Con sempre maggiore evidenza Piazza Affari si disinteressa delle vicende politiche interne italiane: da qualche giorno, nonostante il montare del clamore mediatico da parte del Pdl che cerca di allungare i tempi prima che venga dichiarata la decadenza dalla carica di senatore della Repubblica di Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva a 4 anni di carcere (di cui 3 coperti da indulto) al termine del processo Mediaset aver frodato il fisco per 7,3 milioni di euro nelle dichiarazioni dei redditi Mediaset tra il 2002 e il 2003, avendo intascato fondi neri per 280 milioni di euro durante la compravendita di diritti tv negoziati all’estero con il produttore Frank Agrama, senza pagare le relative tasse, il titolo Mediaset continua a correre e in parallelo continuano a recuperare terreno gli indici del listino di borsa italiano.
Come mai? Perché nell’uno come nell’altro caso gli investitori (oltre a tirare un sospiro di sollievo per la possibilità di una soluzione politica e non militare alla crisi medio orientale) tendono ad assegnare una probabilità bassa che lo scontro politico in atto possa avere conseguenze drammatiche vuoi per le aziende del gruppo Berlusconi, che dalla stagione delle “larghe intese” inaugurata col governo Monti e proseguita col governo Letta ha visto il titolo recuperare terreno nonostante la crisi economica (+88% la performance di Mediaset negli ultimi 12 mesi), vuoi per il paese nel suo complesso, ad un delicato punto di svolta, forse, con deboli segnali di ripresa o meglio di minore crisi che si spera possano portare ad una qualche riaccelerazione della crescita nei prossimi trimestri (cosa che farebbe bene anche al mercato pubblicitario e dunque al gruppo Mediaset), anche se è probabile che la perdurante assenza di riforme ci farà uscire dalla crisi più lentamente e peggio di altri (non a caso il differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato italiani e spagnoli si è nuovamente azzerato e questo non è un bel segnale).
A tenere banco, a Milano come sugli altri mercati europei, sono semmai le ipotesi sull’esito delle prossime elezioni tedesche e le future mosse della Federal Reserve americana. Secondo gli uomini di Deutsche Asset and Wealth Management (DeAWM, gruppo Deutsche Bank, la principale banca tedesca), che ha analizzato i programmi dei sette partiti politici tedeschi valutando le ripercussioni della coalizione vincente sugli scenari politici, economici e finanziari, se nella prossima legislatura la corrente Cdu/Csu di Angela Merkel e la coalizione con Fdp fosse riconfermata, è da attendersi “un impatto positivo sulla crescita” (tedesca). Secondo la analisi degli esperti “i piani fiscali dovrebbero stimolare i consumi. Se il piano fiscale della coalizione Cdu/Csu – Fdp dovesse attuarsi subito, ci aspettiamo una crescita reale innescata da un aumento dei consumi di 0,83-1,56 punti percentuali. Al contrario, se fossero attuati i piani fiscali dell’Spd e Bundnis 90/Die, seguirebbe una depressione dei consumi privati”.
Non solo: “Una coalizione Cdu/Csu e Fdp lascia sperare un andamento relativamente stabile per i titoli tedeschi e poche variazioni dei tassi di interesse. Questo esito elettorale avrebbe inoltre un impatto limitato sul tasso di cambio dell’euro” anche se è prevedibile che una simile coalizione possa dimostrarsi “un po’ più aperta in merito alle garanzie sul debito dei Paesi periferici, il che a sua volta tenderebbe ad aumentare i rendimenti” dei titoli tedeschi. Peraltro, concludono gli esperti, “anche le discussioni relative ai Paesi dell’Europa periferica sulla riduzione del debito saranno perseguite con maggior vigore dopo le elezioni. Questo potrebbe portare a una volatilità leggermente maggiore di titoli obbligazionari emessi dai Paesi meridionali della zona euro” (come l’Italia o la Spagna, ndr), visto che “entrambe i partiti oggi al governo sono contrari a un fondo europeo di tutela dei depositi e agli Eurobond”.
Gli analisti di Societe Generale hanno invece provato a valutare sia l’esito delle elezioni tedesche sia l’eventuale riduzione degli acquisti di titoli di stato sul mercato da parte della Federal Reserve americana, parlando di un “conto alla rovescia” (le elezioni tedesche saranno il prossimo 22 settembre, la prossima riunione della banca centrale Usa si concluderà il 18 settembre, ndr). A giudizio degli esperti il focus dei mercati resterà sui mercati emergenti e sulle implicazioni (negative a breve termine) di una diminuzione degli stimoli monetari statunitensi. Gli uomini di SocGen notano come rispetto ad altre circostanze analoghe verificatesi in passato le banche centrali dei paesi emergenti dispongano oggi di una maggiore varietà di opzioni, così non è improbabile che mentre alcune (come in Cile) potranno tagliare ancora i tassi altre (ad esempio in Russia) rimarranno ferme, mentre i segnali di ripresa dell’economia cinese potrebbero bilanciare di pari passo il minor supporto ai mercati proveniente da oltre oceano.
E le elezioni tedesche? Anche gli esperti del gruppo francese ricordano come il consensus si attende una vittoria di Angela Merkel che le consenta di mostrare maggiore flessibilità, ma si attendono che tale atteggiamento venga legato strettamente alla richiesta di ulteriori progressi sul fronte delle riforme e dell’austerity. Inutile illudersi, insomma, che tutto possa cambiare dal 23 settembre, perché la maggioranza degli elettori tedeschi è apertamente ostile a ogni ulteriore sostegno ai Paesi periferici europei come Spagna e Portogallo. “La nostra aspettativa è che un compromesso alla fine venga raggiunto, ma con la solita condizionalità” e con una “maggiore volatilità politica per i prossimi quattro anni, tanto più che appare sempre più improbabile che emerga una larga maggioranza dalle elezioni tedesche”. Il rischio, semmai, è che i progressi sul fronte dell’unione bancaria e fiscale finiscano col rallentare ulteriormente e che vi sia “poco appetito per nuovi prestiti”, con conseguenze negative per il processo di integrazione fiscale e politica del vecchio continente.
Alla fine, notano gli esperti, potrebbe essere la stessa Germania a dover procedere a delle riforme per rimettere in moto il tutto. Ce la farà? Dovremmo sperarlo e seguire l’evolversi della situazione molto più che non le sceneggiate dei politici di casa nostra. Ultimo ma non meno importante punto: se come probabile la Federal Reserve ridurrà i suoi stimoli monetari e in Europa tornerà a crescere la volatilità sul fronte politico (e quindi economico e fiscale), è probabile che il dollaro torni a rafforzarsi, anche perché un euro un poco più debole può aiutare l’Europa attraverso maggiori esportazioni extra-Ue (cosa di cui potrebbe avvantaggiarsi l’Italia, sempre che le nostre aziende sappiano stabilire o consolidare la propria presenza sui mercati emergenti come più volte fatto notare). In un mondo che cambia e dove lo yuan cinese è entrato per la prima volta nella storia tra le dieci valute più scambiate al mondo, i temi che ci dovrebbero stare a cuore sono necessariamente globali. E’ dunque un ulteriore segno di inadeguatezza della nostra classe politica l’eccessiva focalizzazione sulle vicende personali dell’uno o dell’altro “protagonista” della scena politica nazionale e il totale disinteresse (o incapacità) riguardo ai temi di politica (ed economia) internazionale.