Altro che necessità di “tagliare la spesa” pubblica, indiscriminatamente: mentre dell’azione del commissario straordinario alla spending review, l’ex direttore del Dipartimento Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale Carlo Cottarelli, ancora non si vedono tracce, pur se l’interessato (in solido col ministro dell’Economia e finanze uscente, Fabrizio Saccomanni) continua a ripetere che l’obiettivo resta quello “ridurre le spese pubbliche del 2% del pil entro il 2016” anche se bisognerà “fare presto”, perché occorre scrivere “entro la prima parte del 2014 le riforme necessarie per effettuare i tagli nel 2015 e nel 2016, per poi arrivare all’obiettivo di ridurre di 32 miliardi la spesa nel 2016”, dall’Osservatorio sul cambiamento della pubblica amministrazione (Ocap) della Sda Bocconi arriva un dato clamoroso.
Il pubblico impiego italiano è già dimagrito (-5,5% in quattro anni) e costa sempre meno ai cittadini: tra il 2008 e il 2012, secondo gli esperti, il numero dei dipendenti pubblici è infatti diminuito a 3.238.474 unità (-5,5% appunto), mentre la spesa per i dipendenti pubblici è calata del 4,38% a 165,4 miliardi di euro (circa 2.717 euro pro capite), scivolando poco al di sotto della media europea (2.736 euro) e ben al di sotto di paesi dalle dimensioni e dallo sviluppo paragonabili all’Italia, come Francia (che registra una spesa di 4.080 euro pro capite) o il Regno Unito (3.260 euro). Non solo: anche il rapporto tra la spesa per i redditi da lavoro dei dipendenti pubblici e il totale della spesa pubblica corrente è calato leggermente al di sotto della media europea (24,8% contro 24,9%), riducendosi di quasi due punti nel periodo esaminato.
Ancora più significativo, secondo l’Osservatorio, è risultato il taglio del numero dei dirigenti pubblici tra il 2007 e il 2012: -19% nei ministeri, -13% nelle regioni a statuto ordinario, -31% nelle province, -20% nei comuni, a sfatare la “vox populi” secondo la quale la spesa pubblica in Italia resta fuori controllo a livello locale perché “amicizie” e tessere partitiche possono più di competenza e meriti nell’assunzione e nell’avanzamento di carriera in particolare dell’alta dirigenza. Altra nota positiva pare essere il tasso di femminilizzazione della pubblica amministrazione italiana, che resta ben al di sopra di quello del settore privato anche a livello dirigenziale.
Le dirigenti donne, tra il 2007 e il 2012, sono infatti passate dal 35,3% al 39,49% del totale nei comuni, dal 26,44% al 31,07% nelle province, dal 30,18% al 36,31% nelle regioni a statuto ordinario e dal 34,47% al 42,93% nei ministeri. Tra il 2008 e il 2012, nel settore privato, secondo dati Inps rielaborati da Manageritalia le dirigenti donne sono salite al 14,5% dal 12,% con un incremento del 16% avvenuto mentre il numero di dirigenti uomini calava del 5%, in parte probabilmente sfruttando il ricambio generazionale che la crisi non sembra aver bloccato nel settore privato. Le dirigenti italiane crescono dunque tanto nel pubblico quanto nel privato, ma nella pubblica amministrazione sembrano faticare meno per affermarsi.
Tutto bene, dunque? Non proprio, avvertono gli esperti della Sda Bocconi (che affronteranno il tema domani mattina presso l’Aula Magna dell’ateneo milanese in Via Roentgen 1, alle 10.30, in un incontro dedicato a “La p.a. che vogliamo”), dato che il settore continua ad aver bisogno di un piano straordinario, che ne migliori l’efficienza senza continuare a incidere indistintamente sul personale. “La terapia d’urto inaugurata nel 2010, e che si è concretizzata soprattutto in riduzione del turn-over e blocco della contrattazione”, spiega Giovanni Valotti, responsabile dell’Ocap, “ha avuto un effetto di dimagrimento, ma anche effetti collaterali come l’invecchiamento del personale, con quasi metà dei dipendenti over 50”.
Un tema, quello dell’invecchiamento del personale nel settore pubblico, che ha già suscitato un ampio dibattito perché rischia di rendere sempre meno efficiente e performanti alcuni settori strategici come quello dell’istruzione pubblica di base, piuttosto che della pubblica sicurezza, della sanità e della difesa. Insomma: modernizzare la pubblica amministrazione (e, aggiungo io, renderla maggiormente soggetta a controlli di merito) resta certamente una priorità assoluta per rilanciare lo sviluppo economico e sociale del paese, ma occorrerà fare attenzione a non gettare il bambino con l’acqua sporca, tanto più che ormai l'acqua è meno sporca di quanto non siamo abituati a pensare e sicuramente meno di quanto non sia in altri e più "virtuosi" paesi che ci continuano a chiedere misure "straordinarie" (tagli e nuove tasse tra cui rischia di materializzarsi, secondo voci insistenti, una patrimoniale straordinaria).