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La pausa-caffè costerà di più per colpa dell’Iva: rincari sui distributori

Da gennaio l’aliquota passerà dal 4% al 10%. Lo ha deciso il governo con l’obiettivo di finanziare l’Econobonus. “E così che si aggrava la crisi. Non solo dei consumi ma anche occupazionale. Ora sono a rischio centinaia di posti di lavoro”, ha affermato il presidente dell’Associazione italiana Distribuzione Automatica.
A cura di Biagio Chiariello
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Dal 1 gennaio 2014 la pausa-caffè diventa più "amara". Colpa dell'Iva sui prodotti venduti nei distributori automatici che passerà dal 4 al 10%, per finanziarla il Governo ha deciso di far aumentare l'aliquota dal 4 al 10%. "E così che si aggrava la crisi. Non solo dei consumi ma anche occupazionale. Con l'inasprimento dell'imposta sono a rischio centinaia di posti di lavoro", ha affermato il presidente dell'Associazione italiana Distribuzione Automatica, Lucio Pinetti. L'incremento dell'imposta sui prodotti venduti attraverso le macchinette porterà ad un aumento di 5 centesimi sul caffé e le bevande calde, e di 10 centesimi sulle bevande fredde e gli snack, anticipa Confida, aderente a Confcommercio. Per questo motivo dal 9 settembre partirà una campagna dell'associazione per informare i consumatori attraverso un milione di adesivi che verranno attaccati su tutti i distributori automatici d'Italia.

 Il messaggio è chiaro: l'aumento dell'Iva non è una nostra decisione ma un'imposizione del Governo che, attraverso il decreto legge 63 del 4/6/2013 stabilisce l'inasprimento della stessa sulle somministrazioni di alimenti e bevande attraverso i distributori automatici" continua Pinetti.

"Sorprende come lo Stato abbia voluto colpire 20 milioni di consumatori che, in particolare in questi anni di crisi, grazie al favorevole rapporto qualità-prezzo al distributore automatico, hanno finora trovato una valida soluzione di acquisto", dice ancora il presidente di Confida . "Ma per adeguare i distributori automatici installati nei luoghi pubblici – circa un milione di ‘macchinette' – il settore del vending (30 mila addetti e più di mille imprese) dovrà spendere tra i 30 e i 50 milioni di euro. Per sostituire i prezzi occorreranno dai 4 ai 5 mesi, difficile dunque essere pronti per il 1 gennaio". Infine, in caso di flessione dei consumi, "saremmo costretti a rinunciare alla prestazione di centinaia di dipendenti", conclude Pinetti.

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