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Opinioni

Le borse tifano Grecia, ma in Italia il nodo sono le riforme

Padoan incontra il collega greco Varoufakis e insieme sostengono l’importanza di una crescita sostenuta da riforme strutturali. Già, le riforme: in Italia molto se ne è parlato, ma poco si è fatto finora…
A cura di Luca Spoldi
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Atene cambia le carte in tavola, accantonando l’idea di procedere ad un “haircut” (un taglio del capitale nominale da rimborsare) di quella parte dei 240 miliardi di euro di aiuti che la Grecia ha ricevuto, attraverso due bailout, dalla “troika” Ue-Bce-Fmi per proporre uno scambio, in gergo tecnico uno “swap”, tra i titoli di debito in mano alla Bce, da scambiare con bond “perpetui”, e all’Efsf (European financial stability facility, uno dei due fondi “salva-stato” attraverso cui sono stati erogati i fondi Ue) ,che invece verrebbero convertiti in una nuova tipologia di bond che avrebbe un tasso d’interesse collegato alla variazione della crescita.

Bene, bravi , bis: in verità se la tattica adottata da Yanis Varoufakis appare ineccepibile (prima si minaccia la rottura clamorosa, evitando tuttavia di chiamarla col suo nome, l’uscita dall’euro, ed anzi rassicurando che il fine non è quello, poi si propone un’alternativa più “indolore”, il tutto guardandosi bene dal dettagliare i meccanismi in base ai quali tale alternativa funzionerebbe, cosa che verosimilmente avverrà nel corso di negoziati che andranno avanti presumibilmente per alcuni mesi) e tale da ridurre il “rischio contagio” verso la Spagna e l’Italia, che infatti mostrano subito di gradire con nuovi rialzi degli indici di borsa e cali di rendimenti e spread sui titoli di stato, qualche dubbio resta sulla fattibilità concreta della proposta mentre sullo sfondo restano pure le scadenze per 15 miliardi di euro entro l’anno tra debiti da rimborsare e titoli di stato che giungeranno a maturazione.

Che si debba fare tutti il tifo per Varoufakis l’ho già spiegato ieri, che non si debba dare per scontato che gli interessi di Atene coincidano con quelli italiani è evidente anche dalla grande prudenza con cui una nota del ministero dell’Eonomia e Finanze ha annunciato oggi l’avvenuto pranzo di lavoro tra lo stesso Varoufakis e il ministro Pier Carlo Padoan (mentre Alexis Tsipras incontrava Matteo Renzi), “caratterizzato dalla cordialità che caratterizza i rapporti di amicizia tra i due paesi e dai principi di collaborazione che legano gli stati membri dell’Unione europea” (come no: chiedere a Berlino per conferma) nel corso del quale il ministro greco ha illustrato al suo omologo italiano “le linee generali delle iniziative di politica economica che il governo greco intende assumere”. L’Italia, fa sapere Padoan, condivide con la Grecia “un interesse comune: entrambi siamo convinti dell’importanza che la Grecia si collochi su un sentiero di crescita forte e sostenibile attraverso un chiaro programma di riforme strutturali”.

Crescita sì, ma con giudizio? “L’attenzione alla crescita è prioritaria per garantire la sostenibilità del debito greco e per creare nuova occupazione nel paese e contribuire così a sollevare il popolo greco dal disagio sociale prodotto dalla crisi” conclude Padoan, ma forse più che guardare alla Grecia il ministro dovrebbe guardare in patria. Il capitolo delle riforme “strutturali”, per quanto rivendicato a gran voce dal governo Renzi, non ha prodotto finora risultati particolari. Certo, è stato varato il Jobs Act, sul cui impatto sul mercato del lavoro c’è tuttavia da avanzare più di una riserva, non fosse altro che tocca solo aspetti attinenti all’offerta di lavoro e non alla domanda dello stesso. Altre più concrete riforme, da quella sull’Rc Auto (dove si rischia un passo indietro rispetto ai testi del 2012, con le assicurazioni che stanno tentando l’ultimo assalto alla diligenza cercando di avere mani libera in tema di sconti e di rimborsi) a quelle delle professioni sono in alto mare o ancora dai contorni poco definite.

Le privatizzazioni, nonostante le rassicurazioni periodicamente ribadite da manager e Tesoro, sono slittate rispetto alla data inizialmente stabilita e ancora non sono state indicate nuove finestre temporali specifiche, come ha ad esempio ribadito in un’intervista l’amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio (che comunque punta a quotare il 40% di Poste “entro il 2015”). In campo fiscale dopo la penalizzazione determinata per le partite Iva dal nuovo regime dei minimi e mentre è ancora elevato il rischio di “confusione” tra frode fiscale ed elusione/evasione che la prima lettura della norma (poi “sospesa”) che puntava a introdurre una soglia minima del 3% aveva generato, si deve cercare di porre rimedio.

Di entrambi gli argomenti, come pure del riordino dei contratti, in particolare delle collaborazioni a progetto e di quelle coordinate e continuative, nonché della cancellazione delle associazioni in partecipazione, si parlerà nel Consiglio dei ministri del 20 febbraio prossimo, data che rischia di diventare per l’ex “bel paese” molto più cruciale del 12 febbraio, data in cui è fissato il prossimo Ecofin che dovrebbe varare un fondo strategico per cercare di concretizzare il fantomaticopiano Juncker” che si vorrebbe in grado di attivare fino a 315 miliardi di euro di investimenti in tutta la Ue nei prossimi tre anni (ma la leva finanziaria è proibitiva e salvo aggiustamenti il risultato non sembra poter essere centrato) e che potrebbe vedere una prima “presa d’atto” delle proposte di Atene da parte degli altri paesi membri della Ue, Germania compresa.

Comunque vada ci aspetta un mese particolarmente denso di appuntamenti, non ultimo l’avvio ai primi di marzo del programma di acquisto di abs, covered bond, bond corporate e titoli di stato da parte della Bce, programma nell’ambito del quale potrebbero essere comprati titoli greci solo a condizione che Atene non esca anzitempo dalle procedure di bailout (e dalle relative richieste) e/o che dimostri di poter tornare a emettere sul mercato titoli con un rating non inferiore all’investment grade (cosa ad oggi difficile da ipotizzare, quanto meno riguardo al “quando” se non al “se”). Programma che, al di là dei sorrisi diplomatici, per alcuni avrebbe definitivamente rotto ogni relazione tra Mario Draghi e Angela Merkel. Decisamente gli equilibri che per quattro anni abbiamo visto e raccontato in Europa sembrano sul punto di saltare.

Se non altro qualche segnale di ripresa persino in Italia inizia a intravedersi, con un saldo tra imprese cessate e nuovi avviamenti in miglioramento a fine 2014 di poco superiore a 30 mila nuove imprese (saldo, spiega Unioncamere, dovuto unicamente al calo delle cancellazioni, 340.261, oltre 31.500 in meno che nel 2013, a fronte di nuove aperture che sono rimaste sotto quota 371 mila, qualche centinaia meno dell’anno precedente) che sembra confermare come gli imprenditori stiano “tenendo duro” sperando in una ripresa nei prossimi mesi. Altri segnali, dall’auto agli alimentari, mostrano qualche variazione positiva e alimentano ulteriormente tale ipotesi, anche se è troppo presto per cantar vittoria e dichiarare che la crisi è alle spalle. Eppur (qualcosa) si muove.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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