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Opinioni

La crisi europea non si risolve facendo i moralisti

La crisi finanziaria europea dopo due anni e mezzo di mancate soluzioni sistemiche sta trasformandosi in una crisi economica che preoccupa Carmignac Gestion. Ma la stampa mondiale pensa a fare del moralismo…
A cura di Luca Spoldi
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Angela Merkel, Mario Monti

La grande stampa finanziaria mondiale continua a seguire la crisi del debito sovrano europeo con accenti sempre più moralistici, dimostrando di non aver capito un punto fondamentale: che in questo momento gli spread più o meno elevati non premiano presunte “virtù” né penalizzano particolari “demeriti” dell’uno o dell’altro emittente sovrano, ma sono legati ad uno squilibrio strutturale tra domanda e offerta di asset a rischio. Uno squilibrio che da mesi rende estremamente difficile per emittenti pubblici o privati rivolgersi al mercato del credito e che finisce con essere una delle concause della stretta del credito che, nonostante tassi ufficiali che restano (e resteranno a lungo) sui minimi storici, continua ad avere un effetto prociclico e dunque recessivo che si somma a quello, altrettanto negativo in termini di Pil, delle misure correttive basate a breve su tagli della spesa pubblica e incrementi delle imposte (e a medio termine su riforme legislative e nuove dismissioni di asset, entrambe per ora più programmatiche che concrete).

Un esempio? La vicenda di Theodoros Pantalakis, ex Ceo di Agricultural Bank of Greece (ATEBank Group), che secondo il Financial Times avrebbe trasferito 8 milioni di risparmi personali per acquistare una proprietà immobiliare a Londra molti mesi prima che il suo istituto finisse con l’essere insolvente. Apriti cielo, visto che Patalakis (che ha già fatto sapere di aver regolarmente dichiarato la transazione nel 2011 e aver pagato le tasse previste in questi casi sull’importo spostato all’estero) sarebbe solo uno dei tanti banchieri, politici e armatori greci che avrebbero fatto ciò che chiunque al posto loro avrebbe fatto, ossia alle prime avvisaglie della crisi (che ha avuto inizio, val la pena di ricordare, nel maggio di due anni or sono) hanno spostato una parte dei propri capitali su asset ritenuti “privi di rischio” come immobili di prestigio siti nelle principali città del mondo (nel caso del banchiere in questione a Londra).

Un modo di agire forse cinico ma del tutto razionale che non è dissimile da quanto si vede ogni giorno da mesi sui mercati finanziari mondiali ma che, allo stesso modo, fa gridare allo scandalo la grande stampa, che a volta dà l’impressione di voler soffiare sul fuoco per sfruttare quella rabbia sociale di cui ha parlato anche il premier italiano Mario Monti in un’intervista al tedesco Der Spiegel (raccogliendo una bordata di altrettanto moralistiche “reprimende” da parte tedesca) in cui ha sottolineato come un atteggiamento eccessivamente rigido e una visione limitata al proprio ambito nazionale non riesce a cogliere la natura della crisi, ormai sempre più chiaramente sistemica, né gli sforzi fatti dai sovrani del Sud Europa (Italia compresa, tra l’altro con l’aggiunta che il nostro paese ha finora pagato maggiori contributi ai fondi “salva stati” europei di quanto non abbia fatto la Germania che pure così facendo tutela in primis gli investimenti effettuati in questi anni dalle proprie banche e imprese).

Chi si rende perfettamente conto di quanto la crisi europea resti “estremamente preoccupante, anche se le decisioni prese al vertice europeo del 28-29 giugno hanno ridato speranza agli operatori di mercato” sono i gestori, in particolare quelli del gruppo Carmignac Gestion che in una nota oggi hanno ricordato come il “punto cruciale della crisi europea, ossia l’incapacità del vecchio continente di crescere, non è stato né trattato, né affrontato”. Le misure previste, concedono i gestori, “hanno il merito di cercare di interrompere il circolo vizioso tra la debolezza delle banche e la deriva dei conti pubblici, ma di certo non mirano a creare un circolo virtuoso tra crescita e solvibilità. Inoltre, la loro attuazione concreta non ci sembra per nulla scontata”. Le recenti tendenze macroeconomiche in Europa, concludono gli esperti francesi, “sono quindi particolarmente preoccupanti, non solo nei paesi del Sud, e giustificano iniziative cruciali contro gli ostacoli alla crescita”.

Speriamo che il grido di allarme di Camignac, che si aggiunge a quello di molte altre case di investimento, venga ascoltato. Se non altro per confutare la tesi nazional-popolare, molto in voga in questa estate 2012, che dietro la crisi non vi siano ragioni economiche ma solo gli interessi di un piccolo gruppo di “speculatori”. Sostenerlo vuol dire non aver capito davvero nulla di questa crisi (il che dopo due anni è già abbastanza grave) e quel che più conta non aver la più pallida idea di come affrontarla e ridare una fiducia nel futuro ai contribuenti del Sud e del Nord Europa. Per questo accanirsi in ragionamenti moralistici che non servono a trovare alcuna soluzione concreta alla crisi finisce con l’essere un’aggravante della consueta abitudine della grande stampa mondiale a inseguire sempre gli “scoop” più che a spiegare in modo equilibrato e corretto quanto sta accadendo ai propri lettori.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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