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Lavoro: sulle assunzioni pesa la scarsa qualità della politica economica

Il crollo delle assunzioni a tempo indeterminato nel primo trimestre 2017 rispetto al 2015 testimonia come la scarsa qualità della politica economica e di bilancio italiana continui a penalizzare il paese, rendendolo sempre meno competitivo e attraente per le aziende…
A cura di Luca Spoldi
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Carramba che sorpresa, si fa per dire: gli ultimi dati dell’Osservatorio sul precariato distribuiti oggi dall’Inps e relativi al marzo scorso hanno fatto registrare, nel settore privato, un saldo positivo, tra assunzioni e cessazioni, di 322 mila, in crescita rispetto allo stesso periodo del 2016 (266 mila). Tutto bene? Non proprio.

Se è vero che il saldo annualizzato (differenza tra assunzioni e cessazioni negli ultimi 12 mesi) dei primi tre mesi del 2017 è positivo (379 mila), segno che anche la flebile ripresa economica italiana sta iniziando a produrre effetti positivi sul mercato del lavoro, andando a vedere i dettagli si scopra come il saldo sia il risultato di una decisa crescita dei contratti a tempo determinato (315 mila, inclusi i contratti stagionali) più che del modesto incremento dei contratti a tempo indeterminato (22 mila) e dei contratti di apprendistato (40 mila).

Tendenze, precisa l’Inps, “in linea con le dinamiche osservate nei mesi precedenti”, dunque non si è trattato di un caso isolato. Complessivamente le assunzioni nel settore privato nei mesi di gennaio-marzo 2017 sono state 1.439.000 e sono aumentate del 9,6% rispetto al periodo gennaio-marzo 2016. Il maggior contributo è dovuto alle assunzioni di apprendisti e a quelle a tempo determinato (incrementate rispettivamente del 29,5% e del 16,5%), mentre sono calate del 7,6% quelle a tempo indeterminato.

Il deciso ricorso alle assunzioni a tempo determinato mostra, per cui ancora non ne fosse convinto, come l’articolo 18 (e la sua abrogazione) non fosse e non possa essere il principale problema del mercato del lavoro italiano, che in questi anni è drasticamente cambiato rispetto all’epoca “pre-crisi”.

Se poi si confronta il risultato del primo trimestre 2017 con quello dello stesso trimestre 2015 e 2016, si nota come nel 2015 si fossero registrate 220.765 assunzioni a tempo indeterminato (crollate già l’anno successivo a sole 41.731) e 114.114 assunzioni a tempo determinato (balzate a 209.588 nel 2015).

Una inversione di tendenza evidente e duratura che costituisce la prova provata di come gli incentivi (scaduti a fine 2015) per le assunzioni a tempo indeterminato previste dal “Job Acts” a fronte di una totale assenza di politiche proattive per il lavoro e della permanenza di un elevato “cuneo fiscale” sul costo del lavoro stesso, siano serviti solo come pegno elettorale, evaporato a contatto con la realtà.

Una realtà incontrovertibile è che il lavoro non si crea per decreto né grazie ad incentivi “a tempo”, ma accompagnando le continue trasformazioni del mercato con opportune politiche che favoriscano l’aggiornamento professionale, consentano di aumentare la flessibilità del lavoro senza che questo si ripercuota in maggiori costi per i lavoratori (o le aziende), favoriscano l’imprenditorialità giovanile.

Purtroppo anche il governo Gentiloni sembra orientato a rinviare ancora una volta ogni misura per ridurre le aliquote Irpef, mentre non è chiaro se e come si interverrà per ridurre la pressione fiscale “monstre” che grava sul lavoro in Italia (il 47,8% medio per un lavoratore single senza figli, contro una media Ocse del 36%).

Il tutto senza che vi siano segnali di una qualche intenzione di migliorare la qualità dei saldi di bilancio cui siamo tenuti dagli impegni europei che se ci vincolano a livelli di percentuali non ci indicano come raggiungere quelle stesse percentuali. Col risultato che, nonostante la “narrazione” di una feroce austerity che di fatto da almeno due anni non esiste più neppure a livello europeo, da tre anni l’Italia attua una politica di bilancio espansiva.

Come è possibile, si chiederà a questo punto qualcuno, che con una politica di bilancio espansiva e una politica monetaria (della Bce) fortemente espansiva, il Prodotto interno lordo italiano continui a crescere meno di tutti gli altri paesi dell’Eurozona e l’occupazione salga quasi esclusivamente grazie alle assunzioni a tempo determinato?

Perché la qualità della politica di bilancio, fatta di bonus e mancette elettorali è pessima e ci fa costantemente perdere competitività, rinviando di anno in anno una resa dei conti che, quando arriverà, rischia di essere salatissima per tutti, forse persino per gli “amici e clienti” che la politica in questi anni ha cercato di tenere al riparo dalla crisi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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