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La Russia prova con l’autarchia ma rischia di finire al tappeto

Mosca pronta a “rilanciare” il made in Russia per far fronte alle sanzioni occidentali. Ma tra l’Europa (e l’Italia in particolare) e Mosca, a rischiare di più in questo braccio di ferro è proprio l’ex Unione Sovietica, complice il crollo delle quotazioni petrolifere.
A cura di Luca Spoldi
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Il petrolio tenta un rimbalzino e dai 65 dollari al barile visti in mattinata si risolleva sui 68 dollari, ma resta ben distante dai 94 dollari attorno ai quali oscillava dodici mesi or sono e ancor più dai 106 dollari toccati nella seconda metà dello scorso giugno. Da allora ad oggi, nonostante le tensioni persistenti in Ucraina, Siria e Libia il greggio ha ceduto il 36% circa e per Mosca sono dolori visto che mediamente i giacimenti russi sono profittevoli con prezzi superiori ai 102 dollari al barile. Se poi si aggiunge l’effetto recessivo indotto dalle sanzioni occidentali adottate a partire dallo scorso marzo e che hanno già visto tre “round” con la concreta possibilità che Stati Uniti ed Unione Europea adottino nei mesi prossimi un ulteriore “giro di vite” con l’introduzione di altri limiti all’accesso al mercato dei capitali per le banche e le aziende russe, si capisce perché Mosca, in verità già dalla fine della scorsa estate, abbia cercato di tamponare la crisi ricorrendo ad una sorta di “autarchia” forzata.

Il Cremlino, dopo aver formalizzare un primo divieto temporaneo di importazione di alcuni beni agricoli e alimentari quali carne, pesce, prodotti caseari, frutta e verdura, provenienti da Ue ed Usa che nel 2013, secondo dati Sace , avevano generato un fatturato complessivo di circa 4,5 miliardi di euro per le aziende europee, di cui 170 milioni per le sole aziende italiane ( a fronte di esportazioni di prodotti agroalimentari italiani stimate invece da Coldiretti pari a 706 milioni di euro: una maggior chiarezza su fonti e metodi di calcolo di tali cifre non guasterebbe) starebbe ora puntando, secondo le ultime notizie d’agenzia, a sostituire i prodotti importati con produzioni nazionali. Ma all’orizzonte ci sono non pochi problemi per un sempre più isolato a livello internazionale Vladimir Putin. La Cina, ad esempio, che già di suo deve confrontarsi con un rallentamento della crescita economica che mese dopo mese risulta sempre più evidente, si sarebbe messa alla finestra e dopo l’accordo di cooperazione e sviluppo siglato con la Russia lo scorso maggio da teorici 400 miliardi di dollari per la fornitura di gas russo a Pechino ha bloccato il pagamento anticipato di 25 miliardi di dollari finora previsto per avviare la costruzione del gasdotto Power of Siberia.

Da parte italiana, l’Eni sembra tentato ogni giorno di più di sfilarsi dal progetto South Stream (di cui è socio al 20%) che dovrebbe portare il gas russo in Europa senza passare per il territorio ucraino ma che soffre di pesanti ritardi rispetto alla prevista tabella di marcia e che rischia di rimanere bloccato dai limiti all’accesso di Gazprom e delle banche russe ai fondi europei (il costo complessivo del progetto è già lievitato da 22,3 a 23,5 miliardi di dollari, di cui 9,5 miliardi per le sole infrastrutture sul suolo europeo). Anche perché l’alternativa a South Stream esiste da tempo ed è rappresentata dal Tap (Trans adriatic pipeline), gasdotto che potrebbe portare in Italia 10 miliardi di metri cubi di gas dai giacimenti azeri nel cui azionariato Eni (o la controllata Snam) potrebbe entrare accanto agli attuali soci (la svizzera Axpo col 42,5%, la norvegese Statoil con una quota analoga e la tedesca E.On col restante 15%) che pare suscitare un crescente interesse anche da parte della francese Total e dell’inglese Bp.

Per cercare di prendere un po’ d’ossigeno Mosca se da una parte gonfia il petto annunciando piani a favore del “made in Russia” dall’altra ha deciso di ricorrere ai mercati finanziari per collocare un ulteriore 19,5% di Rosneft, colosso del petrolio e del gas russo affidato alla guida di Igor Sechin, ex agente Kgb molto vicino a Putin (del quale è stato vice primo ministro), descritto come il capo della “fazione Siloviki” (che riunisce appunto ex appartenenti ai servizi segreti sovietici). Ora nel capitale di Rosneft il Cremlino è pronto a scendere sino al 50,1%. Nel frattempo la Russia, come ricorda sempre la Sace, “sta sperimentando un calo dei consumi privati e degli investimenti pubblici e privati, con conseguenti riflessi negativi sulle importazioni di beni sia di consumo sia di investimento” (che rappresentano, rispettivamente, il 35% e il 40% delle esportazioni italiane in Russia). Così più che parlare di un “rilancio del made in Russia” sarebbe forse opportuno dire che Putin prova a fare di necessità virtù, con una grande incognita che resta sullo sfondo, ossia la ancora troppo elevata dipendenza europea dalle importazioni di gas russo (che copra il 66% del fabbisogno energetico del vecchio continente), che a differenza del petrolio è particolarmente a buon mercato.

Non che l’Europa sia rimasta a guardare in questi anni, anzi con una normativa europea già nel 2010 agli stati membri è stato chiesto di varare iniziative per ridurre la propria dipendenza dal principale fornitore. Ma solo 16 dei 28 paesi membri della Ue hanno già adottato le misure richieste, anche perché adeguare le infrastrutture per ridurre la dipendenza dalla Russia dovrebbe costare attorno a 170 miliardi di euro e, allo stato, implicherebbe maggiori costi annuali per 30 miliardi. Per l’Italia in particolare il rischio è concreto visto che tuttora dal gas si produce circa la metà dell’energia elettrica prodotta nell’ex bel paese (ed in particolare al gas è ricollegabile il 35% dei consumi privati) e che il 90% del fabbisogno totale di gas è soddisfatto tramite le importazioni, per un terzo circa da Mosca. Tirando le somme secondo Sace già oggi le sanzioni contro la Russia potranno causare all’Italia una potenziale perdita tra gli 1,8 e i 3 miliardi di euro nell’arco del biennio 2014-2015, col settore della meccanica strumentale che rischierebbe in particolare di perdere circa 650 milioni di euro di vendite in Russia nell’arco del biennio (ma la cifra potrebbe lievitare a 1,1 miliardi in caso di ulteriore inasprimento delle sanzioni).

L’impatto per l’economia italiana della forzata autarchia russa non si limitano tuttavia solo alle minori esportazioni. Tra il 2005 e il 2011 le aziende russe hanno infatti quadruplicando la propria presenza in Italia anche attraverso 37 operazioni di fusione e acquisizione di aziende e marchi italiani (dagli spumanti di Gancia alle acciaierie Lucchini), per un controvalore complessivo di 2 miliardi di dollari. Sono inoltre crescite considerevolmente le presenze turistiche russe, cresciute tra il 2008 e il 2012 del 66%, con arrivi che ormai rappresentano il 3,5% del totale degli arrivi dall’estero, per una spesa complessiva di 1,3 miliardi solo lo scorso anno. Per tirare le somme sia pure grossolanamente, l’Italia “rischia” di rimetterci una cifra tra i 2 e i 3 miliardi di euro l’anno se la situazione tra Mosca e l’Occidente non si appianerà.

Alla fine la sensazinoe netta è che a rischiare di finire al tappeto più che Roma sia Mosca, visto che la Russia perde uno 0,8% del proprio Prodotto interno lordo per ogni 10 dollari di ribasso delle quotazioni petrolifere, vede il rublo alle corde e fatica a non riesce a porre freno alla fuga dei capitali. Secondo stime dello stesso ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, con un prezzo del greggio sotto i 70 dollari al barile il paese perde attorno ai 100 miliardi di dollari l’anno, ossia dalle trentatré alla cinquanta volte più di quanto non perda l’Italia in questo “braccio di ferro”. Chi credete che si sfiancherà prima?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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