Enrico Letta ci prova: secondo quanto riferito dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, al termine del vertice di maggioranza a palazzo Chigi, il governo intenderebbe varare entro il prossimo euromeeting del 27 e 28 giugno prossimi un decreto legge definito “decreto del fare” contenente provvedimenti in materia di semplificazioni, lavoro e Pmi per “liberare energie e risorse”. Quanto alle prime, le energie, ce lo auguriamo vivamente, avendo da tempo segnalato come l’unica alternativa sensata (anche se non per questo di sicura efficacia, purtroppo) all’insensata (visto i tempi e i modi con cui è stata applicata) ricetta “tedesca” dell’austerity a tutti i costi, che tanti danni ha prodotto alle economie della sponda Sud dell’Europa, Italia compresa, è una ricetta in stile “Abeconomics” che a fronte di importanti riforme strutturali sia in grado di rilanciare la crescita. Intendiamoci, non è affatto semplice riuscire nell’impresa per il premier giapponese Shinzo Abe ma neppure per il suo omologo italiano Enrico Letta, se non altro perché l’Italia come il Giappone sembra destinata a un declino demografico che ci trasformerà (ancor più di quanto già non siamo oggi) in un paese di vecchi (si spera non più così ideologi e nostalgici, ma tant’è, il rischio esiste), ma almeno un tentativo andrebbe fatto visto che di iniziative per valorizzare giovani e start up continuano a esisterne persino in Italia e sarebbe un peccato mortale sprecarle.
Sul secondo punto, le risorse, continuo invece ad avere maggiori dubbi. In questi giorni la stampa e i siti di informazione italiana sembrano essersi eccitati all’idea che, in qualche modo, l’Imu (almeno sulla prima casa) possa essere cancellata definitivamente e fanno a gara a suggerire come reperire la somma necessaria (circa 4,9 miliardi l’anno). Purtroppo vorrei ricordare che in una nave che imbarca acqua il problema non è trovare un secchio con cui svuotare una parte dell’acqua imbarcata, ma chiudere la falla prima che affondi la nave. Fuor di metafora sarà pure interessante disquisire del fatto che tassando del 10% il patrimonio dei “Paperoni” d’Italia si otterrebbero 5 miliardi di euro di entrate fiscali, ma è evidente che non si può pensare di tassare ogni anno un patrimonio, qualche che sia, con un’aliquota “da esproprio” del 10%. Perché, semplicemente, se così si facesse in assenza di reddito si finirebbe con l’azzerare il patrimonio sottoposto a tale prelievo nell’arco di un decennio (per non dire del fatto che persino i “super ricchi” italiani avrebbero problemi a monetizzare un 10% del proprio patrimonio dal mattino alla sera).
Semmai andrebbe finalmente revisionata la tassazione sui redditi con una revisione sia del numero e del peso delle aliquote sia della distribuzione del carico fiscale sui differenti tipi di reddito (da lavoro e da capitale). Ma di simile coraggiosa e per molti versi inevitabile riforma non c’è traccia nelle dichiarazioni del governo Letta, che anzi continua a prender tempo anche sul versante dell’eventuale (molto eventuale) slittamento (o cancellazione) dell’aumento dell’Iva dal 21% al 22% dal prossimo primo luglio. Come l’Imu anche l’Iva è più un punto del programma elettorale del Pdl (uscito a pezzi dalla tornata amministrativa ma non per questo ammorbiditosi, almeno nei toni, sull’argomento) che un problema da risolvere senza se e senza ma per far ripartire l’economia. O almeno così sarà sinchè non si avrà il coraggio di chiudere le falle di cui sopra, il che fuor di metafora vuol dire anziché ulteriormente tassare (per decidere poi se usare il ricavato per rimborsare il debito o sostenere ulteriori spese) iniziare a ridurre (e migliorare) la spesa pubblica.
Il fatto stesso che in oltre cinquant’anni di Repubblica non si sia messo mano a una riforma seria e profonda della spesa (molte cui voci non sono comprimibili in misura significativa rispetto ai livelli attuali) dovrebbe dimostrare quanto difficile sia il compito e quanto improbabile sia che possa essere affrontato con successo e in breve tempo dall’attuale esecutivo. Eppure se veramente si vorrà, come a parola sembra volere anche Letta, affrontare finalmente il nodo dell’eccessivo cuneo fiscale sul lavoro, se si vorrà evitare ulteriori aumenti dell’Iva, se si vorrà rimodulare l’Imu o l’Irpef, ebbene una seria revisione e riqualificazione della spesa sarà necessaria e il fatto che non lo si sia fatto sinora è solo un’aggravante e non un’attenuante, purtroppo. Ripete spesso l’amico Mario Seminerio che non si può riformare sotto le bombe. Sono d’accordo, ma forse almeno uno sforzo andrebbe fatto per indicare in che direzione si vorrà procedere appena il bombardamento economico si farà meno intenso, sperando che in qualche modo la famosa e più volta “avvistata” luce in fondo al tunnel prima o poi si traduca in qualcosa di più che in un rallentamento della velocità di caduta.
Dopo di che bisognerà andare in Europa, sfruttare la ritrovata (a caro prezzo) affidabilità del governo italiano e contrattare un percorso comune di ripartenza dell’economia di tutta Europa e dell’Italia in particolare. Attraverso maggiore cooperazione e coordinamento, sfruttando il tempo prezioso che è riuscito a guadagnare anche per noi la Bce di Mario Draghi ed evitando di bruciare le poche risorse ancora disponibili in operazioni di mera propaganda politica. Tutto sommato dopo aver avuto presidenti del consiglio “ferrovieri”, “pompieri”, “cantautori” e quant’altro, forse ci servirebbe un premier “contadino”, in grado di preparare il terreno per la semina e attendere, paziente, che nuove imprese mettano radici, assistendole amorevolmente finché non riusciranno a stare sulle proprie gambe avviando un nuovo ciclo di crescita (o quanto meno di redistribuzione del reddito). Il resto son chiacchiere per la stampa e i siti “di informazione” italiani: lasciamogliele volentieri.