Che succede in Italia? Da qualche settimana, improvvisamente, il re appare nudo come è sempre stato da anni, solo che per pudore (o interesse?) nessuno aveva il coraggio di dirlo a chiare lettere. Pochi giorni fa, invece, Mediobanca, che per anni ha fatto da custode degli interessi delle “grandi famiglie” del capitalismo italiano, ha ammesso candidamente presentando il suo nuovo piano industriale che per quanto riguarda le attività di retail banking “l’evoluzione tecnologica e delle abitudini dei consumatori stanno profondamente mutando il “modo” di utilizzare i servizi/prodotti bancari, rendendo obsoleto il concetto di “banca universale” e le tradizionali reti distributive bancarie” (meglio tardi che mai, aggiungo io). Aggiungendo che “in quest’ottica si colloca il progetto di potenziamento della piattaforma retail di Mediobanca volto a sfruttare questi nuovi spazi di mercato attraverso un modello di business incentrato su specializzazione (credito al consumo) ed innovazione tecnologica (CheBanca!)”.
Non solo: lo stesso Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, presentando il piano industriale ha esplicitamente dichiarato di ritenere il modello distributivo “tradizionale” obsoleto e costoso e di soffrire storicamente di una bassa efficienza dei prodotti e servizi proposti ai risparmiatori italiani, che rispetto ad altri Paesi europei pagano di più per ottenere di meno, proprio a causa di quel modello di “banca universale” rivelatosi molte volte non profittevole e di famiglie italiane che si sono poco indebitate (fortunatamente dico io, data l’attuale crisi del debito). Nel caso non abbiate colto fate attenzione: uno dei massimi banchieri d’affari italiani, che tra i propri azionisti ha alcune delle maggiori banche del Belpaese, dichiara che gli italiani pagano troppo per ottenere troppo poco e dunque è possibile (ma no?) fare concorrenza e guadagnare quote di mercato senza rimetterci quattrini, anzi guadagnandone ancora. Oibò, ma non ci avevano raccontato finora che erano imprese e famiglie italiane che non sapevano o non volevano utilizzare i servizi più evoluti? Che i costi che i clienti pagano erano in linea con l’offerta che ricevono? Che in ogni caso il problema era legato ad un costo del lavoro elevato (ti pareva) e sostanzialmente inaggredibile?
Non bastasse questo primo “shock culturale”, stamane Salvatore Rossi, direttore generale di Banca d’Italia e presidente dell’Ivass (l’istituto di vigilanza del settore che ha sostituito da alcuni mesi il vecchio e non troppo efficiente Isvap), parlando di corda in casa dell’impiccato, ossia intervenendo all’assemblea dell’Ania (l’associazione delle compagnie assicuratrici italiane), ha preannunciato l’apertura di un tavolo di lavoro congiunto tra Ivass e Antitrust sull’Rc Auto. Una spesa obbligatoria per le famiglie italiane, imposta per motivi di sicurezza, il cui peso complessivo “può essere stimato in circa 13 miliardi di euro, al lordo delle imposte”. “Il premio medio per famiglia – ha insistito Rossi – rappresenta il 2% del reddito familiare medio, che è già parecchio; ma per una famiglia appartenente al decile più povero, in cui è in ogni caso frequente il possesso di un’automobile, può superare il 6%” per cui “non stupisce che i media e i rappresentanti politici siano molto attenti alla questione. Le compagnie devono esserlo di conseguenza”.
Parole sante, ma per evitare che i diretti interessati (le compagnie di assicurazione) facessero orecchie da mercante Rossi è stato ancora più esplicito: se prima della crisi la frequenza dei sinistri “si era mantenuta per quasi tutti gli anni 2000 intorno all’8,5% del numero di veicoli esposti al rischio, un livello elevato, con la “sinistra” complicità della crisi economica essa è però andata riducendosi dal 2010, fino al 6,2% dello scorso anno”, una diminuzione che “ha riguardato tutte le aree del paese” (dunque anche il più volte “vituperato”Centro Sud). Il costo medio dei sinistri, ha aggiunto Rossi, “continua invece ad aumentare: in complesso, sempre includendo i sinistri avvenuti nell’anno ma d enunciati in tempi successivi, esso aveva superato i 4.000 euro a metà del decennio passato; nel triennio più recente è salito a quasi 4.800 euro”. “Gli andamenti della frequenza dei sinistri, in calo, e del loro costo medio, in aumento, si sono tradotti da ultimo, per la prevalenza del primo fenomeno, in una riduzione del premio medio puro, sebbene con una elevata varianza per classi di età e aree di residenza degli assicurati. Rincari, anche forti, si sono avuti per le fasce di reddito più basse (giovani) e nelle aree dove sono maggiori il disagio sociale e la sinistrosità (Centro-Sud)”.
Che fare, dunque? Rossi ha ricordato come il legislatore sia intervenuto lo scorso anno “con numerose misure”, introdotte dai decreti “liberalizzazioni” e “sviluppo bis”. Esse sono classificabili lungo le tre direttrici del contrasto delle frodi, dell’incremento dell’efficienza, di una maggiore concorrenza; l’Ivass è attualmente al lavoro per predisporre i regolamenti attuativi di propria competenza. Inoltre l’Ivass e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (l’Antitrust, ndr) “hanno preso in questi giorni l’iniziativa di approfondire congiuntamente, dai rispettivi angoli visuali, i fattori critici dell’attuale assetto del mercato assicurativo della Rc Auto, alla ricerca di ulteriori interventi che possano: rimuovere eventuali impedimenti alla concorrenza; accrescere l’efficienza produttiva; creare le condizioni per una riduzione strutturale dei prezzi delle polizze. Da questa iniziativa potranno scaturire indagini conoscitive, procedimenti amministrativi, atti regolatori, proposte al Governo e al Parlamento di nuove norme di legge o di modifiche alle esistenti”. Su queste ultime sarà chiesto “al più presto il coinvolgimento del ministero dello Sviluppo economico”.
Concludendo Rossi ha ribadito: “Le difficoltà concettuali e operative che abbiamo davanti non devono impedirci di muovere verso un nuovo sistema di assicurazione della responsabilità civile auto: equo, corretto, trasparente, in linea con le migliori esperienze internazionali e con gli auspici, da troppo tempo delusi, di tutti i cittadini italiani”. Sogno o son desto? “in linea con gli auspici da troppo tempo delusi dei cittadini italiani”? Quelli stessi che pagano “troppo per ottenere troppo poco” dalle banche? Vuoi vedere che la crisi sta comprimendo la tolleranza della “società civile” e dei suoi rappresentanti istituzionali verso distorsioni del mercato da tempo esistenti tanto in ambito creditizio quanto assicurativo? Se così fosse e se questo portasse a riforme di settore che ne migliorassero l’efficienza riducendo i costi sopportati da imprese e famiglie italiane, non tutto il male verrebbe per nuocere, per una volta. Incrociamo le dita.