionari e bond delle banche europee, a partire da quelle della “periferia Sud” ma non solo, preferisce alleggerire le posizioni e attendere che dopo l’estate Mario Draghi stili l’elenco di buoni e cattivi e vari le attese (ma come detto già ieri non necessariamente risolutive) aste di liquidità “condizionata” a lungo termine e a tassi vicini a zero. Dall’altro lo stesso legame banco-centrico, che dal 2010 a oggi è andato ovunque rafforzandosi anziché indebolendosi come sarebbe stato auspicabile in astratto, fa sì che si vendano anche bond bancari ma pure titoli di stato, in un temporaneo “stop” alla corsa al rendimento.

Che lo stop sia temporaneo è, in verità, un auspicio condiviso dalla gran parte degli operatori e analisti, ma non è una certezza: molto dipenderà dalla capacità dell’Eurozona di tornare a crescere, tranquillizzando gli investitori sulla sostenibilità (ed anzi graduale rientro) dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil che ovunque sono peggiorati in questi anni anche a causa della repressione fiscale fortemente voluta dalla Germania, che deprimendo il denominatore ha inevitabilmente portato ad un aggravamento della tendenza a crescere dei rapporti medesimi in un periodo di recessione prima e stagnazione ora.

Così le tensioni di Banco Espirito Santo (stamane Espirito Santo Financial Group, la holding finanziaria che controlla il 100% di Esi e il 25% di Banco Espirito Santo, ha chiesto la sospensione delle contrattazioni sulle proprie azioni e sui titoli dell’istituto per le “gravi difficoltà del principale azionista”, appunto Espirito Santo International, che non è quotato, ma nei cui confronti sia la banca sia la holding sono fortemente esposte), attraverso una serie di cali delle quotazioni tanto dei bond corporate quanto dei titoli di stato (e delle azioni del comparto bancario europeo) rischiano di presentare un conto salato anche ai risparmiatori italiani e, più in generale, di tornare a sollevare dubbi circa l’effettiva capacità dei governi e delle autorità monetarie europee di far partire questa benedetta ripresa.

Unico raggio di sole in una giornata pesantemente nuvolosa: il Tesoro italiano stamane è riuscito a collocare tutti i 6,5 miliardi di euro previsti di Bot a 12 mesi al tasso minimo storico dello 0,387% annuo lordo, contro lo 0,495% segnato nell’asta di giugno. Ottima notizia perché contribuisce ad alleggerire il fardello che grava sui conti pubblici italiani in termini di interessi sul debito (una voce  che contribuisce a gonfiare il numeratore del rapporto debito/Pil di un’ottantina di miliardi di euro l’anno), peccato solo che a gelare gli entusiasmi ci ha pensato il Centro Studi Confindustria, che prevede un calo della produzione industriale nel secondo trimestre dell’anno pari a -0,5%.

Il rischio di una variazione negativa del Pil a fine trimestre si avvicina: sarebbe recessione “tecnica” e, con un'inflazione sempre sotto l'1% annuo, allontanerebbe sempre di più la possibilità di veder salire il Pil dello 0,8% reale a fine anno come auspicato dal governo (e sopra quel 3,5% circa di costo nominale del debito). Il rischio “manovrona correttiva” ad ottobre-novembre non è insomma svanito e la vicenda del Banco Espirito Santo, rischiando di innvervosire i mercati ulteriormente, potrebbe finire col fare pagare il conto non solo ai risparmiatori ma gli italiani tutti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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