Germania, terra di grandi opportunità specialmente se siete anziani. Vista dall’Italia la Germania non può che apparire una terra promessa, dato che col 5,1% di disoccupazione stacca nettamente non solo l’Italia (dove i disoccupati sono ufficialmente pari al 12,7% della popolazione attiva) ma anche la media di Eurolandia (11,8% di disoccupati) e dell’Unione europea nel suo complesso (10,5%). La differenza a dir la verità è ancora più marcata se si guarda al tasso di disoccupazione giovanile: mentre in Italia quasi la metà dei giovani (il 42,7%) resta “a spasso” o deve accettare lavoretti saltuari, in nero o comunque per nulla attinenti al proprio profilo professionale e alle proprie ambizioni, in Germania non lavora solo il 7,8% dei giovani con meno di 25 anni d’età.
Eppure le aziende tedesche non sembrano propense a fare investimenti rilevanti a favore dei dipendenti più giovani o non si spiegherebbe perché il colosso automobilistico tedesco Daimler stia da mesi richiamando al lavoro un numero crescente di propri pensionati, avendo accertato la mancanza di know-how in alcun campi specifici come l’informatica o il lancio di nuovi modelli su mercati esteri. Già lo scorso anno, secondo quanto confermato da Wilfried Porth, capo del personale del gruppo che a fine 2013 dava lavoro a 274.616 persone (contro i 226 mila di Fiat-Chrysler), erano stati richiamati a lavoro 100 pensionati e creato un “pool di esperti senior” al quale i pensionati possono registrarsi, elencando le proprie competenze ed esperienze specifiche. Un pool che ad oggi vede già iscritti 390 pensionati del gruppo come ha raccontato lo stesso Porth alla rivista tedesca Automobile Produktion.
Ma perché Daimler ricorre a pensionati, sia pure “esperti”? Perché si è accorta che in alcuni casi era a rischio la trasmissione di quelle conoscenze e know-how specifici da una generazione di lavoratori all’altra che può fare la differenza in termini di qualità e produttività. Ad esempio nel passaggio dal vecchio al un nuovo sistema informatico, visto che “non avevamo in pratica più nessuno che capisse il vecchio linguaggio informatico”, oppure per una serie di lanci di nuovi modelli: “ Non avevamo in tutte le controllate persone che avessero già organizzato molti lanci”, ha ammesso Porth. In altri casi serviva personale esperto per missioni in nuovi mercati come la Cina.
A pensare male si potrebbe credere che a Daimler il (fallito) matrimonio con Chrysler, nato nel 1998 e terminato nel 2007 (con la cessione di Chrysler al fondo Cerberus Capital Management che solo un anno dopo alzò bandiera bianca portando la Casa Bianca a cercare un nuovo “cavaliere bianco” per il produttore Usa, trovato nel 2009 in Fiat Auto) abbia fatto trascurare gli investimenti per quel che riguarda il proprio personale, con la conseguenza di creare un “gap generazionale” che ora si tenta di coprire, ove necessario, richiamando in servizio un manipolo di consulenti dai capelli bianchi. Dobbiamo sperare che Sergio Marchionne non faccia lo stesso errore strategico, insomma.
Ma Daimler non è l’unica azienda tedesca che in questi anni ha fatto affidamento sull’esperienza dei propri pensionati riportandoli al lavoro per alcune specifiche missioni: anche Bosch ha avviato, fin dal 1999, una propria società di esperti ad alto livello, la Bosch Management Support (Bms), nelle cui liste di “ri-reclutamento” si sono nel frattempo iscritti 1.600 ex dipendenti in tutto il mondo pronti a rientrare in servizio, per un periodo limitato, pagati in base al loro ultimo stipendio. Il che, visto che anche in Germania (come in Italia) i compensi aumentano nel corso degli anni significa una spesa relativamente costosa nella maggioranza dei casi.
Ma perché non investire maggiormente sui giovani anziché richiamare gli anziani in servizio attivo? Secondo il numero uno di Bms, Georg Hanen (lui stesso già in pensione, a 61 anni dato che in Bosh il pensionamento scatta al compimento del sessantesimo anno di vita), il più grande vantaggio è che gli esperti “seniores” conoscono il gruppo dentro e fuori, sono pronti all’uso sin dal primo giorno di impiego e dunque la curva di apprendimento è quasi del tutto eliminata, il che in alcuni ambiti come le vendite può essere un vantaggio soprattutto in tempi di crisi di domanda, quando concludere un affare in più può fare la differenza tra restare sul mercato o fallire.
Non tutti sono però convinti, neppure in Germania, della validità di questa soluzione: sono critici, ad esempio, i sindacati di IG Metall, secondo cui sarebbe meglio trasferire le competenze prima che il personale venga messo in pensione. “Dovrebbe essere nell’interesse della società effettuare una pianificazione strategica della forza lavoro” ha spiegato un portavoce del maggiore sindacato metalmeccanico europeo. Concordo pienamente e non solo per la Germania, altrimenti non solo i nostri giovani continueranno a restare a spasso, ma avremo servizi pubblici sempre più scadenti e aziende sempre più a rischio. Peccato che su questi temi nessuno dei nostri politici si decida a spendere una parola, per non dire proporre una soluzione che non passi per l’istituzionalizzazione del precariato. Quo usque tandem?