Sarà una coincidenza, ma metterli in fila fa impressione: Magnoni, Bazoli, Cimbri, Berneschi, non sono cognomi di figure di seconda fila della finanza italiana bensì uomini che da anni (in alcuni casi, come per Giovanni Bazoli e Giovanni Berneschi, da decenni) sono abituati a gestire il potere vero, quello economico, e ad interpretare magistralmente il ruolo di intermediari in un capitalismo come quello italiano dove le relazioni e la capacità di ottenere credito ha sempre fatto e tuttora fa la differenza molto più della qualità dei singoli imprenditori, manager o progetti. Uomini “illustri” che raramente appaiono nelle cronache, tanto meno quelle giudiziarie. I fratelli Aldo, Ruggiero e Giorgio Magnoni, finiti ai domiciliari (assieme al figlio di Giorgio, Luca) con l’accusa di aver “depauperato” Sopaf e di esseri macchiati di reati che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, alla truffa, dall’appropriazione indebita alla frode fiscale, hanno già messo le mani avanti: si è trattato solo di investimenti andati a male.
Tutte le inchieste sulle banche: da Ubi Banca a UnipolSai fino a Banca Carige
Pensare che proprio Ruggiero (ex vicepresidente di Lehman Brothers per l’Europa e poi di Nomura, con relazioni che spaziavano da Carlo De Benedetti a Silvio Berlusconi) e Giorgio (promotore del fondo Oak Fund con base alle Cayman) furono gli artefici della “madre di tutte le Opa”, quella che portò la Olivetti finita nell’orbita di Roberto Colaninno e Chicco Gnutti a prendere il controllo di Telecom Italia. Giovanni Bazoli, poi, è stato il “banchiere bianco” per eccellenza, in grado nel 1982 di prendere quel che rimaneva del Banco Ambrosiano, orfano (letteralmente) di Roberto Calvi e finito in liquidazione dopo un crack da 1.200 miliardi di vecchie lire, risanarlo cedendo importanti ma economicamente dispendiose partecipazioni come quella in Rcs (ceduta alla Gemina all’epoca ancora appartenente al gruppo Agnelli) e fonderlo nel 1990 con la Banca Cattolica del Veneto e da lì attraverso successive integrazioni e acquisizioni trasformarlo nell’attuale Intesa Sanpaolo, la principale banca italiana con 4.700 filiali e oltre 11,1 milioni di clienti.
Bazoli è finito coinvolto in un’inchiesta su Ubi Banca, di cui l’82enne banchiere è stato consigliere dal 2008 al 2012 (quando la norma emanata dal governo Monti contro i doppi incarichi lo ha portato a optare per conservare solo la poltrona di presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), con l’accusa di aver ostacolato le funzioni di vigilanza (mentre Giampiero Pesenti, “patron” di Italcementi e Italmobiliari e tuttora socio di Ubi Banca sia pure con un residuo 0,25%, è rimasto coinvolto in un altro filone della stessa inchiesta per una vicenda di compravendite anomale da parte della controllata Ubi Leasing). Neanche il tempo di far posare la polvere su queste due vicende che nel giro di poche ore oggi sono emerse altre due indagini che coinvolgono personaggi altrettanto di primo piano.
A Bologna la Guardia di Finanza ha effettuato una perquisizione nella sede di UnipolSai, nata dalla fusione in Fondiaria Assicurazioni di Unipol Assicurazioni, Premafin e Milano Assicurazioni, nell’ambito di un’inchiesta su presunti illeciti connessi proprio alla “fusione a quattro” che ha visto l’ex impero dei Ligresti venir incorporato nella compagnia assicurativa bolognese controllata da cooperative aderenti a Legacoop attraverso Finsoe (che controlla la maggioranza del capitale ordinario di Unipol Gruppo Finanziario, a sua volta azionista di controllo di UnipolSai) dando vita alla principale compagnia italiana operante nel rami Danni (in particolare l’Rc Auto, con oltre 10 milioni di clienti) e tra le principali compagnie operanti nel ramo Vita. Nell’ambito di questa operazione l’amministratore delegato di UnipolSai (e Unipol Gruppo Finanziario), Carlo Cimbri sarebbe indagato per l’ipotesi di aggiotaggio insieme ad altre tre top manager del gruppo, ipotesi legata alla (non) congruità del rapporto di concambio utilizzato al momento della fusione, che avrebbe alterato il prezzo dei titoli e il peso dei soci della “nuova” UnipolSai.
A Genova, sempre a seguito di un'operazione della Guardia di Finanza, è toccato invece a Giovanni Berneschi, da alcuni mesi ex presidente di Banca Carige (che ieri in borsa aveva già subito un tracollo del 17% dopo che si era saputo che Fondazione Carige aveva alleggerito di poco meno dell’11% la sua partecipazione nel capitale della banca, pari al 43,43% all’assemblea dello scorso 30 aprile, ad un prezzo di soli 40 centesimi, percentuale e prezzo che sono apparsi inferiori a quanto preannunciato all’apertura del collocamento, cosa che non fa ben sperare per l’aumento da 800 milioni che l’istituto ligure lancerà in giungno) finire ai domiciliari. Berneschi, tuttora vicepresidente dell’Abi in quanto vicepresidente nella Cassa di Risparmio di Carrara, controllata da Carige (il mandato associativo scadrà alla prossima assemblea del 10 luglio), è rimasto coinvolto in un’inchiesta relativa ad una presunta truffa ai danni dell’istituto ligure.
In sostanza la Procura di Genova sospetta che si sia verificata un’indebita appropriazione di fondi aziendali tramite distrazione di “ingenti somme di denaro” dalla cassa delle società assicurative controllate da Carige (e che nel frattempo l’istituto sta da mesi cercando di cedere per rafforzare il patrimonio) tramite una serie di acquisizioni di immobili e partecipazioni societarie a prezzi sopravvalutati, occultati da una serie di articolate operazioni commerciali e finanziarie effettuate al solo scopo di giustificare un esborso di denaro sproporzionato rispetto ai reali valori dei beni oggetto di compravendita. E qui la memoria inevitabilmente ritorna ad altri “furbetti del quartierino” che negli anni della bolla immobiliare italiana (esplosa per il succedersi della crisi dei mutui subprime del 2007, la crisi finanziaria mondiale del 2008-2009 e quella del debito sovrano europeo del 2010 e le politiche di austerità fiscale e stretta del credito che ne son seguite) avevano l’abitudine di comprare immobili a un prezzo, rivalutarli e cederli a prezzi fortemente maggiorati magari dopo pochi mesi con una serie di operazioni infragruppo.
Sarà un caso ma una cosa i protagonisti di queste vicende sembrano avere in comune: consolidati rapporti con Mediobanca. L'istituto meneghino ha infatti recitato in questi anni la parte di principale creditrice di FonSai e Unipol e poi regista della fusione che ha dato vita a UnipolSai, di advisor di Banca Carige nel processo di dismissione di alcuni portafogli immobiliari, di partecipazioni importanti e delle stesse attività assicurative del gruppo, di consocia e cofinanziatrice, con Intesa Sanpaolo, di Telco (azionista di controllo di Telecom Italia) e in Rcs Mediagroup, di controparte di numerose operazioni finanziarie dei fratelli Magnoni. Non si salti però alle conclusioni: Mediobanca è inevitabilmente da decenni al centro di tutti o quasi gli intrecci finanziari italiani, essendo la principale (e per molti anni unica) banca d’affari tricolore.
Proprio per questo però non è inverosimile che qualche Procura, prima o poi, osi violare anche l’ultimo “sancta sanctorum” del capitalismo italiano e varcare i cancelli di Piazzetta Cuccia per chiedere maggiori informazioni su una o più operazioni a cui l’istituto che fu a lungo guidato da Enrico Cuccia in questi anni ha partecipato. O persino provare a telefonare in Via Nazionale, ora che alla Banca d’Italia fa capo sia la vigilanza sul sistema bancario sia quello assicurativo (attraverso l’Ivass). Sarà solo un venticello di primavera o i segnali di un cambio di stagione in corso, in tutti i sensi?