La cucina e i prodotti tipici italiani? Sono e dovrebbero sempre più spesso essere uno dei jolly per rilanciare, consapevolmente, un’economia che se non si saprà dare una “significativa” accelerata rischia di vedere il numero di posti di lavoro restare per altri vent’anni a livelli inferiori a quelli ante crisi (la diagnosi è del Fondo monetario internazionale). Certo, l’importante è sapere cosa e come proporlo, perché spennare vivi turisti in visita nel “bel paese” propinando loro imbarazzanti piatti “internazionali”, qualche insalata, frutta, acqua, birra, caffè freddo e l’irrinunciabile (per troppi turisti) cappuccino in cambio di oltre 200 euro, come sarebbe avvenuto ad una famiglia americana che ha avuto l’infelice idea di andare a pranzo in un ristorante turistico (appunto!) nei pressi della Città del Vaticano, è cosa che fa male all’immagine dell’Italia tutta e non fa onore alla sua tradizione gastronomica e di ospitalità.
Tradizione che, sembra strano a dirsi ma è la conferma di quanto lo stile italiano in cucina piaccia eccome all’estero, sta prendendo sempre più piede in una capitale cosmopolita come Londra. Non solo l’ex “pupilla” di Gordon Ramsey, Angela Hartnett, sta mietendo successi con i suoi ristoranti Cafe Murano, ora anche le solitamente fredde agenzie finanziarie internazionali come Bloomberg accendono i riflettori sulla ristorazione tricolore nella capitale inglese, segnalando le migliori pizzerie italiane. E, si badi bene, affidando il ruolo di recensore non ad un suo redattore ma ad uno chef tricolore eccellente come Francesco Mazzei, calabrese di nascita, per sette anni ai fornelli de L’Anima, ristorante frequentato da giovani e meno giovani banchieri d’affari delle City, dal prossimo autunno alla guida di Sartoria (ristorante italiano che appartiene al D&D Group, attualmente in fase di ristrutturazione e che fa fede al nome essendo situato nel West End a Savile Row, un tempo famosa per i suoi sarti).
In attesa di rimettersi ai fornelli Mazzei ha provato le tre più famose pizzerie italiane di Londra premettendo: “per me la pizza deve essere napoletana. La pizza romana non è vera pizza”. Applausi a scena aperta da parte del vostro analista finanziario, per troppi anni divoratore di pizze in quel di Alessandria, in Piemonte (c’è di peggio nella vita, sicuramente) e poi rimasto travolto da autentico colpo di fulmine una volta trasferitosi a Napoli 16 anni or sono. Mazzei fa anche una seconda premessa, da sottoscrivere non una ma venti volte: “A volte le persone risparmiano sul formaggio, ma è un grosso errore. Deve essere mozzarella” (fiordilatte o, se preferite, bufala campana Dop, posso garantirvi sul mio onore di analista e gourmet). Altrimenti è un’altra cosa, una focaccia magari (a Recco, in Liguria, ne fanno una strepitosa a base di stracchino, sarebbe interessante provare a vedere se anche questa ricetta potesse fare fortuna all’estero: le premesse ci sono tutte).
Mazzei non è la prima volta che prova a misurare la bravura dei pizzaioli italiani che lavorano a Londra: nel 2008 aveva giudicato che il migliore di tutti fosse Franco Manca (proprietario delle pizzerie Sourdough Pizza, giunte ormai a 14 locali in tutta Londra). In questo caso Mazzei ha voluto provare a testare NY Fold, dove il sei volte campione mondiale dei pizzaioli, Bruno DiFabio, vi servirà una tipica pizza di New York. Ed è stato un errore, come ha ammesso lo chef sottolineando come dovremmo smettere di parlare “di pizza di New York, di pizza di Bombay” di pizza di questo o quel paese. “La pizza è italiana e non dovremmo mai dimenticarlo”, tutto il resto (anche in Italia) è “altro”. Forse se l’Italia imparasse a difendere meglio il suo “made in Italy” anche in campo gastronomico le cose potrebbero andare meglio. Quel che va detto è che DiFabio fa comunque una buona pizza, “dieci volte meglio che un kebab” secondo Mazzei, che però alla fine dà solo 5 voti su 10 a NY Fold perché per quanto ben fatta la sua “pizza di New York” è troppo “di New York” per essere autenticamente italiana.
Molto meglio è andata a Pizza Pilgrims, a Soho, dove la pizza “appare autentica, è fantastica, è napoletana ed è leggera”, col suo ottimo mixi di passata di pomodoro, mozzarella e basilico dal gusto pieno e saporito, la sua crosta soffice e “a bolle”, il gusto ottimo. Otto voti su dieci dicono quanto Mazzei abbia apprezzato la margherita mangiata da Pizza Pilgrims. Ultima tappa a Covent Garden, per assaggiare le proposte di Homeslice, la pizzeria di Mark Wogan. In una località fin troppo affollata di ristoranti “per turisti” che rischiano di farvi fare la fine della sventurata famiglia di americani in visita a Roma, Mazzei ha assaggiato una pizza più che buona (anche in questo caso otto voti su dieci è il giudizio finale), che dimostra come “la qualità sia molto migliorata negli ultimi otto anni” e che se i ristoratori inglesi proseguiranno come fatto finora, “sono sicuro che (la pizza) sarà buona come in Italia tra altri cinque dieci anni” al massimo.
Ora, non so a voi, ma a me questo test su strada delle pizzerie italiane a Londra fa venire in mente due considerazioni: la prima è che lo stile italiano vince anche in cucina e che dovremmo imparare a tutelarlo meglio perché, come detto e come ribadisco, può essere una delle leve da utilizzare per rilanciare un’intera filiera economica, dal produttore al distributore finale. L’altra è che se gli imprenditori (in questo caso ristoratori e pizzaioli) italiani non avranno la forza economica o la capacità organizzativa e imprenditoriale di riuscire a sfruttare al meglio i loro assi, prima o poi qualche concorrente straniero, ai vari livelli di mercato (dallo chef stellato alle catene di pizzeria industriali) riusciranno a farlo meglio di loro. E l’Italia rischierà di perdere l’ennesimo treno per una sua fin troppo rinviata ripresa in casa e sui mercati internazionali. In Italia non siamo solo pizza e mandolino, certamente, ma almeno le pizze e i mandolini cerchiamo di realizzarli e proporli meglio che chiunque altro in tutto il mondo.