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Opinioni

La confusione è massima sotto questo cielo

Per districarsi in una situazione economica e politica che resta ingarbugliata come quella attuale in Italia occorre anzitutto fissare delle regole, poi stabilire delle priorità. Eppure la politica continua a parlare di tutt’altro.
A cura di Luca Spoldi
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Parlamento Emiciclo

Tutti sembrano avere in parte ragione. In una situazione economica ingarbugliata come l’attuale in cui versa l’Italia la ragione o il torto non è esclusiva di una o dell’altra parte. Si lamentano le banche: non possiamo fidarci di stati come la Grecia (ma forse neppure come la Spagna o l’Italia) che per anni usando derivati (come peraltro consentito o per lo meno finora mai vietato espressamente) sembrano aver “truccato” i propri bilanci allo scopo di farli apparire meno disastrosi di come non siano e di pagare dunque meno interessi sui propri debiti. E non potete ora chiederci allo stesso tempo di farci carico della sorte degli stessi bond governativi e rifinanziare a piene mani “l’economia reale” perché i fondi forniti dalla Bce con le due LTRO (oltre mille miliardi di euro) rappresentano in realtà poco più del 5% dell’esposizione totale che abbiamo, dunque sono vane le proteste di chi vorrebbe che girassimo i tassi ai clienti. Si lamentano ovviamente le imprese: poche storie, se continuate a tagliarci il credito tra un po’ non rimarrà nessuno a cui prestare soldi, e quando non ce lo tagliate prestate soldi a tassi troppo alti, mediamente al 4,1% (a gennaio, in frazionale calo dal 4,2% medio di dicembre ma ben sopra il 3,2% medio del giugno 2011), nonostante l’Euribor continui a calare (oggi il tasso a tre mesi è stato fissato allo 0,79%, quello a un anno all’1,43%, contro l’1,21% e il 2,01% rispettivamente un anno or sono) e con spread mediamente applicati dalle banche in costante crescita (2,84 punti percentuali ad oggi, contro i 2,75 punti di fine 2011 e gli 1,69 punti del giugno 2011). Si vanta Mario Draghi: grazie alle due LTRO la Bce ha evitato un credit crunch ancora peggiore; gli ribatte il presidente di Bundesbank e membro del board Bce, Jens Weidmann: occorre distinguere tra politica fiscale e monetaria, per risolvere la crisi del credito non basta iniettare liquidità sui mercati, occorre recuperare i gap di competitività esistenti, non vi sono alternative al consolidamento fiscale comunitario, che non è da confondere con la deflazione. Ribattono molti economisti: il consolidamento fiscale serve gli interessi della Germania, non del Sud Europa e se non sarà coniugato a una maggiore solidarietà e ad una visione realmente “unitaria” della crisi porterà ad un ulteriore rallentamento economico di paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia, finendo col vanificare ogni sforzo di miglioramento delle gestione pubblica perché deprimendo il Pil sarà impossibile centrare gli obiettivi prefissati.

Economia o società? Apparentemente il problema è di ordine morale: viene prima l’economia e le sue regole, col mercato come unico Dio e i grandi banchieri, imprenditori e politici nelle vesti di gran sacerdoti, o viene prima la società, con le sue esigenze di maggiore uguaglianze e più uniforme distribuzione del reddito, di solidarietà da parte di chi ha di più nei confronti di chi, non per sua scelte né colpa, ha di meno? Si deve sacrificare la vita di un malato alle esigenze di bilancio di una Asl? L’istruzione di un bambino alla necessità di far quadrare i conti di una scuola? L’integrazione di minoranze etniche o religiose alla disponibilità di fondi per i servizi sociali? Posta così la domanda non ha soluzione perché è evidente che in democrazia la ripartizione delle spese deve poter essere decisa su base popolare, eppure la gestione delle stesse non può affidarsi alla necessità di compiacere gli elettori, locali o nazionali che siano, ma deve improntarsi a principi di sana e prudente gestione che rendano il costo dei servizi sostenibile nel tempo e l’accesso agli stessi aperto a tutti coloro che ne necessitano, in base a classificazioni per reddito e per capacità. Né il ragionamento cambia di molto se lo si applica al settore privato, posto che (per fortuna) non viviamo più in un mondo simile a quello descritto da Charles Dickens e che nessuno (neppure gli imprenditori, i banchieri o chiunque ha un’attività economica a scopo di lucro) potrebbe volerci ritornare. Allora il problema è di due ordini: primo, affermare finalmente una serie di regole il più possibile condivise ma che siano soprattutto degli strumenti efficaci ed efficienti, consentendo sia allo stato sia ai privati di poter svolgere le proprie funzioni in ambito economico. Trovando ovviamente tanto sistemi di incentivazione per garantirne l’osservanza quanto di punizione per coloro che non le osservano (che siano in ambito fiscale o di tutela dei diritti dei lavoratori è la stessa cosa, l’imprenditore che viola sistematicamente le regole, indipendentemente dal motivo per cui lo fa, finisce col fare concorrenza sleale a chi invece le regole le segue). Secondo occorre darsi un ordine di priorità sulle riforme da varare. Al riguardo ho espresso più volte i miei dubbi sul fatto che la politica italiana, anche sotto il governo Monti, sia in grado di darsi questi due obiettivi e soprattutto di centrarli: il primo forse un governo “tecnico” può anche perseguirlo indicando le riforme da fare, il secondo ossia le priorità con cui vararle nel concreto va spesso oltre le sue capacità ed è frutto di un estenuante mercanteggiamento con le mille corporazioni che sono rappresentate (legittimamente o meno) in Parlamento e fuori dallo stesso e che mirano ciascuna a difendere strenuamente il proprio orticello, la propria piccola o grande rendita di posizione.

Il popolo chiede pane, non discussioni filosofiche. Così non dovrei sorprendermi del fatto che, passata l’emergenza pressante (ma non rientrata la crisi, visto che il rendimento del Btp decennale resta sopra il 5% a fronte di un tasso di crescita del Pil atteso negativo di circa l’1% quest’anno, condannandoci dunque a un ulteriore peggioramento dei nostri indici debito/Pil e deficit/Pil nonostante tutte le manovre già varate e che saranno invariabilmente varate in futuo), la politica torni a occuparsi più della Rai, della nuova legge elettorale, di riforma della giustizia, delle unioni di fatto piuttosto che delle difesa dei diritti delle donne. Tutti temi sacrosanti, sia chiaro (in particolare l’ultimo visto che, come mi ricordava un’amica, in Italia viene uccisa una donna ogni due giorni per mano di un uomo ed è cosa che non può passare sotto silenzio, come non possono passare sotto silenzio le ancora troppe discriminazioni sul lavoro e nella società “civile” nei confronti di donne, minoranze etniche e religiose, gay e così via), ma che forse in questo specifico momento andrebbero studiati e approfonditi (seriamente, per una volta tanto) per essere poi affrontati tra qualche mese, una volta ridata una prospettiva di crescita al paese e un futuro (che non sia quello di emigrare) ai nostri figli. Senza prospettive per il futuro ogni discussione è semplice fumo, dispersione di energia, equilibrismo dialettico con cui un politico cerca di mantenere la presa sulla propria platea elettorale. In questo momento il popolo ha fame e chiede come mangiare, a imprenditori, banchieri e politici spetta offrire soluzioni efficaci ed efficienti (ed eque), in grado di auto sostentarsi nel tempo. Le discussioni filosofiche sulle qualità delle brioches, piuttosto che sulla bravura di questo o quell’atleta o sull’interesse artistico di questo o quel tatuaggio inguinale, lasciamole per cortesia alle chiacchiere da spiaggia, si tratta in fondo di tener duro solo altri 3 o 4 mesi, se va bene.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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