Per tutti noi si chiama sentenza, per lui "folklore locale". Per il buon Marchionne infatti la sentenza del Tribunale di Roma che ha condannato la Fiat per discriminazioni contro la Fiom, non sarebbe concepibile in nessuna parte del mondo. Certo, per quanto ne sa lui. Del resto, per quanto ne sa lui è legittimo che un'azienda rifiuti di riassumere i lavoratori che hanno in tasca la tessera di un sindacato sgradito. Del resto, per quanto ne sa lui, è giusto che sia l'azienda a decidere quali sindacalisti siano degni e quali no. Del resto, per quanto ne sa lui, il concetto di "diritto" necessita di essere "riveduto e corretto", traslato e contestualizzato. Del resto, lui è l'uomo forte del capitalismo italiano. Quello che fa affari a Detroit e gioca con le fabbrichette manco fossero gli alberghi del Monopoli. E può permettersi di alzare la voce, snobbare e minacciare (più o meno velatamente), non solo operai e sindacalisti sia chiaro, ma anche politici e giornalisti. E poi, magari, di spostare in Cina la produzione. Lui è uno di sostanza, mica come quei romantici parolai che ancora pensano a Costituzione e Statuto dei lavoratori, residui da cancellare. Folklore locale insomma. Come una sentenza di un Tribunale della Repubblica italiana. Lui è uno di quelli che, per citare Paolo Rossi, "piuttosto che pagare una lira in più di tasse a Roma" può permettersi di delocalizzare e scegliere dove investire. Del resto, lui mica è al vertice dell'azienda che più di tutte ha goduto di aiuti e sovvenzioni, che più di tutte ha fondato la propria ricchezza sul lavoro e sul sacrificio di tanti italiani, che più di tutte ha fatto ricorso all'assistenzialismo pubblico (quello vero). Del resto lui è Marchionne e se non lo ricorda, si informi (cit.)