Se già non ve lo ricordate più, ve lo ricordiamo noi. Era agosto, tre mesi fa, e le aspettative ambientaliste nei confronti del nuovo governo Pd-Cinque Stelle erano enormi. Il governo del cambiamento climatico, l’aveva ribattezzato qualcuno, e non sembrava una definizione campata per aria. Del resto, il Movimento Cinque Stelle aveva in nuce, soprattutto alla nascita, una forte coscienza ecologista. Così come del resto era stato proprio Nicola Zingaretti a dedicare a Greta Thunberg la sua elezione a segretario del Partito Democratico, riaffermando una vocazione verde del Pd che era stata tumulata da Renzi e dal referendum sulle trivellazioni. Persino il contesto – agosto era stato il mese degli incendi in Russia e in Amazzonia – sembrava favorire la nascita di un governo a forte trazione ambientalista, fosse anche solo per motivi di opportunità o di marketing politico.
Sono passati pochi mesi, e un minimo di beneficio del dubbio ce lo dobbiamo tenere. Però, per ora, di rivoluzioni verdi non c’è nemmeno l’ombra. Qualche chiacchiera su un fantomatico green new deal e sugli investimenti verdi, qualche scaricabarile sull’Europa, qualche tassa e qualche incentivo in più in manovra, certo. Ma chi si aspettava un cambiamento radicale può tranquillamente prendere un aereo e andare in Germania, dove Angela Merkel ha presentato un piano verde da 100 miliardi in tre anni. Soldi veri, con obiettivi chiari e cambiamenti tangibili. Da noi, per ora, tutta fuffa.
Nessuna emergenza climatica
Primo. Non c’è una chiara assunzione del problema. Più nel concreto, l’Italia non ha dichiarato stato di emergenza climatica come hanno fatto invece in Europa Paesi come Irlanda, Spagna e Francia. Può sembrare un orpello inutile, ma se riconosci il problema, se assumi sia un’emergenza, una priorità, sei “costretto” a essere conseguente e ad adottare tutte le misure possibile per ridurre le emissioni di biossido di carbonio. L’ha fatto Pedro Sanchez, l’ha fatto Emmanuel Macron, non l’ha fatto l’auto-definitosi governo più ambientalista della storia d’Italia. Già questo è un segnale.
Nessuna strategia per ridurre le emissioni
Secondo, per l’appunto. Non c’è emergenza, e non c’è nemmeno un obiettivo. O meglio: c’è, ma non si vede. L’Italia, insieme ad altri 66 Paesi, si è impegnata a diventare a emissioni zero entro il 2050, nel corso dell’ultimo Climate Summit mondiale di New York. Bene, bravi, bis, ma alzi la mano chi nel decreto clima vede una strategia volta a raggiungere questo obiettivo. Lo diciamo perché nella prima metà del 2019, nonostante l’Italia sia in pieno rallentamento industriale, e i consumi energetici siano calati, le emissioni di CO2 sono in crescita, l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili in diminuzione del 2,5%, ma il decreto clima parla di incentivo all’acquisto di nuove automobili a benzina euro 2 o euro 3, di diffusione dei valori ambientalisti nelle scuole e di incentivi ai negozianti che vendono prodotti sfusi. Da qui al 2050 ci sono 30 leggi di bilancio: una l’abbiamo buttata via.
Nessun piano di investimento
Terzo. Non pare esserci un piano. Fateci caso: si parla da mesi ormai di green new deal e di questi 50 fantomatici miliardi di investimenti verdi – soldi già stanziati per altre opere e rimasti fermi, cui il governo vorrebbe cambiare destinazione – ma non c’è ancora stata un’anima che si sia presa la briga di dirci cosa siano: c’è chi parla di riconversione energetica, chi di fondi contro il dissesto idrogeologico, chi di nuove infrastrutture ferroviarie, chi di piste ciclabili, ma non c’è né un elenco di opere, né un crono-programma, né anche solo una definizione delle priorità. Per dire: se metti in sicurezza le comunità e i territori dai terremoti e dalle inondazioni stai facendo un’opera meritoria e a suo modo di conservazione dell’eco-sistema, ma non stai contribuendo per nulla a cambiare il clima. Senza priorità, perdonateci, è la solita minestra.
Nessun fisco verde
Quarto. Non c’è nessuna rivoluzione fiscale verde all’orizzonte. Il taglio degli incentivi ambientalmente dannosi, diciamolo chiaramente, è banalmente un modo per fare cassa per evitare di aumentare l’Iva, e scommettiamo quello che volete che al primo accenno di protesta arriverà la marcia indietro, che questa debolissima maggioranza tutto vuole tranne avere a che fare coi gilet gialli. Così come la proposta di negoziare in Europa l’esclusioni degli “investimenti verdi” – aridaje – dal patto di stabilità è un espediente, nemmeno troppo mascherato, per poter fare più deficit e più debito sulle spalle delle generazioni future: viva il futuro del pianeta, ma nessuno tocchi reddito di cittadinanza, 80 euro e Quota 100. A proposito di priorità.