“L’intelligenza artificiale migliorerà il mondo”: il futuro per Vincenzo Esposito (Microsoft Italia)

Il nuovo ad di Microsoft Italia racconta com’è cambiata la sua azienda a partire dalla valore della collaborazione: “Va premiato chi fa crescere gli altri”. E sul futuro dice: “Puntiamo su transizione ecologica e inclusione. Ma non diamo per scontate democrazia e libertà”.
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“Sono dieci anni che lavoro in Microsoft. È stato un percorso lungo ed entusiasmante in cui ho fatto tante cose: ho gestito grandi clienti per l'Italia, poi ho fatto un'esperienza esperienza internazionale, lavorando per i Paesi dell'Est Europa e poi da tre mesi e mezzo ho raccolto questa nuova sfida di guidare il business di Microsoft in Italia”. Vincenzo Esposito, da pochi mesi amministratore delegato di Microsoft Italia, si racconta così. E in questa lunga chiacchierata con Fanpage.it, ne approfitta per tirare le fila della sua esperienza in una delle più grandi e importanti aziende del mondo, per raccontare la sua idea di leadership, di organizzazione, di gestione delle persone e di futuro. A partire dall’amore per il jazz e per l’improvvisazione.

In questi anni come hai visto cambiare Microsoft?
Noi abbiamo vissuto un cambiamento epocale, per certi versi unico. Quando io sono entrato in Microsoft c'era una cultura aziendale molto diversa. Innanzitutto c'era Ballmer. Non so se te lo ricordi, il tizio che si scatenava sul palco alla presentazione di Windows 95.

Povero Ballmer, è un meme, ormai…
Una persona, diciamo, non amata da tutti. Però va detto che arrivava dopo Bill Gates, il fondatore dell'azienda ed era un'azienda che già con Gates aveva una cultura abbastanza divisiva.

In che senso?
Esistevano divisioni di business afferenti ai vari prodotti. Ognuno cercava di fare il proprio lavoro nel modo migliore possibile, ma non si lavorava di squadra. Per certi versi, era un'azienda che era progettata per mettere le persone una contro l’altra.

E poi?
E poi c’è stato un cambio culturale enorme circa nove anni fa, quando è stato nominato un nuovo ceo mondiale che è Satya Nadella. Veniva da Microsoft, e se ci penso a posteriori è abbastanza incredibile che sia riuscito a cambiare la cultura dell’azienda partendo dall’interno.

Come descriveresti il cambiamento che avete vissuto?
Come un cambiamento che si fonda su due concetti: “One Microsoft” e “Growth mindset”.

Partiamo da One Microsoft…
Lui si è trovato in mano un'azienda di unità di prodotto molto performanti, con a capo persone molto potenti. Giusto per darti un'idea, stiamo parlando di persone che gestivano migliaia di persone con budget milionari e che non lavoravano in maniera sinergica. Possiamo definirla un’organizzazione feudale.

E come ha fatto a cambiarla?
Ha deciso di definire il successo dell’organizzazione sulla capacità di creare delle soluzioni per andare sul mercato come un corpo solo. Questo secondo me ha cambiato il modo in cui  guardiamo al successo. Una volta faceva carriera chi faceva quel che gli veniva chiesto di fare. Oggi fai carriera se sei capace di utilizzare in maniera intelligente il lavoro fatto degli altri. C'è voluto un po di tempo e questo va detto. Siamo passati da una visione feudale dell'organizzazione ad una visione unitaria e questo ha scatenato tantissimo valore all'interno dell'organizzazione.

Parliamo di growth mindset, a questo punto.
Intanto diciamo che è un concetto che viene da un omonimo libro di Carol Dweck, che è una studiosa americana di psicologia, che ti invito a leggere. Si fonda sull’idea che le persone di successo non sono le persone che sanno tutto, i primi della classe, ma le persone che hanno la voglia di imparare e migliorarsi.

Sembra un concetto elementare…
Sì, però poi lo portate all'interno di una sezione come Microsoft, dove in tante aree le persone pensano di essere al top è una rivoluzione, credimi. Anche perché questo ha avuto ripercussioni anche sui prodotti che vendevamo all’esterno.

Ecco, tu parli di cambiare la cultura aziendale, perché questo è un po quello che è stato fatto in questi anni e che tu hai raccontato. Ma concretamente come cambia la cultura aziendale? Basta dire Microsoft è o basta dire che dobbiamo cambiare il mindset nei confronti dell'azienda e magicamente le cose cambiano? Quali sono le leve concrete attraverso cui provare a cambiare la cultura di un'azienda?
Ci ha detto molto chiaramente che sì eravamo bravi nel vendere determinati prodotti, ma nel mondo del mobile non siamo bravi in realtà. Perché, anche all’esterno, dovevamo cominciare a lavorare in maniera collaborativa con l'ecosistema. Un esempio? Una delle prime cose che ha fatto è stata collocare moltissimi ingegneri allo sviluppo delle applicazioni di Office su piattaforma iOS. Il messaggio è arrivato fortissimo: apritevi agli altri, come sto facendo io coi nostri concorrenti. Poi ovviamente ha cambiato il sistema di retribuzione e di valutazione. Per ricevere un premio a fine anno, non dovevi ricevere più il massimo della valutazione dal tuo capo, ma dovevi avere una buona valutazione dai colleghi che lavoravano con te.

Poi però le tempeste accadono e una buona leadership è quella che sta soprattutto quella che sa navigare in mezzo alle tempeste. Ecco, mi racconti qual è stato il momento, la tua tempesta. Il momento di vera crisi ha sperimentato all'interno dell'organizzazione in cui lavora in Microsoft e come l'ha affrontata?
In realtà, la vita aziendale non è mai mare calmo. Noi operiamo sempre in una dire tempesta. E nelle tempeste si sbaglia sempre. Quando mi chiedono di parlare dei miei errori io ribalto la domanda e parlo delle due o tre cose che ho fatto bene. La realtà di tutti i giorni è agire sugli errori che facciamo e cercare di correggerli. Tra le tantissime micro tempeste che abbiamo dovuto gestire, devo dire che personalmente gli ultimi tre anni che ho passato nei paesi dell'Est Europa sono stati molto complessi. Ucraina e Russia erano i nostrii mercati più grandi, e all'improvviso ti trovi questi due Paesi che sono in guerra l'uno con l'altro. In meno di un mese abbiamo dovuto chiudere la filiale in Russia, abbiamo dovuto mettere in sicurezza le persone in Ucraina e assicurare la continuità operativa con i partner, con i clienti in Ucraina. Oltre a tutto un lavoro ulteriore sulla cyber security. Diciamo che è stata una sfida ai limiti dell’impossibile, ma che è anche stato uno di quei momenti in cui tu ti senti orgoglioso di far parte di una di un'azienda del genere che non è solo vendita di prodotti o tecnologia, ma è anche e anche cultura e lavoro di squadra.

Se dovessi indicarmi un leader nel mondo della musica, dello sport, quello che vuoi, che in qualche modo simboleggia rappresenti la tua idea di leadership, che nome faresti?
Ce ne sono tantissimi, ma uno dei personaggi che mi ha sempre affascinato è Miles Davis. E in genere il concetto del regista.

Spiega meglio…
Quando facciamo formazione spesso ci parlano del concetto di l'orchestrazione e ti fanno vedere questo fantastico direttore d'orchestra. E ti dicono che tu, in quanto leader, devi orchestrare le persone. Io ho sempre trovato un po’ statico questo concetto. Le persone seguono una partitura e sanno esattamente quello che devono fare dall’inizio alla fine. Nel jazz è diverso perché tu hai una parte, un concetto di fondo, lo standard. Però poi sei chiamato a interpretare di volta in volta, in base a come reagisce il pubblico, al tuo umore, a come suonano gli altri con te. E poi spesso il jazzista come Miles Davis non è solo il direttore d'orchestra, ma è anche una persona che suona, che partecipa alla costruzione della musica. Venendo poi al leader specifico, ci sono due cose che mi hanno sempre appassionato di Miles Davis.

Uno è il fatto di essere estremamente innovativo, di non aver mai paura di cambiare. Per chi è appassionato del genere, lui è uno che ha iniziato suonando in un modo e finito suonando in maniera totalmente diversa. E ogni volta che cambiava i critici lo stroncavano: non andava mai bene, il cambiamento, perché erano innamorati della sua versione vecchia.
La seconda cosa che mi ha sempre impressionato è la capacità di investire nei giovani talenti, mettere un ragazzino di 16 anni a suonare la batteria nel quintetto più famoso al mondo.E mi fermerei qui, perché se no vado avanti a parlare di Davis e di jazz per ore.

Non fermiamoci, stiamo ancora un attimo qua. Perché parlando di jazz, entra in gioco un altro concetto che secondo me è importante all'interno di un'organizzazione, che è il concetto di ritmo. Tu prima dicevi che sul palco si deve suonare anche in ragione del ritmo dell'altro, del mood dell'altro, dell'umore dell'altro. Ecco: secondo te in un'organizzazione tutti devono adattarsi al ritmo del più veloce, bisogna aspettare il più lento o c'è una terza possibilità?
Penso che in un'organizzazione che funziona,  tutti debbano andare allo stesso ritmo. E che, l'organizzazione non sia la performance dei singoli, né quella del più veloce, né quella del più lento. Penso che l’obiettivo sia trovare un ritmo comune, il più possibile vicino al ritmo della persona che va più veloce. Però è un lavoro enorme di mediazione, di capacità del manager di portare le persone ad operare a quel ritmo. È un lavoro di contaminazione, che deve avvenire senza conflitti, senza invidia, in cui è fondamentale la capacità di ispirare gli altri. Io credo che il vero valore aggiunto di un leader sia questo, non il micro management: quello di portare il team più in alto possibile.

Altre alternative secche: bastone o carota?
Carota perché alla fine, anche il bastone non paga. Applico anche a me il concetto che non fare all'altro quello che non faresti a te stesso. Secondo me alla fine la carota paga di più. Dopo di che la carota va motivata: non vanno date carote in maniera indiscriminata.

Rigidità o flessibilità?
Flessibilità sempre. Il mondo è complesso, cambia in continuazione, per cui essere rigidi non paga.

Gerarchia o collaborazione?
Sicuramente collaborazione. La gerarchia è un modo per incasellare, mentre oggi le organizzazioni vanno lette in modo flessibile, dando agli altri la capacità di adattarsi al cambiamento.

Regole o eccezioni?
Regole, con un po’ di eccezioni ogni tanto. Ovviamente le regole non devono essere i dieci comandamenti. Anche nel jazz hai delle regole però le interpreti in maniera creativa, in maniera flessibile. La chiave è l’interpretazione, non l’eccezione.

Fiducia o controllo?
Fiducia tutta la vita. Il controllo è un'illusione, oggi più che mai. Cioè è giusto, secondo me avere dei sistemi di controllo, cioè che l'azienda sia controllata perché così è ben gestita. Dopodiché alle persone va data fiducia, va dato spazio. Le persone sono migliori, se lasciate libere. Alla fine tendono a fare molto meglio.

Memoria o innovazione?
Beh, io non posso che dire innovazione. Nella tecnologia non c'è nessuna azienda che ha scritto “Negozio fondato nel 1875”. È giusto ricordarsi quello che si è fatto, ma deve essere solo un punto di partenza, un trampolino da cui saltare.

Ultima scelta: colpa o responsabilità?
Responsabilità, ovviamente. Dare la colpa non serve a niente. Tutti cercano di fare il loro lavoro nel modo migliore possibile: presumere la malafede altrui è il modo peggiore per lavorare di squadra.

Scendiamo dalla torre, ti leggo una frase di Bill Gates, di qualche decennio fa: “ Verrà un giorno e non è molto lontano in cui potremo concludere affari, studiare e conoscere il mondo e le sue culture, assistere ad importanti spettacoli, stringere amicizie, visitare negozi del quartiere e mostrare fotografie a parenti lontani, tutto senza muoverci dalla scrivania o dalla poltrona”. Questo, più o meno è quel che siamo oggi. Quello che ti chiedo è di fare il profeta: “Verrà un giorno e non è molto lontano, in cui…”. Continua tu…
In cui noi lavoreremo in maniera molto diversa e avremo molto più tempo libero.

Per farci cosa?
Francamente non lo so. Però so che l'intelligenza artificiale e le macchine faranno tante delle cose che oggi facciamo noi. E questa secondo me è una cosa bellissima ed entusiasmante.  Mi ha colpito visitare il museo Mercedes a Stoccarda qualche anno fa. E mi stupiva leggere che all’inizio del Novecento i sindacati salutarono la settimana di sei giorni lavorativi, e la giornata di 9 ore e mezza come una grandissima vittoria sindacale, perché prima lavoravano sette giorni a settimana. Questo ci fa capire come noi oggi già abbiamo beneficiato moltissimo dell'innovazione che ci fa vivere in maniera totalmente diversa. E sarà sicuramente, secondo me, sempre più, sempre più così. È chiaro che noi, come azienda di tecnologia non possiamo che crederci, però quello che stiamo vedendo oggi secondo me ci fa ben sperare.

Hai nominato l'intelligenza artificiale. C'erano pochi dubbi che l’avresti fatto immaginando il futuro. E l'hai descritta in termini abbastanza ottimistici. Altri invece sono molto preoccupati…
Come tutte le cose che hanno un potenziale enorme, anche l’intelligenza artificiale – e nello specifico i large language models come ChatGpt, che è ciò di cui si parla ora – hanno anche un potenziale negativo. Però se io guardo le applicazioni che ci sono all'interno delle aziende sono applicazioni incredibili che non possono non farci essere ottimisti.

Esempio?
Oggi uno dei grandi problemi che noi abbiamo e la quantità di sviluppatori al mondo no, perché il mondo ormai è tutto software driven, in un modo o nell'altro. Ecco: se tu riuscissi a generare il 50% del codice in maniera automatica, riuscirai a compensare un gap esistente senza perdere mezzo posto di lavoro. Oggi ci si concentra molto spesso su le persone che perderanno il lavoro. E non è che voglia banalizzare la cosa. Sicuramente alcune professioni verranno modificate e cambiate, arricchite o impoverite. Ma l’intelligenza artificiale ci permetterà anche di fare qualcosa che oggi non riusciamo a fare.

È la macchina a vapore del lavoro intellettuale, nel bene e nel male…
Esatto. Se tu sei una piccola azienda di venti persone e vuoi fare servizio clienti 24/7 attraverso un chatbot, ora puoi e prima non potevi farlo. Per questo, insomma, tendo ad essere ottimista: tutte le volte che abbiamo a che fare con una tecnologia innovativa che ci cambia il mondo, c’'è sempre chi ha paura ed è giusto aver paura ed è giusto guardare ai rischi. Però poi come umanità, secondo me abbiamo dimostrato che se ci concentriamo su quello che ci può portare, l'innovazione aiuta a vivere meglio.

Visto che stiamo parlando di nuove tecnologie e di rivoluzioni: di che cosa stiamo parlando quando parliamo di quantum computing? E a che punto siamo in questa rivoluzione? Come cambierà la nostra vita?
Quel che sta succedendo con l’intelligenza artificiale è anche dovuto al training che stiamo riuscendo a fare a questi software, grazie a piattaforme cloud appositamente dedicate. Fare un training col computer quantico, implica un miglioramento esponenziale del training.  Questo è un esempio, ma c’è molto di più: il computer quantico è che quello che riesce a mappare il DNA in un secondo, mentre oggi quelli normali ci mettono una settimana. È tutta una questione di velocità. Detto questo, a oggi le applicazioni sono ancora limitate. Ci sono varie aziende, tra cui noi, che stanno ovviamente investendo tantissimo su questo ambito.

Usciamo dalle applicazioni concrete e da ciò che ci riserva il futuro, e parliamo di valori. Se dovessi indicarmi tre valori che facciano da architrave al futuro dell'umanità come te lo immagini quali sarebbero?
Domanda complessa. Il primo è il rispetto dell'ambiente. Questa è l’estate più calda di sempre? Bene, è chiaro che qualcosa sta cambiando, per cui dobbiamo o dobbiamo sicuramente fare squadra e capire come. Innanzitutto non impattare negativamente sull'ambiente e poi cercare ovviamente di migliorare la situazione.

Il secondo valore?
L'inclusione. Noi oggi viviamo in un mondo in cui la maggior parte della popolazione non vive qua. La maggior parte della popolazione vive in Asia, vive in Sudamerica e vive in Africa. Il benessere non può essere solo per gli uomini bianchi dell’Occidente.

Manca il terzo valore…
Democrazia e libertà. Che abbiamo dato per scontate per generazioni intere. In realtà non è così e noi, quantomeno come come come Italia in Europa, come paesi Occidentali dobbiamo prenderne atto e difendere il valore della democrazia, della libertà di parola, di idee e del contraddittorio che secondo me ha un valore e un valore fondante.

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