L’inflazione vola al 6,5%, l’economista Stirati: “I prezzi saliranno anche se finisce la guerra”
In Italia continuano ad aumentare i prezzi. Secondo l'Istat a marzo l'inflazione è cresciuta di un ulteriore 1% rispetto a febbraio, con un balzo del 6,5% su base annua (dal 5,7% del mese precedente). La stima è leggermente migliore rispetto al quadro preliminare, secondo cui l'aumento sarebbe stato del 6,7%. Ma si tratta in ogni casi di una crescita importante, con effetti pesanti sui consumi degli italiani e sull'attuazione del Pnrr. A confermarlo, ai microfoni di Fanpage.it, è l'economista e docente dell'Università Roma Tre Antonella Stirati, che da anni studia le dinamiche dell'inflazione e i suoi possibili effetti in diversi scenari.
Professoressa, come siamo arrivati a un'inflazione in crescita addirittura del 6,5% rispetto allo scorso anno?
L'inflazione non nasce in Italia, né viene alimentata in Italia. Probabilmente sugli aumenti, sia dei prezzi delle materie prime, sia del cibo fresco e dell'energia, c'è stata un po' di speculazione. Ci sono i mercati finanziari che gestiscono i prezzi del gas, del petrolio e dei cereali. Insieme a fattori oggettivi, legati all'interruzione delle catene di produzione e di trasporto e alla guerra, ci sono fenomeni finanziari. Da noi poi non c'è una rincorsa dei salari sui prezzi. I salari sono fermi e c'è una sofferenza del potere d'acquisto.
Una sofferenza che rischia di diventare insostenibile, o no?
Gli effetti sui consumi sono molto pesanti: il potere d'acquisto si è già ridotto del 10%, soprattutto a causa del caro-bollette. La fascia di popolazione che spende tutto quello che guadagna, perché guadagna poco, deve tagliare su diverse voci di spesa.
Non solo le fasce meno ricche: secondo un sondaggio di Euromedia il 55% degli italiani avrebbe già ridotto i consumi.
Direi che è assolutamente possibile. Su questi beni di cui è aumentato il prezzo si può risparmiare un po' con vari escamotage, ma alla fine tutti si devono illuminare e scaldare, non si può farne a meno. Così come tanti devono usare l'automobile, e quindi la benzina, per muoversi. Quindi per compensare si devono ridurre altre spese, come se si avessero di fatto meno soldi. Poi c'è un aspetto di incertezza e timore che spinge a ridurre i consumi per avere dei risparmi: una sorta di valvola di sicurezza se le cose peggiorassero ancora. Tutto ciò non fa bene alla crescita. Tra l'altro questa inflazione sta causando grossi problemi al Pnrr.
Cioè?
Le gare d'appalto erano state disegnate sui prezzi precedenti a questa inflazione, quindi ora per le aziende non sono più remunerativi rispetto ai costi. Soprattutto le imprese dell'edilizia, infatti, vedono costi nettamente cresciuti rispetto a dodici mesi fa. Alcuni bandi che sono stati vinti non sono più convenienti e da quello che mi risulta diverse gare degli enti locali per le opere pubbliche stanno andando deserte. Probabilmente bisognerà rivedere qualcosa, cambiando i prezzari. In generale, comunque, il valore dell'intero Recovery Fund sta diminuendo con questa inflazione.
Secondo l'Ocse negli ultimi 30 anni l'Italia è l'unico Paese europeo in cui i salari invece che aumentare sono diminuiti. Non è venuto il momento di aumentarli, proprio per rilanciare il potere d'acquisto?
I salari reali in Italia sono fermi da tanto tempo, con alcune fasce che hanno visto appunto una riduzione dei compensi rispetto all'aumento dei prezzi. Io penso che, al di là della riduzione della produttività, ci siano problemi di tenuta sociale e politica, per cui non si riesce a spingere su questo fronte. Ora un adeguamento dei salari nominali ai prezzi farebbe sicuramente riprendere il potere d'acquisto, limitando l'effetto recessivo sui consumi. La mossa, però, potrebbe alimentare un po' di inflazione interna.
E sarebbe uno scenario negativo?
L'inflazione continua nel tempo in due casi: se i costi aumentano senza sosta, oppure se c'è una rincorsa tra salari e prezzi. Nel secondo caso l'inflazione che vediamo oggi potrebbe fermarsi, ma aumentando i salari, le imprese potrebbero far salire i prezzi per non perdere profitti. Questo inseguimento potrebbe far proseguire l'inflazione anche una volta terminata la spinta che vediamo sul fronte delle materie prime.
Ma intanto per far finire questi aumenti c'è bisogno di far terminare la guerra in Ucraina?
Non sono sicura che la fine della guerra possa far concludere l'aumento dei prezzi. Sicuramente il conflitto contribuisce, peggiorando la situazione, ma la crescita dei costi era iniziata diversi mesi fa con la ripresa dell'economia dopo il periodo più buio della pandemia. Per fare un esempio la Cina ha chiuso delle zone di produzione e non le ha ancora riaperte: il mondo non è ancora tornato quello che era prima del Covid. Ci sono strozzature e ostacoli nelle catena internazionali di produzione, non più attivabili con la stessa facilità di prima. E sono fenomeni che probabilmente resteranno ancora per un po', a prescindere dalla guerra.