Ogni storia può essere raccontata da più punti di vista ed anche la giornata odierna dei mercati finanziari, apertasi con speranze di un rimbalzo e terminata in un mezzo bagno di sangue, con timori che domani (giornata in cui il Tesoro italiano ha confermato l’asta da 5 miliardi di euro di Bot a 12 mesi, contro i 6 in scadenza, mentre non saranno offerti Bot a 3 mesi) possa esserci un altro pesante bis, in una settimana che prometteva fin dall'inizio fuochi d'artificio, non sfugge alla regola.
Il primo modo di raccontare la giornata è ricordare come a far cambiare idea agli investitori che speravano in un rimbalzo tecnico dei mercati sia stata una nota con cui LCH Clearnet, società britannica seconda per importanza al mondo che gestisce la stanza di compensazione per le transazioni internazionali di titoli obbligazionari e pronti contro termine, ha deciso di alzare i margini richiesti sui Btp italiani di un ammontare variabile dal 3% al 5,5% a seconda della durata degli stessi e che per i Btp decennali significa passare dal 6,65% (a cui era stato rialzato il margine lo scorso 7 ottobre) all’11,65%.
In sostanza preso atto dell’incremento del rischio (spread Btp-Bund oltre i 450 punti da cinque giorni), LCH Clearnet, che si occupa di compensare gli ordini in acquisto e quelli in vendita, ha pensato bene di aumentare le garanzie richieste a coloro che utilizzano i suoi servizi, cosa che rende ancora meno attraente per un investitore scommettere sui titoli di stato italiani. La reazione immediata dei mercati è stata un crollo delle quotazioni dei Btp e un conseguente balzo dei rendimenti, arrivati sul decennale guida al 7,25% a fine giornata dopo aver toccato anche il 7,48%. Siccome nelle stesse ore la liquidità che usciva dai Btp italiani si indirizzava, tra i possibili “parcheggi sicuri” anche sui Bund tedeschi i prezzi (e i rendimenti) di questi non si sono quasi mossi e così lo spread (ossia la differenza in termini di rendimenti) tra i titoli italiani e tedeschi è cresciuta ulteriormente, fino al 5,53% (ma in giornata si erano toccati anche i 575 punti base, ossia il 5,75%).
Un altro modo per descrivere la giornata odierna è sottolineare come a questi livelli, con un’inflazione al 3% che potrebbe calare nei mesi a venire, investire a questi tassi potrebbe essere un’occasione d’oro, peraltro non certo per motivi “patriottici” come vorrebbero far intendere alcuni organi di stampa italiani, che curiosamente hanno tra i propri azionisti banche o gruppi finanziari nazionali, in questo momento desiderosi al contrario di vendere i propri titoli per ridurre l’ammontare di asset “a rischio” (e così la necessità di nuovi aumenti di capitale come richiesti dalla Ue). Ma questo sarebbe vero solo a patto che il governo Berlusconi esca rapidamente di scena, lasciando spazio a un esecutivo tecnico o di “unità nazionale” in grado di varare le prime misure strettamente necessarie a rassicurare i mercati, oppure andando subito alle elezioni. Purtroppo se anche lo Spirito Santo discendesse sull’intera classe politica italiana e la manovra venisse varata a tempo record molti analisti tra cui quelli di Barclays Capital temono che non basterebbe ad allontanare lo spettro di una crisi greca sul cui percorso l’Italia pare da tempo incamminata (l’ipotesi elezioni poi non potrebbe verificarsi prima di febbraio: ve lo immaginate come reagirebbero i mercati a tre mesi di feroci polemiche elettorali in cui ciascuna parte accuserebbe l’altra della crisi e nessuno proporrebbe misure concrete, e impopolari, per risolverla?).
Così per raccontare come stanno i fatti occorrerebbe dire un altro paio di cosette: che si sapeva già da almeno un anno che i rischi che si correvano erano esattamente quelli di un default della Grecia e di un contagio allargato a Italia e Spagna, con l’Italia nelle vesti di un elefante in un negozio di cristalleria e che la colpa dell’ulteriore accelerazione della crisi sta anche nella decisione di utilizzare gli stress test “a sorpresa” di ottobre utilizzando i dati al 30 settembre comprensivi delle esposizioni in titoli di stato in portafoglio alle banche tra cui quelli usualmente valorizzati al costo storico (decisione che ha penalizzato immediatamente le banche italiane, piene zeppe di Btp improvvisamente classificati “a rischio”), mentre ancora una volta non si sono considerati i titoli strutturati (di cui secondo alcuni analisti sarebbero piene importanti banche francesi e qualche gruppo tedesco), che da sempre le banche valorizzano secondo il principio del “mark-to-fantasy” (ossia sostanzialmente a fantasia propria, non essendoci alcun riferimento di mercato). Tanto che verrebbe da dire che qualcuno a Berlino o a Parigi possa aver sperato di ricavare qualche vantaggio dalla debolezza di Roma.
Altro modo ancora di raccontare la giornata di oggi è osservare il crescente ruolo dei new media nell’innescare e far detonare le notizie: se l’altro ieri la “bomba” (le dimissioni di Silvio Berlusconi preannunciate da due giornalisti come Giuliano Ferrara e Franco Bechis) non era esplosa, oggi ci ha pensato Hugo Dixon, già responsabile della celebre “Lex Column” del Financial Times e poi fondatore di Breakingviews.com, a segnalare su Twitter una app che consente di tener sotto controllo le variabili fondamentali in gioco e capire come variando una di esse debbano variare le altre per rispettare gli impegni presi con la Ue e dalla quale si ricava come con tassi al 7,5% e una crescita nominale del Pil attorno allo 0,5% l’anno venturo (dato che per Fitch e Confindustria sarebbe fin ottimistico), un paese come l’Italia con un rapporto debito/Pil pari al 120% dovrebbe varare una manovra tale da portare ad un avanzo primario di bilancio vicino all’8,4% del Pil (la manovra approvata finora, da 60 miliardi, dovrebbe portare ad un avanzo primario del 3,7%). O, detta diversamente, per sperare che la manovra finora nota sia sufficiente occorrerebbe sperare che i tassi sui titoli di stato ridiscendano attorno al 3,6% massimo (mentre se la crescita del Pil l’anno venturo fosse pari all’1% si potrebbero sopportare anche tassi attorno al 4,1%, a riprova che tassi più elevati sono sopportabili solo in presenza di un rapporto debito/Pil meno pesante, o di una crescita più elevata o di un mix dei due fattori).
Oltre a Dixon su Twitter “cinguetta” anche Nouriel Roubini, economista della New York University noto per aver correttamente previsto la crisi 2008-2009, che ha accusato il premier italiano e il suo governo di “preferire veder bruciare Roma piuttosto che perdere il potere”. Per Roubini nessuno può salvare l’Italia e dunque l’esito ultimo della crisi potrebbe essere un “default” tecnico simile a quello di Atene, che vedrebbe una decurtazione dei rimborsi dei titoli di stato in mano ai grandi investitori (e un parziale reinvestimento delle posizioni in scadenza in nuove emissioni a lunga durata). A questo evento seguirebbe l’uscita “in modo ordinato” dall’area dell’euro di tutti i periferici (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), destinati a tornare alle proprie valute nazionali (ipotesi peraltro non contemplata dai trattati comunitari e a cui Dixon dichiara sempre su Twitter di non credere).
Non varia di molto il ragionamento che fa anche Bill Gross, responsabile delle gestioni di Pimco (società statunitense controllata dal gruppo Allianz cui fa capo il maggior fondo comune obbligazionario al mondo), secondo cui c’è un solo bilancio capace di salvare l’Italia, quello della Bce, che però “ha indossato i calzoni alla tirolese” e non ha intenzione di diventare il prestatore di ultima istanza di Roma. Unica voce che, indirettamente, si leva a favore dell’Italia è quella del ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaeuble che parlando a Berlino si sarebbe detto, secondo l’agenzia Bloomberg, “non preoccupato” dai livelli toccati oggi dallo spread Btp-Bund, simili sì a quelli che precedettero l’introduzione dell’euro ma che secondo il ministro sono destinati a tornare a ridursi una volta che le incertezze legate al problema della leadership politica italiana saranno dissolte. Se, quando e come questo potrà accadere purtroppo Schaeuble si è ben guardato dal dirlo.