Il 25 aprile è per l’Italia il momento di celebrare la Festa della Liberazione dall’occupazione nazifascista, ma per i mercati finanziari (italiani compresi) è pur sempre un giorno di lavoro e come tale ricco di dati ed annunci. A colpire l’attenzione degli investitori oggi sono in particolare i dati delle banche spagnole, a partire dalla trimestrale del Banco di Santander, la cui lettura può offrire qualche utile indicazione per capire a che punto siamo della crisi del credito iberico, per molti versi simile (anche se non identica) a quella italiana. Il Banco Santander ha chiuso i primi tre mesi dell’anno con un utile netto di 1,205 miliardi di euro, in calo del 26% su base annua, deludendo le attese di consensus degli analisti (1,31 miliardi), a fronte di ricavi per 10,29 miliardi (-9%) e di un margine d’interesse calato del 14% a 6,65 miliardi.
Immediata e negativa le reazione del titolo che sul listino di Madrid cede oltre il 3,6% scivolando sotto i 3,42 euro per azione a metà giornata. Sui risultati, ha spiegato la banca in una nota, ha pesato la decelerazione delle economie chiave su cui opera l’istituto (a partire dalla Spagna, che sempre stamane ha fatto sapere di aver chiuso il primo trimestre con una disoccupazione salita al 27,2%, anche in questo caso peggio delle attese che parlavano di un 26,5%, pari a 6.202.700 disoccupati, 237.400 in più rispetto a fine 2012) oltre ai più bassi tassi d’interesse e alla decisione del gruppo di mantenere livelli elevati di liquidità pur rimborsando anticipatamente i 31 miliardi di euro ottenuti tramite la Ltro della Bce, così da mostrarsi “virtuosa” aglio occhi dei mercati ed evitare ogni “stigma” che potrebbe pesare sul costo della raccolta. Nel trimestre la banca ha effettuato 2,919 miliardi di accantonamenti (in calo del 6% rispetto al primo trimestre 2012, segnando così il minimo degli ultimi cinque trimestri) che hanno portato al 71% il livello di copertura dei crediti “non performing” (nel frattempo saliti al 4,76% dei crediti totali), circa 10 punti più di un anno fa.
Il “credit crunch” ha consentito di riequilibrare ulteriormente il rapporto impieghi/depositi: ora gli impieghi esistenti sono pari a 723,814 miliardi (-3%), ovvero al 109% del totale di depositi e carta commerciale detenuta dal gruppo (663,381 miliardi in tutto, di cui 653,228 miliardi di depositi, saliti del 13% rispetto a un anno prima, con un afflusso netto di 10,2 miliardi nel solo trimestre), contro il picco del 150% toccato nel dicembre 2008. In più la banca spagnola ha tagliato del 47% rispetto a un anno prima l’esposizione netta al settore immobiliare a 11,935 miliardi (vendendo 4.500 proprietà nel corso del trimestre e facendo salire il grado di copertura al 51% per i prestiti e al 53% per le proprietà acquisite) prevede che il suo Core Capital, salito a fine marzo al 10,7% secondo Basilea II (+0,34% rispetti a fine dicembre) raggiungerà il 12% (calcolato secondo Basilea III) alla fine dell’esercizio in corso e che gli utili 2013 saranno, come ha ribadito il presidente Emilio Botin, “significativamente superiori ai 2,295 miliardi del 2012”.
Solo qualche giorno fa era stato il Ceo Alfredo Saenz a dichiararsi fiducioso che un “nuovo ciclo” di redditività stesse avviandosi e potesse portare ad almeno tre anni di “forte crescita degli utili” per la banca, una volta completata la pulizia del portafoglio immobiliare, ossia sostanzialmente scaricando gli asset più a rischio al Frob, il Fondo per l’ordinata ristrutturazione del sistema bancario, finanziato da 39,5 miliardi di aiuti europei, che però per molti rischiano di non bastare visto che nel complesso l’esposizione delle banche al settore immobiliare era pari a 350 miliardi ancora un anno fa e che l’economia spagnola è al sesto anno di crisi ed a gennaio aveva visto i crediti bancari in sofferenza salire a 171 miliardi di euro (il 10,8% degli impieghi complessivi).
Così si rischia di vedere, in Spagna e sospetto anche in altri mercati europei, molti istituti apparentemente “in ripresa”, con utili in crescita più o meno robusta, dovuta in realtà in gran parte al taglio dei costi conseguente anche al “dimagrimento” dei bilanci connaturato al “credit crunch” e alla ripresa di valore dei titoli di stato di cui son piene le casse delle banche, che però resteranno ancora sottoposte per molti anni ad una spada di Damocle molto pesante e pericolosa che l’ulteriore proseguo della crisi economica potrebbe prima o poi far precipitare con esiti disastrosi. Ecco perché i mercati restano prudenti e gli investitori non gioiscono per i pur pingui utili.
Ancora una volta senza ripresa la crisi non può che risolversi su tempi medio-lunghi sperando che non capiti alcun imprevisto (come banalmente un rallentamento della crescita mondiale o un accenno di inflazione che renda più nervosi i mercati) e che in qualche modo gli Spagnoli (piuttosto che gli Italiani o i Greci o i Portoghesi, ma anche i cittadini di stati “virtuosi” come Francia, Olanda o Germania) accettino un “recupero di competitività” fatto a colpi di minori servizi, minori salari, minor reddito disponibile, minori consumi. A me resta un dubbio: se non è possibile trovare una soluzione che consenta a milioni di persone di tornare a lavorare, guadagnare un reddito dignitoso e tornare ad avere prospettive per sé e i propri figli, a che servono economisti, politici ed “esperti” in genere?