L’economista Michael Hudson: “Cancelliamo tutti i debiti, solo così potremo salvarci dalla crisi”
La sua tesi è stata ospitata su The Washington Post, uno dei più autorevoli quotidiani americani, giornale che portò alla luce il caso Watergate, più volte premiato con il premio Pulitzer. Testata certamente non tacciabile di simpatie anti-capitaliste, anche perché l'attuale proprietario è Jeff Bezos, uno degli uomini più ricchi al mondo. Eppure il quotidiano di Washington qualche settimana fa ha pubblicato un editoriale firmato da Michael Hudson, 81 anni, docente emerito di economia alla University of Missouri, presidente dell'Institute for the Study of Long-Term Economic. La tesi? L'unico modo per non finire strozzati dalla crisi economica innescata dal covid-19 è quello di non ripagare i debiti, o almeno non tutti. Un “giubileo dei debiti”, lo definisce l'economista di scuola marxista rifacendosi alla tradizione ebraica e cristiana. Una proposta radicale, che modificherebbe le regole del gioco usate negli ultimi decenni praticamente in tutto il mondo. Il fatto che la tesi di Husdson sia stata pubblicata su The Washington Post è la spia di un momento storico unico, in cui tutte le certezze sono messe in discussione. Anche quella di ripagare i debiti, la base della fiducia dei mercati finanziari.
Professor Hudson, può spiegare perché lei sostiene che un giubileo dei debiti sia l'unico modo per evitare una grande depressione economica?
L'alternativa a una svalutazione dei debiti è la deflazione debitoria. Questo perché se l’inflazione diventa negativa, il debitore deve restituire più di quanto ha ricevuto. I debitori si troveranno in questa situazione, mentre i creditori diventeranno ancora più ricchi.
L'effetto politico quale sarebbe, nel caso in cui non si procedesse a una svalutazione dei debiti?
La classe dei creditori utilizzerà la propria ricchezza per impedire ai governi di contrastare lo sfruttamento della situazione da parte dei creditori stessi. La dinamica è molto simile a quella del feudalesimo. In pratica l'Italia – come altre nazioni – avrà a che fare con due grandi classi sociali: da una parte quella dei creditori, che vedrà la sua ricchezza massimizzata; dall'altra quella dei debitori, dipendenti dalla generosità della classe dei creditori, che deve essere intrinsecamente egoista se vuole recuperare i suoi crediti.
Quindi lei propone di cancellare un parte di questi debiti?
Sì, perché così i lavoratori sarebbero liberati dai debiti che impediscono loro di acquistare ciò che producono. Un giubileo dei debiti allenterebbe inoltre la dipendenza dell'intera economia da quell'1 per cento più ricco, la cui morale è libertaria, egoistica e contraria a qualsiasi governo abbastanza forte per tirare fuori l'economia dalla depressione.
Nel suo editoriale pubblicato su The Washington Post, lei ha spiegato che esiste un precedente di giubileo del debito, implementato in Germania dopo la seconda guerra mondiale. Lei stesso dice però che allora per gli Alleati fu facile accettarlo, visto che i creditori erano principalmente nazisti o aziende collegate ai nazisti. Adesso la situazione è molto diversa. Pensa che un giubileo di debito sia davvero fattibile nelle condizioni attuali?
Non credo che avverrà nell'immediato. Quello che posso fare io è mostrare come le economie degli Usa e dell'Europa si ridurranno e s'impoveriranno se i debiti in eccesso non verranno cancellati. Se ad esempio in Italia il sistema legale, quello fiscale e quello infrastrutturale verranno lasciati nelle mani della finanza, l'effetto sarà quello aumentare il potere dei creditori nei confronti del resto dell'economia.
La società americana è notoriamente più indebitata di quella europea. Perché crede che il giubileo dei debiti dovrebbe essere applicato anche in Europa?
Se i debiti di oggi restano invariati, i Paesi dell'Ue si separeranno, perché ripagare i debiti crescenti diventerà sempre più insostenibile. L'occupazione diminuirà, la popolazione diminuirà, i servizi pubblici diminuiranno. Aumenterà l'emigrazione, anche se è difficile immaginare dove andranno i migranti.
In caso di cancellazione dei debiti, le banche sarebbero le grandi perdenti. Perché secondo lei dovrebbero accettare di non incassare i loro crediti?
L'interesse pubblico prevale su quello delle banche. Per definizione, un governo democratico deve essere abbastanza forte da scavalcare la politica intrinsecamente antidemocratica delle banche. Se lo Stato non le controlla, loro controlleranno lo Stato.
Ma se le banche perdono soldi perché i creditori non ripagano i debiti, saranno i correntisti a rischiare i loro risparmi.
La maggior parte dei depositi è assicurata (in Italia fino a 100mila euro, ndr). La perdita sarebbe sostenuta principalmente dagli obbligazionisti e dagli azionisti, cioè da quell'uno per cento più ricco della popolazione.
A detenere azioni e obbligazioni delle banche ci sono però anche piccoli risparmiatori. Se alla fine di questo processo le banche fallissero, lo Stato non dovrebbe aiutarle?
Assolutamente no. Le banche non hanno avuto un ruolo produttivo per la società negli ultimi decenni. Sono parte di un processo di finanziarizzazione corrosiva: cercano di arricchirsi scommettendo sull'andamento dei prezzi delle varie attività, prestano soldi a chi compra immobili e poi usa l'affitto di quell'immobile per ripagare il mutuo sperando di ottenere un profitto. Per dare un'alternativa a questo comportamento corrosivo, le banche dovrebbero essere socializzate e riportate sotto il dominio pubblico, servendo l'economia nel suo insieme per finanziare la produzione e il consumo, non l'inflazione dei prezzi delle attività.
Lei quindi propone una nazionalizzazione delle banche. In generale, però, se passa il concetto che i debiti si possono non pagare, chi sarà più disposto a prestare soldi in futuro?
I creditori continueranno a prestarli, lo hanno sempre fatto. La maggior parte dei debiti non è il risultato di nuovi prestiti, ma l'accantonamento degli interessi passivi, il che per il creditore significa avere una rendita senza fare nulla. Come i padrone di casa, i creditori riscuotono semplicemente il loro reddito. Le banche non concedono prestiti a fini produttivi, con l'obiettivo di migliorare i mezzi di produzione e quelli di sussistenza. Prestano soldi principalmente a fronte di garanzie: in questo modo trasferiscono attività già esistenti, facendo aumentare il loro prezzo, invece di creare nuova, vera ricchezza. Le banche pubbliche avrebbero invece un obiettivo completamente diverso. Presterebbero soldi per scopi produttivi, non semplicemente per acquistare azioni, obbligazioni, immobili e società.
Lei propone un giubileo dei debiti valido anche per gli Stati. Ma perché, facendo un esempio europeo, la Germania dovrebbe accettare che all'Italia venga cancellato parte del suo debito pubblico, detenuto in parte anche da piccoli risparmiatori italiani?
Il debito italiano nei confronti della Germania è il risultato del fatto che l'Ue non ha permesso ai governi di fare deficit di bilancio, promuovendo invece la logica del “ogni nazione per sé”. È stata una politica sbagliata, perché ha portato all'austerità in Italia così come in Grecia e in altri Stati. La Germania non ha alcuna giustificazione morale per esigere la restituzione dei crediti. La sua politica economica è intrinsecamente distruttiva e predatoria. Questo rende i suoi dei "crediti inesigibili", di conseguenza la Germania deve mettere in conto delle perdite su quei crediti.